Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21578 del 19/10/2011

Cassazione civile sez. un., 19/10/2011, (ud. 10/05/2011, dep. 19/10/2011), n.21578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo presidente Agg. –

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente di sezione –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.A.G. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato

e difeso, per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato

Novarini Domenico, elettivamente domiciliato in Roma, via Vincenzo

Brunacci n. 57, presso lo studio dell’Avvocato Angelo Barbetti;

– ricorrente –

contro

R.A. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa,

per procura speciale in calce al controricorso, dall’Avvocato

Carisano Maria Rosa, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza

Antonio Mancini n. 4, presso lo studio dell’Avvocato Clemente

Frascari;

– controricorrente –

e contro

C.R. e DE.AN.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2146/09,

depositata il 31 agosto 2009;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10 maggio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito, per la ricorrente, l’Avvocato Angelo Barbetti, per delega;

sentito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, il quale ha concluso conformemente alla relazione ex art.

380-bis cod. proc. civ.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

R.A. convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Voghera, C.R. e De.An. chiedendone la condanna alla riduzione in pristino del manufatto dai medesimi realizzato in violazione delle distanze legali e al risarcimento del danno, da liquidarsi in separato giudizio.

I convenuti si costituirono contestando la domanda, stante la piena corrispondenza tra quanto realizzato e la concessione edilizia, e chiedendo di essere autorizzati a chiamare in giudizio il geometra D.A.G., progettista e direttore dei lavori, perchè li manlevasse.

Il D.A. si costituì osservando che l’intervento realizzato integrava una ristrutturazione con sopralzo, che non aveva alcuna incidenza sulle preesistenti distanze del manufatto dal confine;

chiese, peraltro, di essere autorizzato a chiamare in causa la Toro Assicurazioni s.p.a. per essere da questa manlevato.

La Toro Assicurazioni si costituì, eccependo la inoperatività della polizza sia perchè la controversia era nota al professionista al momento della sottoscrizione, sia perchè la polizza era inefficace in caso di responsabilità derivante da mancato rispetto delle norme e dei vincoli urbanistici.

Espletata una consulenza tecnica d’ufficio, l’adito Tribunale, con sentenza depositata il 25 settembre 2007, in parziale accoglimento della domanda, accertò che l’intervento autorizzato dal Comune di Ruino, con concessione edilizia per ristrutturazione e ampliamento di un fabbricato rurale, costituiva un ampliamento del preesistente edificio effettuato in violazione dell’art. 8 del regolamento edilizio di detto Comune, perchè ubicato a distanza inferiore a 5,00 metri dal confine, e condannò i convenuti al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio; dichiarò altresì il D. A. tenuto ad indennizzare i convenuti per le obbligazioni di pagamento nascenti dalla sentenza; rigettò le altre domande proposte dalle parti e compensò tra le parti le spese del giudizio.

Avverso questa sentenza il D.A. proponeva appello principale, al quale aderivano la C. e il De.;

resisteva la R., la quale proponeva appello incidentale relativamente alla compensazione delle spese.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata il 31 agosto 2009, rigettava entrambi gli appelli.

La Corte d’appello disattendeva innanzitutto il primo motivo di gravame, con il quale l’appellante aveva dedotto il difetto di giurisdizione del giudice ordinario; in proposito, la Corte osservava che la causa petendi dell’azione svolta dall’attrice era relativa al rapporto tra privati e ineriva alla violazione delle norme sulle distanze tra edifici.

