Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2157 del 30/01/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 2157 Anno 2013
Presidente: DE RENZIS ALESSANDRO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA
sul ricorso 27318-2009 proposto da:
PAPPALARDO ELENA LAURA PPPLLR73L65C351G, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114, presso
lo studio dell’avvocato VALLEBONA ANTONIO, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
GIUSEPPE MARINO,

IVANO COSTA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

2012
contro

. 3641

POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585;
– intimata –

Nonché da:

Data pubblicazione: 30/01/2013

POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e
difesa dall’avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega

controricorrente e ricorrente incidentale contro
PAPPALARDO ELENA LAURA PPRLLR73L65C351G, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114, presso
lo studio dell’avvocato VALLEBONA ANTONIO, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
GIUSEPPE MARINO, IVANO COSTA, giusta delega in atti;

controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 395/2009 della CORTE D’APPELLO
di CALTANISSETTA, depositata il 29/06/2009 r.g.n.
360/08;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/11/2012 dal Consigliere Dott. GIULIO
MAISANO;
udito l’Avvocato VALLEBONA ANTONIO, COSTA IVANO,
MARINO GIUSEPPE;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega GRANOZZI
GAETANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso

in atti;

per

l’accoglimento

del

principale,

rigetto

dell’incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza del
Tribunale di Caltanissetta, ha rigettato la domanda proposta da Pappalardo
Elena Laura intesa ad ottenere la declaratoria di nullità del contratto di
prestazione di lavoro temporaneo concluso con Adecco s.p.a. e la

subordinato a tempo indeterminato tra la stessa parte ricorrente e Poste
Italiane s.p.a. con la condanna della stesse Poste Italiane alla reintegrazione
nel posto di lavoro ed alla corresponsione delle retribuzioni dalla data di
offerta della prestazione lavorativa all’effettiva reintegrazione. La Corte
territoriale ha motivato tale pronuncia escludendo preliminarmente l’ipotesi
dello scioglimento del contratto per mutuo consenso dedotta da Poste
Italiane, in considerazione del limitato arco di tempo intercorso fra la
cessazione del rapporto e la proposizione del ricorso giurisdizionale; nel
merito la stessa corte d’appello ha considerato l’applicabilità “ratione
temporis” della disciplina relativa al rapporto di lavoro interinale di cui agli
artt. 1 e 11 della legge 196 del 1997. Ai sensi di tale disciplina, in caso di
violazione della disciplina sul lavoro interinale, trova applicazione l’art. 1
della legge 1369 del 1960 con il relativo regime sanzionatorio. In
particolare la sanzione della trasformazione del contratto in contratto a
tempo indeterminato è prevista solo nelle ipotesi di mancanza di forma
scritta o degli elementi di cui all’art. 3, comma 3 lett. G), e non nell’ipotesi
di violazione di cui all’art. 3, comma 4 della stessa legge 196 del 1997
dedotta dal lavoratore.
Il lavoratore propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato
ad un unico motivo.
Resiste con controricorso Poste Italiane s.p.a., che svolge anche ricorso
incidentale condizionato.

conseguente dichiarazione della sussistenza di un rapporto di lavoro

Il lavoratore resiste con controricorso al ricorso incidentale condizionato di
Poste Italiane.
Tutte le parti hanno presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

applicazione degli artt. 10, comma 1, della legge n. 156 del 1997 e 1,
ultimo comma, della legge n. 1369 del 1960, in relazione all’art. 360 n. 3
cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata affermato che il contratto
di lavoro che si costituisce in capo all’impresa utilizzatrice ai sensi della
legge n. 1369 del 1960 in caso di fornitura ingiustificata, sarebbe a termine.
Con il ricorso incidentale condizionato si lamenta violazione e falsa
applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1372, 1° comma,
1175, 1375 e 2697 cod. civ., con riferimento all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.
in particolare si deduce che la corte territoriale illegittimamente non
avrebbe ritenuto la risoluzione per mutuo consenso conseguente al
comportamento inerte delle parti. 1. In via preliminare, va disposta la
riunione dei ricorsi, tutti proposti avverso la medesima sentenza (art. 335
f’í1 PP

c.p.c.). 1.1. Vatilyi–

42. ■ G

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€1rra—PrOspettato un motivo di ricorso, con il quale ha

