Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21570 del 07/10/2020

Cassazione civile sez. II, 07/10/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 07/10/2020), n.21570

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6682-2016 proposto da:

F.V., rappresentato e difeso dall’Avvocato ACHILLE

BENIGNI ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in ROMA,

VIA VITTORIA COLONNA 18;

– ricorrente –

contro

C.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 11256/2015 del TRIBUNALE di NAPOLI pubblicata

in data 4/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/07/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.V. proponeva appello avverso la sentenza del Giudice di pace di Portici, n. 354 del 9 marzo 2012, pronunciata all’esito del giudizio promosso da esso attore/appellante contro C.G. avente ad oggetto l’accertamento del diritto di proprietà della autovettura Alfa Romeo 159 (targata (OMISSIS)) venduta dall’attore al convenuto in data 28 settembre 2008.

Il primo Giudice, con la richiamata decisione, ha rigettato la domanda, affermando la carenza di interesse dell’attore ad agire, giacchè l’accertamento della proprietà del veicolo avrebbe dovuto essere provata con la dimostrazione di un valido contratto.

Detta pronuncia veniva impugnata dal ricorrente, che ne chiedeva la riforma da parte del Tribunale di Napoli. L’appellato rimeneva contumace.

Con la sentenza n. 11256/2015, pubblicata in data 4/09/2015, il Tribunale dichiarava inammissibile l’appello in ragione della violazione dell’art. 342 c.p.c.

Avverso la sentenza, F.V. propone ricorso in cassazione sulla base di due motivi; l’intimato C.G. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (art. 360 c.p.c., n. 3)”, poichè il Giudice di secondo grado ha dichiarato l’inammissibilità del gravame sul presupposto che l’appellante avrebbe “allegato la parte rescindente, omettendo di specificare la parte rescissoria costituita dalla motivazione dell’atto, in sostituzione dell’allegazione dei motivi specifici che distinguevano l’atto di appello nel precedente regime”.

1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “nullità della sentenza: violazione artt. 112,132 c.p.c., artt. 24 e 111 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 4)”, là dove il Tribunale ha inteso ricollegare l’inammissibilità della impugnazione alla circostanza che l’appellante avrebbe “omesso di indicare le specifiche modifiche alla ricostruzione del fatto compiuta dal primo giudice”.

2. – Il primo motivo è fondato.

2.1. – Già con riferimento all’art. 342 c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, ai sensi dell’art. 54, commi 2 e 3-bis detto D.L.) questa Corte (ex plurimis, Cass. sez. un. 3033 del 2013) sottolineato che l’originario connotato di novum iudicium del processo d’appello (disciplinato dal codice di rito del 1865), notevolmente attenuato nel nuovo codice del 1940 dalle disposizioni contenute negli artt. 342,345 e 346 c.p.c. a seguito delle profonde modifiche apportate dalla L. n. 353 del 1990, non è più riscontrabile nell’attuale processo civile, nel cui ambito il giudizio di secondo grado costituisce una revisio prioris instantiae, incanalata negli stretti limiti devoluti con i motivi di gravame – ha ribadito che, nel vigente ordinamento processuale, il giudizio d’appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata, ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata.

In sostanza (Cass. sez. un. 28498 del 2005), l’appello deve puntualizzarsi all’interno dei capi di sentenza destinati ad essere confermati o riformati, ma “comunque” sostituiti dalla sentenza di appello (Cass. sez. un. 28498 del 2005). Pertanto, la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi, con la conseguenza che tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che la sorreggono; pertanto, nell’atto di appello alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame rilevabile d’ufficio, una parte argomentativa che contrasti le ragioni addotte dal primo giudice (Cass. sez. un. 23299 del 2011; nonchè, Cass. n. 4068 del 2009; Cass. n. 18704 del 2015; Cass. n. 12280 del 2016).

Al fine quindi di verificare la corretta applicazione della norma in esame, si deve ribadire che non si rivela sufficiente il fatto che l’atto d’appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con idoneo grado di specificità, da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata (Cass. sez. un. 16 del 2000; Cass. sez. un. 28498 del 2005). Da ciò, la affermata inammissibilità dell’atto di appello redatto in modi non rispettosi dell’art. 342 codice di rito (Cass. sez. un. 16 del 2000, cit.), che va tuttavia applicato senza inutili formalismi e senza richiedere all’appellante il rispetto di particolari forme sacramentali (v., tra le altre, Cass. sez. un. 28057 del 2008; Cas., sez. un. 23299 del 2011; nonchè Cass. 12984 del 2006; Cass. n. 9244 del 2007; Cass. n. 25588 del 2010; Cass. n. 22502 del 2014; Cass. n. 18932 del 2016; Cass. n. 4695 del 2017).

2.2. – Tali principi hanno trovato conferma (con riferimento agli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo certamente più rigoroso, novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, e convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis al caso in esame) in Cass. sez. un. 27199 del 2017, che – in coerenza con la regola generale per cui le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, che si pervenga ad una decisione di merito, mentre gli esiti abortivi del processo costituiscono un’ipotesi residuale (Cass. n. 10916 del 2017); e non trascurando che la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha chiarito in più occasioni che le limitazioni all’accesso ad un giudice sono consentite solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (Cass. n. 10878 del 2015; sent. CEDU 24 febbraio 2009, in causa C.G.I.L. e Cofferati contro Italia) – ha enunciato il seguente principio di diritto: “Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado” (conf. Cass. n. 13535 del 2018, nonchè Cass. n. 4462 del 2019).

2.3. – Orbene, la quanto mai sintetica motivazione data dal Tribunale a sostegno della dichiarazione di inammissibilità dell’odierno gravame (dovuta al fatto che l’appellante aveva indicato nell’atto di citazione solo la parte della sentenza di primo grado che aveva inteso censurare “omettendo di indicare le specifiche modifiche alla ricostruzione del fatto compiute dal primo giudice”, e così allegando “la parte rescindente (ma) omettendo di specificare la parte rescissoria, costituita dalla motivazione dell’atto, in sostituzione della allegazione dei motivi specifici, che distinguevano l’atto di appello nel precedente regime”: sentenza, pag. 2) confligge con i sopra richiamati principi giurisprudenziali, in ordine sia alla perdurante specifica natura del giudizio di appello, sia alla finalità di pervenire ad una decisione di merito.

3. – Il primo motivo va, pertanto, accolto con assorbimento del secondo; la sentenza impugnata va cassata e rinviata al Tribunale di Napoli, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Napoli, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2020

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