Con riferimento ad altro motivo di gravame – con il quale la sentenza di primo grado era stata censurata per avere recepito le conclusioni del CTU benchè questi avesse omesso di considerare che l’art. 54, punto 4, delle norme tecniche del PRG del Comune di Ruino prevedeva che le infrastrutture produttive in zona agricola non dovevano essere conteggiate nei volumi realizzabili e non erano sottoposte a limiti volumetrici – la Corte d’appello rilevava la novità della eccezione e osservava che la controversia non aveva ad oggetto una infrastruttura produttiva, ma la realizzazione di un manufatto in sostituzione di un’altra struttura preesistente, sicchè correttamente il giudice di primo grado aveva condiviso le conclusioni del C.T.U. Nè migliore sorte poteva avere il rilievo dell’appellante, secondo cui l’ampliamento aveva interessato l’edificio preesistente nella parte opposta a quella prospiciente il confine con la proprietà dell’attrice, giacchè il Tribunale aveva preso in esame la questione e aveva ritenuto che dovesse essere accolta la domanda generica di danni, stante il pregiudizio derivante dall’asservimento di fatto del fondo dell’attrice alla costruzione dei vicini, mentre non era configurabile un interesse all’arretramento.

Quanto alla lesione derivante ai diritti dell’attrice a causa dell’intervento realizzato dagli originari convenuti, poi, la Corte d’appello condivideva la conclusione del Tribunale, secondo cui detto intervento doveva essere qualificato, alla stregua delle indicazioni desumibili dalla giurisprudenza di legittimità, una nuova costruzione, come tale soggetta all’osservanza delle norme sulle distanze.

La Corte d’appello, infine, riteneva corretta la compensazione delle spese di lite tra le parti originarie del giudizio sia per il parziale accoglimento della domanda, sia per la difficoltà della qualificazione dell’intervento edilizio realizzato dai convenuti.

D.A.G. ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza articolando tre motivi; ha resistito, con controricorso, R.A.; gli altri intimati ( C.R. e De.An.) non hanno svolto attività difensiva.

Essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata alle parti e comunicata al pubblico ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il relatore designato, nella relazione depositata in data 3 febbraio 2011, ha formulato la seguente proposta di decisione: … “Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione delle norme sulla giurisdizione. Secondo il ricorrente, il rilascio della concessione edilizia e prima ancora la qualificazione dell’oggetto dell’intervento come ristrutturazione ed ampliamento con sopralzo di fabbricato rurale, competono all’autorità amministrativa, sicchè difetterebbe la giurisdizione ordinaria, atteso che l’attrice, ove avesse voluto far accertare la illegittimità della concessione edilizia, avrebbe dovuto adire l’autorità giudiziaria amministrativa.

Il motivo è manifestamente infondato, alla luce del principio secondo cui le controversie tra proprietari di fabbricati vicini aventi ad oggetto questioni relative all’osservanza di norme che prescrivano distanze tra le costruzioni o rispetto ai confini, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, essendo anche a tale materia applicabile il principio secondo il quale nei rapporti tra privati non si pone una questione di giurisdizione, essendo la posizione di interesse legittimo prospettabile solo in rapporto all’esercizio del potere della P.A., che, invece, in tali controversie non è parte in causa. Nè a tal fine rileva l’avvenuto rilascio di concessione edilizia, atteso che il giudice ordinario, cui spetta la giurisdizione, vertendosi in terna di assunta violazione di un diritto soggettivo, può incidentalmente accertare l’eventuale illegittimità della concessione edilizia medesima, onde disapplicarla; mentre la giurisdizione del giudice amministrativo è al riguardo configurabile allorchè la controversia sia insorta tra il privato e la pubblica amministrazione, per avere il primo impugnato detta concessione al fine di ottenerne l’annullamento nei confronti della seconda” (Cass., S.U., n. 9555 del 2002). Invero, “quando in una controversia tra privati, attinente a diritti soggettivi, il giudice debba vagliare situazioni presentanti aspetti di pubblico interesse o possa trovarsi a scrutinare la legittimità di provvedimenti amministrativi, le questioni che insorgono circa i confini dei poteri al riguardo del giudice ordinario attengono, data l’estraneità della pubblica amministrazione al giudizio, al merito e non alla giurisdizione, investendo l’individuazione dei limiti interni posti dall’ordinamento alle attribuzioni del giudice ordinario (divieto di annullare, modificare o revocare il provvedimento amministrativo, ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 4,). (Nella specie il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione – dichiarato dalle S.U. inammissibile in applicazione dell’enunciato principio – era stato sollevato sulla base del rilievo che la controversia, avendo ad oggetto l’accertamento dell’illegittimità di opere realizzate in violazione di norme in materia di distanze fra gli edifici, ma assentite preventivamente dalla competente amministrazione pubblica, postulava lo scrutinio dei relativi provvedimenti di quest’ultima, così da ricadere nel novero di quelle in materia di edilizia ed urbanistica, riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a seguito del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 34 nel testo sostituito dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7)” (Cass., S.U., n. 6887 del 2003).