dedotto la violazione della L. n. 156, art. 10, comma 1, (recte:
196) del 1997 e della L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1, u.c., in relazione
all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere, la Corte d’Appello, erroneamente
affermato che il contratto di lavoro che si costituisce in capo all’impresa
utilizzatrice ai sensi della L. n. 1369 del 1960, in caso di fornitura
ingiustificata, sarebbe a termine. La ricorrente censura la sentenza della
Corte d’Appello di Caltanissetta per aver affermato che nei casi di cui alla
L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 1, l’unico effetto è la sostituzione di
diritto del datore di lavoro fornitore con il soggetto utilizzatore, rimanendo
invariati gli altri elementi contrattuali, ivi compresa la temporaneità della

k

Con l’unico motivo del ricorso principale si lamenta violazione e falsa

prestazione.
In ordine allo stesso, la ricorrente ha articolato il quesito di diritto di
seguito riportato: se in caso di contratto di fornitura di lavoro temporaneo
privo di giustificazione, il contratto di lavoro che va dichiarato in capo
all’utilizzatore sia a termine, come erroneamente affermato dalla sentenza

di ricorso. 1.2. Poste Italiana spa, a sua volta, ha prospettato il seguente
motivo di ricorso incidentale condizionato: violazione e falsa applicazione
di norme di diritto in relazione agli art. 1372, comma 1, artt. 1175 1375,
2697

c.c..

Deduce Poste Italiane spa che nel giudizio di appello, essa medesima aveva
eccepito l’inammissibilità della domanda di parte ricorrente stante
l’intervenuta risoluzione consensuale del contratto, resa palese dalla
prolungata e ininterrotta inerzia della medesima dopo la scadenza del
contratto dedotto in giudizio.
Poste Italiane spa ha formulato il seguente quesito di diritto: se in
applicazione delle previsioni di cui all’art. 1372 c.c., comma 1, nonché
degli artt. 1175 e 1375 c.c., il comportamento inerte delle parti successivo
alla scadenza del termine finale di durata apposto ad un contratto di lavoro
ed il protrarsi della mancata reazione del lavoratore all’estromissione
dall’azienda, avente durata e modalità tali da evidenziare il completo suo
disinteresse al ripristino del rapporto di lavoro, deve considerarsi quale
mutuo consenso in ordine alla cessazione di esso e, pertanto, ove sia
pacificamente cessata l’attuazione di un rapporto di lavoro a termine ed il
lavoratore ne chieda il ripristino due anni dopo la sua cessazione, deve
presumersi l’estinzione per mutuo consenso, incombendo, a norma dell’art.
2697 c.c., sul lavoratore che agisce per l’accertamento della nullità del
termine l’onere di provare le circostanze atte a contrastare la predetta
presunzione.

impugnata, oppure a tempo indeterminato, come sostiene il presente motivo

La Corte d’Appello aveva ri gettato l’impu gnazione affermando che il
ricorso g iurisdizionale era stato proposto in un arco di tempo limitato
(meno di due anni) dalla cessazione del rapporto di lavoro, mancando la
prova della sussistenza di altri elementi atti a valorizzare giuridicamente la
e30 ( 2.2 441- r.p

Le.= 01

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2. Il motivo di ricorso dedotto – da- bEt~i è fondato. 3. Il motivo di
ricorso impone la disamina della disciplina del contratto di fornitura di
prestazioni di lavoro temporaneo, cosiddetto lavoro interinale, come
disciplinato dalla L. n. 196 del 1997, comunemente nota come Le gge Treu,
disciplina applicabile nella fattispecie in esame “ratione temporis”.
4. Attraverso il suddetto istituto il le gislatore introduceva nell’ordinamento
una ipotesi di flessibilità che si differenziava in modo netto dallo schema di
lavoro subordinato delineato dall’art. 2094 c.c. e dalla L. n. 1369 del 1960.
5. Tuttavia, è bene ricordarlo, in conformità alla “ratio le gis” di protezione
dei lavoratori da forme di sfruttamento conse guenti alla dissociazione tra la
titolarità formale del rapporto e la sua effettiva destinazione, cioè fra
l’autore dell’assunzione e l’effettivo beneficiario delle prestazioni
lavorative, il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni
di lavoro di cui la L. n. 1369 del 1960, art. 1, non veniva eliminato dalla
disciplina, di cui alla suddetta L. n. 196 del 1997, che anzi espressamente lo
richiamava all’art. 10 (Cass., n. 23569 del 2007). È nota la definizione che
la L. n. 196 del 1997, art. 1, offre del suddetto contratto, individuando una
fattispecie complessa alla

quale partecipano tre so ggetti: l’impresa

fornitrice, il prestatore di lavoro temporaneo e l’impresa utilizzatrice.
6. Infatti, tale norma stabilisce che il contratto di fornitura di lavoro
temporaneo è il contratto mediante il quale un’impresa di fornitura di lavoro

temporaneo (denominata impresa fornitrice), iscritta all’albo previsto
dall’art. 2, comma 1, pone uno o più lavoratori (denominati prestatori di
lavoro temporaneo), da essa assunti col contratto previsto dall’art. 3

U2.90
1,R,

mera -net.

