Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2157 del 29/01/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2157 Anno 2018
Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: VINCENTI ENZO

ORDINANZA
sul ricorso 28651-2016 proposto da:
CANTINI GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
FABIO MASSIMO 107, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO
LUCA LOBUONO TAJANI, rappresentato e difeso dall’avvocato
SIMONETTA VANNUCCI;

– ricorrente contro
EQUITALIA SERVIZI DI RISCOSSIONE S.P.A. (13756881002), in
persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA FLAMIN1A 135, presso lo studio dell’avvocato
PIERLUIGI GIAMMARIA, rappresentata e difesa dagli avvocati
GIUSEPPE PARENTE, MAURIZIO CIN1ETTI;

– controricorrente –

Data pubblicazione: 29/01/2018

CHIERICI CRISTINA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
MAZZINI 119, presso lo studio dell’avvocato MARIA GRAZIA
BATTAGLIA, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA GRAZIA
MARGIACCHI;

avverso la sentenza n. 761/2016 della CORTE D’APPELLO di
FIRENZE, depositata il 11/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 04/12/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.
Ritenuto che, con separati ricorsi affidati rispettivamente a
quattro e ad un unico motivo, Giovanni Cantini e Cristina Cherici
hanno impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Firenze dell’I 1
maggio 2016, la quale aveva rigettato il gravame da essi proposto
avverso la decisione del Tribunale di Arezzo che, a sua volta, aveva
accolto la domanda, proposta da Equitalia Centro S.p.A., di revoca, ai
sensi dell’art. 2901 c.c., della vendita, avvenuta il 6 giugno 2007 tra le
parti attualmente ricorrenti (rispettivamente alienante ed acquirente e
coniugi al tempo di detta vendita), della quota di un mezzo della piena
proprietà di un fabbricato posto in Pian di Scò Adige 12;
che la Corte territoriale osservava: 1) alla data in cui era stato
stipulato l’atto di compravendita dell’immobile adibito ad abitazione
familiare, i coniugi non erano ancora legalmente separati; 2) che i
crediti di Equitalia risalivano al 1998 e che circa i due terzi delle 34
cartelle esattoriali era stato notificato tra il 2003 e il 2005 al Cantini,
epoca durante la quale la crisi coniugale non era ancora insorta; 3) che
la stessa Cherici, nel corso degli anni antecedenti al 2006, aveva
personalmente ritirato un certo numero di cartelle esattoriali per conto

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– ricorrente successiva –

del marito, venendo così a conoscenza della situazione debitoria del
marito;
che resiste con separati controricorsi Equitalia Servizi di
Riscossione S.p.A. (già Equitalia Centro S.p.A.);
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata

fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della
quali le parti ricorrenti hanno depositato memoria;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione
semplificata.
Considerato, preliminarmente, che i ricorsi proposti contro la
medesima sentenza vanno riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., e che il
ricorso del Cantini, in quanto precedente, assume la veste di ricorso
principale, mentre quello della Cherici la veste di ricorso incidentale;
Ricorso principale proposto da Giovanni Cantini:
a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 2901,
2727 e 2729 c.c., per insussistenza, nel caso di specie, dei presupposti

applicativi della norma di cui all’art. 2901 c.c. con riferimento ad una
compravendita immobiliare eseguita, a titolo oneroso, successivamente
al sorgere dei crediti di cui è causa;
a.1) il motivo è inammissibile, in quanto lungi dall’evidenziare la
presenza di errores in indicando nella sentenza impugnata (che, del resto,
si è conformata ai principi della materia, traendo da presunzioni
semplici, congruenti al paradigma di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c. — e,
segnatamente, dal rapporto di coniugio tra i disponenti ancora
pienamente in atto nel 2007 e dalla circostanza che la moglie
acquirente aveva personalmente preso in consegna, prima del 2006,
delle cartelle esattoriale indirizzate al marito per un complessivo
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comunicata ai difensori delle anzidette parti, unitamente al decreto di

importo di curo 9.000,00 – la prova della consapevolezza di debitore e
terzo in ordine al pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie dall’atto di
disposizione patrimoniale successivo all’insorgenza del credito tutelato,
eventus damni che non deve integrare una totale compromissione della

consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto rendere più

5359/2009; Cass. n. 13447/2013; Cass. n. 27546/2014; Cass. n.
1902/2015), appunta le critiche sull’accertamento in fatto operato dal
giudice del merito in base alle risultanze probatorie (e ad esso
esclusivamente riservato), senza neppure dedurre idoneamente un
vizio di omesso esame di fatto decisivo ai sensi del vigente n. 5 dell’art.
360 c.p.c.;
b) con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e
132 c.p.c., per non avere la Corte territoriale motivato in alcun modo il
rigetto delle istanze istruttorie formulate in grado d’appello, le quali
avrebbero dimostrato il dissesto dei rapporti coniugali tra esso Cantini
e la Cherici sin da diversi anni precedenti alla compravendita inter
partes;
c) con il terzo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza per violazione degli articoli
112 e 132 c.p.c., avendo la Corte d’Appello motivato solo in modo
apparente sulla reiezione delle predette istanze istruttorie;
b.1-c.1) i motivi, da scrutinarsi congiuntamente, sono
manifestamente infondati, giacché la Corte territoriale ha motivato in
modo intelligibile e congruente sul rigetto della richiesta prova
testimoniale, evidenziando che la stessa (come, del resto,
effettivamente emerge dalla capitolazione trascritta in ricorso e,
segnatamente, dai capitoli 1, 4 e 5) intendeva dimostrare l’esistenza
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incerta o difficile la soddisfazione del credito: tra le tante, Cass. n.

