Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21571 del 27/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 27/07/2021, (ud. 15/07/2021, dep. 27/07/2021), n.21571

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15814-2020 proposto da:

D.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato Elisabetta Costa;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato per legge in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– intimato –

avverso il decreto N. CRONOL. 3824/2020 del TRIBUNALE DI VENEZIA,

SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE, PROTEZIONE

INTERNAZIONALE E LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DELL’UNIONE

EUROPEA, depositato il 10/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 15/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. SCALIA

LAURA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. D.M., cittadino della Costa d’Avorio, ricorre con tre motivi per la cassazione del decreto in epigrafe indicato con cui il Tribunale di Venezia, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’unione Europea, pronunciando D.Lgs. n. 25 del 2008 ex art. 35, ha rigettato il ricorso dal primo proposto avverso il provvedimento con cui la competente commissione territoriale ne aveva disatteso la richiesta di protezione internazionale e di riconoscimento del diritto al rilascio di un permesso per ragioni umanitarie, nella apprezzata insussistenza dei presupposti per la concessione di ogni forma di protezione.

Il richiedente aveva dichiarato di avere abbandonato il Mali – da cui si era allontanato verso la Libia e quindi l’Italia – Paese in cui si era trasferito dalla Costa d’Avorio dopo la morte del padre, e di non volervi rientrare nel timore determinato dalle minacce di un uomo estraneo alla famiglia che, appoggiato dal re del villaggio, si era appropriato di un terreno di proprietà della famiglia ed unica fonte di sostentamento.

Il Ministero si è costituito tardivamente al dichiarato fine di partecipare alla eventuale discussione in pubblica udienza ex art. 370 c.p.c., comma 1.

2. Con il primo motivo il ricorrente deduce la “carenza di motivazione relativamente alla valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente”. Il tribunale aveva ritenuto in modo generico la non credibilità del racconto in ragione di incertezze emerse nelle dichiarazioni del richiedente, non congruenti e sprovviste di rilevanza, senza fare riferimento, ai fini del riconoscimento della protezione, alla situazione del Mali ed alle sue condizioni politico-istituzionali di sicurezza e “vivibilità democratica”, in violazione dell’art. 10 Cost., comma 3.

I giudici avevano escluso il riconoscimento dello status di rifugiato incorrendo, anche, nella violazione del cd. onere probatorio attenuato, mancando di accertare i fatti rilevanti.

Il motivo è inammissibile perché, ferma la non censurabilità in cassazione, se non per contenuti che sono estranei alla portata critica (fatto decisivo; assoluta mancanza, anche per apparenza o inconciliabilità logica, della motivazione), del giudizio sulla non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente protezione (vd.: Cass. 02/07/2020 n. 13578; Cass. 19/06/2020, n. 11925), in ogni caso i contenuti del motivo non colgono la ratio decidendi dell’impugnata decisione che è quella della ritenuta insussistenza dei presupposti per le richieste forme di protezione.

Il motivo è comunque generico non indicando per quali contenuti e per lo scrutinio di quali fonti il tribunale avrebbe mancato all’onere di collaborazione istruttoria destinato ad attenuare quello gravante sul richiedente in ordine alla concedibilità del rimedio.

3. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3. In Libia vi era una situazione di violenza diffusa ed in Mali una situazione storico-sociale tale che avrebbe consentito il riconoscimento della protezione sussidiaria o quella che attiene ai “casi speciali”, in ragione delle riferite ripetute minacce ricevute dal richiedente per rientrare nella proprietà del terreno di famiglia e tanto anche dopo aver richiesto aiuto alle forze dell’ordine.

Il motivo è inammissibile perché, di natura discorsiva, non censura, a fronte della adottata titolazione, né il tema delle fonti posto a sostegno dell’impugnata decisione, per contestazione circa il loro portato o per una diversa loro individuazione, né la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2011, in causa C-285/12) come recepita dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le altre: Cass. 08/07/2019, n. 18306). Nei generici contenuti del proposto motivo figura piuttosto la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14, lett. b), che non risulta però, a sua volta, sostenuto da puntuali allegazioni in fatto in tal modo non dialogando con quella parte della motivazione in cui il tribunale ritiene che non ricorra nel racconto reso proprio la fattispecie di cui all’art. 14 cit., lett. b).

4. Con il terzo motivo il ricorrente fa valere l'”integrazione dello straniero nel territorio nazionale” ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria quale parametro che si inserisce in una valutazione complessiva in cui rientra, anche, la verifica di una situazione di compressione dei diritti fondamentali e deduce l’intervenuto reperimento di una stabile attività lavorativa come da prodotte “buste paga”.

Il motivo è inammissibile perché nel censurare l’impugnata decisione non si fa carico di dedurre con specificità in ordine alla riconoscibilità in capo al richiedente della protezione per motivi umanitari e tanto rispetto ad una situazione di vulnerabilità personale, valutata come mancante nel giudizio di merito, il cui rilievo non resta escluso per la sola dedotta intervenuta integrazione in Italia.

Siffatto estremo soffre comunque del carattere di novità (così per la produzione dei contratti intervenuta in sede di legittimità) e neppure si confronta, nella sua deduzione, con l’impugnata decisione, in cui il rimarcato carattere saltuario delle attività lavorative svolte dal richiedente è ragione per escluderne l’integrazione.

5. In via conclusiva il ricorso è inammissibile.

Nulla sulle spese non avendo il Ministero intimato articolato difese.

6. La natura delle censure proposte dal ricorrente, che giustifica la declaratoria di inammissibilità del ricorso, conformemente alla proposta formulata dal Relatore ed in applicazione del criterio della “ragione più liquida”, esclude la necessità di soffermarsi, in questa sede, sulla questione relativa all’invalidità della procura ad litem per mancanza di certificazione della data di rilascio, risolta in senso affermativo da una recente pronuncia di questa Corte (cfr. Cass., Sez. Un., 1/06/2021, n. 15177) e su quella, successiva, di rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 13, introdotto dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g), convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46 (cfr. Cass., Sez. III, 23/06/2021, n. 17970).

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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