(contratto per prestazioni di lavoro temporaneo), a disposizione di
un’impresa che ne utilizza la prestazione lavorativa (denominata impresa
utilizzatrice), per il soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo
individuate ai sensi dei secondo comma.
7. È, altresì, acquisito, per quel che riguarda il contratto di fornitura, che
l’art. 1, comma 2, lett. a), affida alla contrattazione collettiva

applicazione della legge. Così, si può ricorrere al lavoro interinale nei casi
previsti dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza
dell’impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più
rappresentativi (gli altri casi di cui alle lettere b) e c) riguardano,
rispettivamente, le ipotesi di temporanea utilizzazione in qualifiche non
previste dai normali assetti produttivi aziendali e di sostituzione dei
lavoratori assenti, fatte salve le ipotesi di cui al comma 4).
8. Ebbene, nel caso in esame la Corte territoriale ha affermato che si ha
l’instaurazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’impresa
utilizzatrice soltanto quando ricorre l’ipotesi di cui alla L. n. 196 del 1997,
art. 10, comma 2, mentre nei casi previsti dall’alt 10, comma 1, l’unico
effetto è la sostituzione di diritto del datore di lavoro fornitore con il
soggetto utilizzatore della prestazione, rimanendo invariati gli altri elementi
contrattuali. 9. La Corte d’Appello di Caltanissetta – premesso che la
domanda azionata non rientrava tra quelle previste dalla L. n. 196 del 1997,
art. 10, comma 2, in quanto la ricorrente aveva chiesto che, previa
declaratoria di nullità, venisse riconosciuto un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato per i seguenti motivi: 1) violazione della L. n. 196 del 1997,
art. 3, comma 4,; 2) nullità del contratto base e delle successive proroghe

per mancata informazione al lavoratore della durata della proroga, con
relativa nullità dei contratti di lavoro temporaneo e delle relative proroghe ha affermato che l’omessa o insufficiente indicazione del motivo del ricorso

l’individuazione dei limiti o dei contenuti che condizionano l’ambito di

al contratto di lavoro temporaneo non contiene la sanzione della
conversione.
10. Quindi, la Corte d’Appello di Caltanissetta, ha tratto la conclusione che
nella fattispecie non doveva ritenersi instaurato un rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato tra le parti reali, impresa utilizzatrice e
lavoratore, sin dall’origine. 11. Tale soluzione finisce, però, per perdere di

di cui alla L. n. 196 del 1997, art. 10, che coinvolgono la responsabilità
diretta anche dell’impresa utilizzatrice, per cui occorre soffermarsi sulla
disciplina contenuta in tale disposizione normativa. 12. L’art. 10, comma 1,
come si è accennato, stabilisce che continua a trovare applicazione la L.
1369 del 1960 sia nei confronti dell’impresa utilizzatrice che si avvalga di
soggetti diversi da quelli di cui all’alt. 2, oppure violi le disposizioni di cui
all’art. 1, commi 2, 3, 4 e 5, sia nei confronti dei soggetti che forniscono
prestatori di lavoro dipendente senza essere iscritti all’albo di cui all’art. 2,
comma

1.

D. Com’è noto la L. n. 1369 del 1960, all’art. 1, nel vietare
l’intermediazione e l’interposizione di manodopera, sancisce che i prestatori
di lavoro, occupati in violazione dei divieti previsti, sono considerati, a tutti
gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia
utilizzato le loro prestazioni.
14. La L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 2, prevede, inoltre, sia l’ipotesi in
cui manchi la forma scritta del contratto di fornitura, nel qual caso il
lavoratore si considera assunto dall’impresa utilizzatrice con contratto di
lavoro a tempo indeterminato, sia quella in cui difetti la forma scritta del
contratto per prestazioni di lavoro temporaneo tra il lavoratore e l’impresa
fomitrice, nel qual caso il contratto si trasforma in contratto a tempo
indeterminato con quest’ultima.
15. In ragione di quanto esposto, in riferimento al motivo di ricorso, punto

vista, in tal modo, l’importanza effettiva ricoperta dalle norme sanzionatorie

centrale della fattispecie sottoposta all’attenzione di questa Corte sono le
conseguenze connesse alla violazione della L. n. 196 del 1997, art. 10,
comma

1.