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione della L. n. 457 del 1978, art. 31 e dell’art. 58, punto 4, delle NTA del PRG del Comune di Ruino. Il ricorrente, sulla premessa che gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui alla citata legge possono portare alla realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso da quello preesistente, anche quanto alla superficie e alla volumetria, e che il manufatto oggetto di causa era un rustico in zona agricola e quindi una infrastruttura produttiva, sostiene che la Corte d’appello avrebbe errato a ritenere che il modestissimo ampliamento della superficie non consentisse la qualificazione dell’intervento come ristrutturazione e comunque a non ritenere detto ampliamento ininfluente se rapportato alle dimensioni dell’azienda agricola all’esercizio della quale era destinato.

Il motivo è in parte manifestamente infondato e in parte inammissibile. La Corte d’appello ha da un lato ritenuto che la definizione degli interventi edilizi contenuta nella L. n. 457 del 1978, art. 31 non rilevasse nei rapporti tra privati, essendo detta disposizione finalizzata a disciplinare i rapporti tra privati e amministrazione; dall’altro, che l’eccezione relativa all’applicabilità dell’art. 54 delle norme tecniche introduceva una questione nuova e che l’intervento edilizio non aveva interessato una struttura produttiva.

Orbene, quanto al primo profilo, deve rilevarsi che “nell’ambito delle opere edilizie, la semplice ristrutturazione si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano (e, all’esito degli stessi, rimangano inalterate) le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, mentre è ravvisabile la ricostruzione allorchè dell’edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria, nè delle superfici occupate in relazione alla originaria sagoma di ingombro. In presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di nuova costruzione, da considerare tale, ai fini del computo delle distanze rispetto agli edifici contigui come previste dagli strumenti urbanistici locali, nel suo complesso, ove io strumento urbanistico rechi una norma espressa con la quale le prescrizioni sulle maggiori distanze previste per le nuove costruzioni siano estese anche alle ricostruzioni, ovvero, ove una siffatta norma non esista, solo nelle parti eccedenti le dimensioni dell’edificio originario” (Cass. n. 9637 del 2006; Cass. n. 19287 del 2009). Nozione, questa, che non muta ove si abbia riguardo alla L. n. 457 del 1978, invocata dal ricorrente, atteso che in proposito si è affermato che, “in base alla L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 31, comma 1, lett. d) costituiscono ristrutturazioni edilizie, con conseguente esonero dall’osservanza delle prescrizioni sulle distanze per le nuove costruzioni, gli interventi su fabbricati ancora esistenti e, dunque, su entità dotate quanto meno di murature perimetrali, di strutture orizzontali e di copertura, tali da assolvere alle loro essenziali funzioni di delimitazione, sostegno e protezione dell’entità stessa. Ne consegue che, pur non esulando dal concetto normativo di ristrutturazione edilizia la demolizione del fabbricato ove sia seguita dalla sua fedele ricostruzione, ai fini della qualificazione di un intervento ricostruttivo come ristrutturazione, da un lato, non è sufficiente che un anteriore fabbricato sia fisicamente individuabile in tutta la sua perimetrazione, essendo indispensabile a soddisfare il requisito della sua esistenza che non sia ridotto a spezzoni isolati, rovine, ruderi e macerie, e, dall’altro, che la ricostruzione di esso, oltre ad essere effettuata in piena conformità di sagoma, di volume e di superficie, venga eseguita in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della avvenuta demolizione per cause naturali od opera dell’uomo” (Cass. n. 22688 del 2009). Invero, “in materia urbanistica tra gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, anche alla luce del disposto della L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 31 possono rientrare le sostituzioni di manufatti precedenti con costruzioni completamente nuove, purchè il risultato finale, per quanto rimaneggiato ed in parte ricostruito, conservi la struttura e la funzionalità precedenti e non si tratti di un’opera del tutto nuova, sia strutturalmente che funzionalmente. Detto accertamento è compito del giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità se congrua-mente motivato” (Cass. n. 8733 del 2001).