della crisi tra i coniugi, con allontanamento del Cantini dall’abitazione
coniugale, al dicembre 2006, risultando il tema da provare irrilevante in
quanto i crediti di Equitalia risalivano anche al 1998 e gran parte delle
cartelle esattoriali erano state notificate tra il 2003 e 2005, allorquando
detta crisi “non era ancora nemmeno insorta” (cfr. p. 3 della sentenza

d) con il quarto mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c., falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., nonché
violazione e falsa applicazione degli articoli 2948 c.c., 28 della legge n.
689/1981 richiamato dall’art. 209 del codice della strada e 20, comma
3, del d.lgs. n. 472 del 1977, per avere la Corte territoriale
erroneamente ritenuto inammissibile l’eccezione di prescrizione in
quanto sollevata soltanto in appello (mentre era stata già dedotta in
primo grado, a p. 2 della “terza memoria ex art. 183 c.p.c.” e
comunque “già spesa fin dalla comparsa di costituzione di primo grado
ove si legge che mai Equitalia si è premurata di escutere i crediti de

qui bus, a partire dalla loro maturazione — cfr., pag. 5”) e non
considerato che la stessa si riferiva ai crediti di Equitalia e non già
all’azione revocatoria.
d.1.) il motivo è inammissibile, giacché intende contrastare la
declaratoria di inammissibilità dell’eccezione di prescrizione in appello
(trattandosi in effetti di eccezione in senso stretto che soggiace al
divieto di cui all’art. 345, secondo comma, c.p.c.) adducendo (in modo
più specifico rispetto all’ulteriore deduzione inerente alla comparsa di
risposta di primo grado, che risulta affatto generica e, quindi, di per sé
inidonea ad integrare un’eccezione di prescrizione: tra le altre, Cass. n.
11474/1993) una proposizione con la terza memoria di cui all’art. 183
c.p.c., là dove con tale memoria è consentito soltanto l’indicazione di
prova contraria e non già la proposizione di eccezioni in senso stretto
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impugnata) ;

ed essendo una siffatta tardività rilevabile d’ufficio (in tale ottica,
seppure in riferimento alla formulazione previgente dell’art. 183 c.p.c.,
cfr. Cass. n. 3806/2016);
che la memoria del ricorrente principale non offre argomenti
idonei a scalfire i rilievi che precedono;

a) con unico mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 5, c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché
violazione degli articoli 2727 e 2729 c. c., per avere la Corte territoriale
omesso di esaminare fatti decisivi, la cui valutazione escluderebbe la
conoscenza del pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie in capo alla
Cherici;
ai) il motivo è inammissibile, giacché con esso si deduce il vizio
riconducibile al vigente n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in ipotesi di cd. “doppia
conforme” (essendo la conferma in appello fondata sulle stesse ragioni,
inerenti alle questioni in fatto, della sentenza di primo grado, così
come emerge dallo stesso ricorso — p. 9 – e dalla sentenza impugnata:
pp. 3-4) e, dunque, inammissibilmente, come disposto dall’art. 348 ter,
quinto comma, c.p.c., là dove, poi, non è dato comunque apprezzare
alcuna violazione del ragionamento presuntivo da parte della Corte
territoriale (cfr. quanto già rilevato sub a.1);
che è priva di giuridica consistenza la questione, dedotta con la
memoria (peraltro, in modo affatto generico), della violazione degli art.
111 Cost. e 6 CEDU, che deriverebbe dalla previsione di c.d. “doppia
conforme” di cui al citato art. 348-ter c.p.c., avendo questa Corte già
ritenuto manifestamente infondata, in riferimento (oltre che agli artt. 3
e 24 Cost.) all’art. 111 Cost. (alla cui portata è da ricondurre anche l’art.
6 CEDU, non somministrando l’anzidetta norma costituzionale una
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Ricorso incidentale proposto da Cristina Cherici:

tutela recessiva e meno intensa di quella della nonna convenzionale), la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 348-ter c.p.c., nella parte
in cui prevede l’esclusione della ricorribilità in cassazione, ex art. 360,
primo comma, n. 5, c.p.c., del provvedimento di primo grado allorché
l’inammissibilità sia fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni

limitazione del controllo di legittimità, in caso di “doppia conforme” in
fatto, non solo non impedisce, né limita l’esercizio del diritto di difesa,
ma contribuisce a garantirne l’effettività (Cass. n. 26097/2014);
che, quindi, il ricorso del Cantini va rigettato e quello della
Cherici dichiarato inammissibile, con condanna di ciascun ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in
dispositivo in conformità ai parametri di cui al d.m. n. 55 del 2014.
PER QUESTI MOTIVI
rigetta il ricorso principale di Giovanni Cantini e dichiara
inammissibile il ricorso incidentale di Cristina Cherici;
condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, che
liquida in curo 6.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in curo 200,00, e agli
accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso
principale e per quello incidentale, a norma del comma 1-bis del citato
art. 13.

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di fatto, poste a base della decisione impugnata, atteso che la

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, in data 4 dicembre
2017.
Il Presidente

CL_LL

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