16. Ritiene questa Corte che deve essere data, invece, prevalenza alla L. n.
1369 del 1960 che è richiamata dal della L. n. 196 del 1997, art. 10, comma
1.

dell’impresa utilizzatrice, tra l’altro, per le violazioni di cui alla citata L. n.
196 del 1997, art. 1, comma 2, lett. a). Quest’ultima norma stabilisce che il
contratto di fornitura di lavoro temporaneo può essere concluso nei casi
previsti dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza
dell’impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più
rappresentativi. Pertanto non è sufficiente, come sostenuto dai giudice
d’appello, il solo richiamo, nel contratto di prestazione di lavoro
temporaneo tra impresa fornitrice e lavoratore, alle causali generali dei
suddetti contratti collettivi per farne discendere la instaurazione a carico
dell’impresa utilizzatrice di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in
quanto, trattandosi di fattispecie complessa voluta dal legislatore per
attenuare la rigidità del precedente impianto di divieto di intermediazione
di mano d’opera, occorre che l’utilizzatore si faccia carico di dimostrare,
sussistendo la contestazione in proposito, l’avvenuto rispetto, nello
svolgimento del rapporto diretto con il prestatore di lavoro, delle causali
previste dai contratti collettivi nazionali della sua categoria di
appartenenza, a loro volta trasfuse nel contratto di fornitura intercorso con
l’impresa fornitrice ai sensi della L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 2, lett.
a).
18. In tal modo, non solo si perviene ad una lettura logica e coerente, in
armonia con la norma di cui all’art. 1, comma 2, lett. a), della disposizione
sanzionatoria di cui alla citata L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 1, ma si

17. Tale comma, come si è accennato, prevede la sanzione a carico

supera, altresì, la visione parcellizzata, estranea agli intenti del legislatore,
dei tre rapporti in esame, vale a dire quello di fornitura tra impresa
fornitrice ed impresa utilizzatrice, quello di prestazione del lavoro
temporaneo tra impresa fornitrice e lavoratore e quello finale tra impresa
utilizzatrice e prestatore di lavoro temporaneo, essendo preminente la
esigenza di valutare l’effettiva attuazione, nel corso di esecuzione del

causali indicate nel contratto di fornitura. 19. In pratica si impone una
lettura unitaria dei rapporti tra i soggetti della complessa fattispecie in
considerazione del collegamento che non può non sussistere tra la causale
dei rapporto di fornitura (quello tra l’impresa fornitrice e l’impresa
utilizzatrice) ed il rapporto di lavoro temporaneo intercorso tra
l’utilizzatrice ed il prestatore di lavoro, nel quale deve persistere la ragione
giustificatrice che aveva indotto la prima ad avvalersi della fornitura di
lavoro ex Lege n. 196 del 1997. La verifica della persistenza di tale causa
giustificatrice non può che passare attraverso la prova che in concreto
l’impresa utilizzatrice dovrà fornire in giudizio della sussunzione del
rapporto di lavoro temporaneo nei casi previsti dalla contrattazione
collettiva di cui alla citata L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 2, lett. a). Solo
in tal modo potrà ritenersi rispettata la finalità enucleabile dal richiamo
della L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 1, alla L. n. 1369 del 1960, vale a
dire quella di evitare il ricorso a forme elusive dei divieto di
intermediazione di mano d’opera, come quelle che potrebbero discendere,
ad esempio, dalla divaricazione tra causale dei contratti di fornitura ed
effettiva ragione dell’utilizzazione del lavoro temporaneo.
20. In definitiva, può ritenersi che si è in presenza di un collegamento
negoziale che costituisce fenomeno incidente direttamente sulla causa
dell’operazione contrattuale che viene posta in essere, risolvendosi in una
interdipendenza funzionale dei diversi atti negoziali – il contratto di

rapporto ultimo tra prestatore di lavoro ed impresa utilizzatrice, delle

fornitura e il contratto per prestazione di lavoro temporaneo – quest’ultimo
venendo dalla società fornitrice concluso allo scopo, noto all’utilizzatore, di
soddisfare l’interesse di quest’ultimo ad acquisire la disponibilità di
prestazioni di lavoro – rivolta a realizzare una finalità pratica unitaria. Tale
collegamento, in particolare, acquisisce autonoma rilevanza giuridica,
tenuto conto che le parti contrattuali, diverse, sono consapevoli del nesso