La semplice constatazione dell’aumento di superficie e di volumetria è quindi sufficiente a rendere l’intervento edilizio non riconducibile al paradigma normativo della ristrutturazione e all’esonero dall’osservanza delle distanze legali previsto per detto tipo di interventi. Per il primo profilo, quindi, il motivo è manifestamente infondato.

Quanto alla seconda censura, la stessa appare inammissibile atteso che postula l’accertamento della destinazione produttiva dell’edificio, positivamente esclusa dalla Corte d’appello e il ricorrente non deduce di avere documentato e provato nel giudizio di merito la effettiva destinazione del fabbricato, definito rurale, ad attività produttiva.

Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia vizio di motivazione insufficiente o solo apparente con riferimento alla mancata applicazione nel caso di specie dell’art. 58, punto 4, delle richiamate Norme tecniche di attuazione.

Il motivo è inammissibile, in quanto postula accertamenti di fatto ed è genericamente sviluppato con riferimento a critiche che sarebbero state svolte in grado di appello alle conclusioni del C.T.U., con particolare riferimento alla mancata considerazione della richiamata disposizione. Il ricorrente, invero, omette di specificare in quale atto le dette critiche sono state svolte e soprattutto di riprodurne il contenuto. La censura, peraltro, come già rilevato con riferimento al secondo motivo, non tiene conto che la richiesta applicazione della disposizione regolamentare presuppone la prova di circostanze di fatto che il ricorrente non deduce di essersi offerto di fornire nei gradi di merito del giudizio.

Sussistono quindi le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”.

Ricevuta la comunicazione della richiamata relazione, il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ., comma 2 con la quale, nel mentre ha condiviso la soluzione proposta in relazione alla questione di giurisdizione, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Il Collegio condivide la richiamata proposta di decisione, non apparendo le argomentazioni svolte dal ricorrente nella memoria idonee ad indurre a differenti conclusioni.

La difesa del ricorrente, infatti, insiste su due argomenti per sostenere la erroneità della sentenza impugnata: a) la Corte d’appello non poteva giudicare nuova l’eccezione fondata sulla richiesta di applicazione dell’art. 58, punto 4, comma b), delle NTA del PRG del Comune di Ruino; b) l’applicabilità della detta disposizione nel caso di specie risultava dalle acquisizioni in atti e dai dati desumibili dalla relazione del C.T.U..

Orbene, nel mentre la prima censura deve ritenersi priva di rilievo, atteso che la novità della deduzione è meramente enunciata dalla Corte d’appello, ma non costituisce la ratio decidendi sul punto, la seconda appare infondata, atteso che la Corte d’appello, sulla base dei rilievi del C.T.U., ha considerato le modificazioni strutturali, dimensionali e volumetriche eseguite sull’immobile degli originari convenuti come una nuova costruzione, soggetta – coerentemente con la giurisprudenza di questa Corte – alla disciplina sulle distanze, laddove l’applicabilità della disposizione regolamentare invocata dal ricorrente attiene alla incidenza degli interventi sulle infrastrutture produttive in relazione alle volumetrie realizzabili in zona agricola; disciplina, cioè, un aspetto diverso da quello rilevante nel caso di specie.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

In applicazione del criterio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannato alla refusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte suprema di cassazione, il 10 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2011

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