ragione dell’obiettivo della flessibilità. A ciò consegue, peraltro, che i
motivi di cui all’art. 3, comma 3, lett. a), vale a dire quelli del ricorso alla
fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, la cui indicazione è richiesta
con riguardo al contenuto del contratto intercorrente tra impresa fornitrice e
singolo lavoratore, hanno una valenza autonoma e concorrono ad integrare
il disposto di cui all’art. 1, comma 2, lett. a), sulla possibilità che il contratto
di fornitura tra l’impresa utilizzatrice e quella fornitrice sia concluso nei
casi previsti dagli accordi collettivi nazionali della categoria di
appartenenza dell’impresa utilizzatrice, il tutto nell’ottica di una visione dei
rapporti tra loro collegati. Pertanto, il contenuto del contratto di prestazione
di lavoro temporaneo intercorrente tra l’impresa fornitrice ed il singolo
lavoratore assume un peculiare rilievo rispetto a quanto previsto dall’art. 1,
comma 2, lett. a), in quanto la mancanza o la genericità dello stesso spezza
l’unitarietà della fattispecie complessa voluta dal legislatore per favorire la
flessibilità dell’offerta di lavoro nella salvaguardia dei diritti fondamentali
dei lavoratore e fa venir meno quella presunzione di legittimità del
contratto interinale che il legislatore fa discendere dall’indicazione nel
contratto di fornitura delle ipotesi in cui il contratto interinale può essere
concluso (citato art. 1, comma 2, lettera a). A ciò consegue che trova
applicazione il disposto di cui all’art. 10 e, dunque, quanto previsto dalla L.
n. 1369 del 1960, art. 1, u.c., per cui il contratto di lavoro col fornitore
“interposto” si considera a tutti gli effetti instaurato con l’utilizzatore

teleologico tra i più atti negoziali, e lo stesso si palesa all’esterno proprio in

”interponente”.
Occorre vagliare, a questo punto, la questione che si pone in ordine alla
connotazione temporale che viene ad assumere il rapporto che si instaura
con l’utilizzatore interponente, oggetto del decisuna della Corte d’Appello di
Caltanissetta.
Come si è visto, la L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 2, prevede

specifica della mancanza di forma scritta dei contratto. Occorre, in pratica,
verificare se, nei casi diversi da quello della mancanza di forma scritta del
contratto, operi egualmente la sanzione della instaurazione di un rapporto
di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore interponente. La risposta
a tale questione è, secondo il giudizio di questa Corte, affermativa. Invero,
diverse sono le ragioni che inducono a ritenere che la suddetta sanzione si
applichi anche nell’ipotesi generale di cui alla L. n. 196 del 1997, art. 10,
comma

1.

20.1. Anzitutto, il richiamo generalizzato ed indifferenziato contenuto in
tale comma alla L. n. 1369 del 1960 sul divieto di intermediazione ed
interposizione nelle prestazioni di lavoro non può avere altro significato,
nell’intenzione del legislatore, che quello di veder applicate le conseguenze
sanzionatorie di tale disciplina alle ipotesi di violazione della disposizione
di cui alla L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 2, lett. a), vale a dire la
violazione alla regola, normativamente contemplata, di conclusione del
contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo nei casi previsti
dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell’impresa
utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi.
Non bisogna, infatti, dimenticare che, allorquando era vigente la L. n. 1369
del 1960, la normalità era rappresentata dalla figura del contratto di lavoro
a tempo indeterminato, per cui alla sostituzione soggettiva del reale datore
di lavoro interponente, quale effettivo utilizzatore della prestazione

l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato nell’ipotesi

lavorativa oggetto dell’operazione di intermediazione o di interposizione, al
fittizio datore di lavoro interposto si accompagnava l’instaurazione di un
rapporto lavorativo normalmente a tempo indeterminato, non essendo,
ovviamente, possibile costituire un rapporto a termine che rappresentava
all’epoca l’eccezione.
20.2. Nè vale ad escludere una tale interpretazione il fatto che la sanzione

prevista espressamente dall’art. 10, comma 2, per l’ipotesi della mancanza
di forma scritta dei contratto: invero, è agevole osservare che se una tale
sanzione è prevista per l’ipotesi meno grave del vizio formale della
mancanza della forma scritta dell’accordo, a maggior ragione essa non può
non essere applicata a quella più grave, in quanto ingiustificata, della
violazione sostanziale dell’inosservanza della disposizione di cui alla L. n.
196 del 1997, art. 1, comma 2, lett. a), vale a dire della regola che il
contratto di fornitura sia concluso per i casi prefigurati dalla contrattazione
collettiva espressione dei sindacati comparativamente più rappresentativi.
20.3. Egualmente, non va sottaciuto l’insuperabile argomento sistematico
per il quale, diversamente opinando, verrebbe ad essere facilmente aggirata
la disciplina limitativa del contratto a termine:
invero, una volta costituito con l’impresa fornitrice interposta il contratto a
termine, qualora si volesse sostenere che anche il rapporto che si instaura
“ex lege” con l’impresa utilizzatrice interponente debba essere a termine, ad
onta della accertata illegittimità dell’apposizione dei termine, si perverrebbe
alla inaccettabile ed assurda situazione per la quale la violazione dei divieto
di interposizione di mano d’opera consentirebbe all’interponente di
beneficiare di una prestazione a termine altrimenti preclusa.
20.4. Va da sè che il termine apposto al contratto di lavoro temporaneo col

fornitore interposto può essere salvato, nella imputazione “ex lege” del
contratto all’utilizzatore interponente, solo se il negozio concluso è di per sè

della instaurazione di un rapporto lavorativo a tempo indeterminato è

stesso conforme alla disciplina del lavoro a termine, avendone l’utilizzatore
fornito la prova, in quanto diversamente sarebbe esclusa in radice la
legittimità del ricorso ai contratto di fornitura.
20.5. D’altra parte, un avallo alla ricostruzione fin qui operata discende
anche dalla sentenza n. 58 del 16 febbraio 2006 della Corte costituzionale
che ha dichiarato incostituzionale, per irragionevolezza e contrarietà al

art. 117, comma 1) col quale la trasformazione del contratto prevista dal
secondo periodo della L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 2 (contratto per
prestazioni di lavoro temporaneo di cui alla L. n. 196 del 1997, art. 3,
mancante della forma scritta ovvero degli elementi di cui all’art. 3, comma
3, lettera g), era stata sancita a tempo “determinato” invece che
“indeterminato”.
21. Il motivo di ricorso incidentale condizionato proposto da Poste Italiane
spa

non

è

fondato.

Premesso che il rapporto di lavoro può risolversi, tra l’altro, anche per
risoluzione per mutuo consenso tacito, risultante da comportamenti
concludenti delle parti e da circostanze significative tali da dimostrare una
chiara e certa comune volontà delle parti stesse di porre definitivamente
fine ad ogni rapporto lavorativo, più volte questa Corte ha affermato che
all’uopo non è di per sè sufficiente la mera inerzia o il semplice ritardo
nell’esercizio del diritto e che, in ogni caso, la valutazione del significato e
della portata del complesso degli elementi di fatto compete al giudice di
merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non
sussistono vizi logici o errori di diritto” (cfr., ex multis, Cass. n. 5887 del
2011).
Nella fattispecie la Corte d’Appello, ha affermato che il ricorso
giurisdizionale era stato proposto in un arco di tempo limitato (meno di due
anni) dalla cessazione del rapporto di lavoro, mancando la prova della

ci

z

principio di tutela del lavoro, l’intervento legislativo (L. n. 388 del 2000,

sussistenza di altri elementi atti a valorizzare giuridicamente la mera
inerzia.
Tale accertamento di fatto, conforme ai principi sopra richiamati, risulta
altresì congruamente motivato e resiste alla censura di Poste Italiane spa.
22. Pertanto, il ricorso principale deve essere accolto; il ricorso incidentale

23. La sentenza impugnata deve essere dunque cassata in relazione al
ricorso principale accolto. La causa, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384
c.p.c., comma 1, con l’accoglimento della domanda di parte ricorrente nei
termini di cui alla sentenza del Tribunale di Caltanissetta.
24.Le spese di giudizio seguono la soccombenza, sono liquidate come in
dispositivo. Stante il contrasto giurisprudenziale in materia le spese dei
giudizi

di

merito

sono

compensate

fra

le

parti.

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi;
Accoglie il ricorso principale;
Rigetta il ricorso incidentale;
Cassa senza rinvio la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie
la domanda nei termini di cui alla sentenza del Tribunale di Caltanissetta.
Condanna Poste Italiane spa al pagamento delle spese di giudizio liquidate
in Euro 40,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per onorari, oltre accessori di
legge; Compensa fra le parti le spese dei giudizi di merito.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2012.

condizionato proposto da Poste Italiane spa deve essere rigettato.

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