Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21567 del 27/07/2021

Cassazione civile sez. I, 27/07/2021, (ud. 22/06/2021, dep. 27/07/2021), n.21567

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINAZA

sul ricorso 16638/2020 proposto da:

I.S., elettivamente domiciliato in Roma V. Menghini Mario 21

presso lo studio dell’avvocato Porfilio Pasquale che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Costagliola Chiara;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositata il

14/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/06/2021 da MELONI MARINA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Campobasso, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 14/5/2020, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale in ordine alle istanze avanzate da I.S. nato in (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dal Niger aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese perché, dopo la morte dello zio, a causa di una disputa in ordine alla proprietà del terreno coltivato dalla famiglia la zia lo aveva minacciato; successivamente i seguaci di Boko Haram avevano attaccato i partecipanti al funerale dello zio sicché lui era fuggito temendo per la sua vita.

Il Tribunale ha ritenuto il ricorrente non credibile anche alla luce delle numerose contraddizioni ed ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. A) e B) per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale, tortura o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito ha negato il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nel suo paese di provenienza, nonché una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

Avverso il decreto del Tribunale di Campobasso il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in violazione e falsa applicazione del D.Lgs 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, comma 1, lett. g), dell’art. 3, comma 3, lett. A), dell’art. 5, lett. B) e dell’art. 14, per non aver il tribunale ritenuto sussistenti i presupposti per concedere la protezione dello status di rifugiato e la protezione sussidiaria in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 5, per omesso esame di un fatto decisivo in relazione alla vulnerabilità del ricorrente.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per aver il tribunale ritenuto non credibile il ricorrente in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2 e dell’art. 14, e del principio di cooperazione istruttoria in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver il tribunale ritenuto sussistenti i presupposti per concedere la protezione sussidiaria sulla base di fonti aggiornate, rinviando alle fonti già citate dalla Commissione in sede di audizione.

Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il giudice territoriale avrebbe dovuto riconoscere la protezione umanitaria al ricorrente stante la situazione oggettiva relativa al Paese di origine da valutarsi con l’esercizio dei poteri istruttori in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

In riferimento ai presupposti per la concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. C), il Giudice ha correttamente ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva che i fatti narrati non integravano gli estremi per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria stante l’assenza nella vicenda narrata del “fumus persecutionis” nonché di situazioni di violenza generalizzata ed indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nella zona d’origine del ricorrente.

Il Tribunale ha chiaramente evidenziato che la situazione del Niger dal quale proviene il ricorrente ” non è di guerra civile e, a differenza della regione di Diffa, non è interessata da situazioni di violenza generalizzata ed indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale” e ciò ha fatto rimandando alle fonti aggiornate indicate e citate dalla Commissione.

Il rinvio operato dal Tribunale alle fonti citate dalla Commissione è del tutto ammissibile e sufficiente a dar conto del convincimento del giudice tanto più che il provvedimento della Commissione è ben noto e conosciuto dal ricorrente. Inoltre il motivo di censura è generico e non lamenta l’inadeguatezza delle fonti o il loro mancato aggiornamento evidenziando solo il problema formale della mancata citazione e indicazione senza contestarne il contenuto.

La censura di cui al secondo motivo relativa all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio è inammissibile in quanto non indica il fatto di cui è stato omesso l’esame. Giova, invero, premettere che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Il mancato esame, dunque, deve riguardare un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (Cass., 8 settembre 2016, n. 17761; Cass. 13 dicembre 2017, n. 29883), e non, invece, le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass., SU, 20 giugno 2018, n. 16303; Cass. 14 giugno 2017, n. 14802), oppure gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., Sez. U.,7 aprile 2014, n. 8053). E’ utile rammentare, poi, che Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053, ha chiarito che “la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti. Nella censura nulla di tutto ciò risulta riportato.

Il terzo motivo è inammissibile. Il decreto afferma che il racconto del ricorrente non è documentato e generico.

A tal riguardo occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al D.Lgs. cit., art. 5, comma 3, lett. c)), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età “non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicché è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda” (Cass. ord. 26921/2017).

Alla luce di quanto sopra tuttavia appare evidente che il dovere del giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente anche se non suffragato da prove richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano ” considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. C) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. E). La norma in parola obbliga in particolare il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto a un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche a una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (Cass. 21142/2019).

Il Tribunale di merito si è ispirato a questi criteri laddove, all’esito dell’esame delle dichiarazioni rese dal migrante in diverse sedi, ha rilevato – come previsto dall’art. 3, comma 5, lett. c, appena citato – che il racconto offerto dal richiedente asilo non era stato adeguatamente circostanziato e risultava non credibile la concreta vicenda narrata.

Il quinto motivo è del pari infondato.

In ordine alla protezione umanitaria è ben vero che il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente non precludeva di per sé la valutazione di diverse circostanze che concretizzassero una situazione di vulnerabilità ma occorre rilevare che a tal fine non erano sufficienti le allegazioni sulla sola situazione generale esistente nel paese di origine.

Il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, quale misura atipica e residuale, è il frutto della valutazione della specifica condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente.

Ne consegue che a tal fine non è sufficiente la mera allegazione delle condizioni generali del paese di origine a cui non si accompagni l’indicazione di come siffatta situazione influisca sulle condizioni personali del richiedente asilo provocando una particolare condizione di vulnerabilità.

Il motivo non può essere accolto, per l’assorbente ragione che è infondata la premessa da cui muove, ossia che il giudice possa accertare la sussistenza di un determinato titolo di protezione internazionale giustificato dalla peculiare condizione personale del ricorrente in difetto di allegazione del medesimo da parte del ricorrente.

Il principio dispositivo, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, cit., art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni in fatto dell’attore.

I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono, quindi, essere necessariamente indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale.

Il Tribunale ha invece dovuto constatare che nessuna allegazione di condizioni di vulnerabilità ricollegate alle conseguenze dell’allontanamento erano state fatte valere, non potendo introdurre d’ufficio i fatti costitutivi del diritto azionato (Cass. 27336/2018).

Anche per il livello di integrazione raggiunto in Italia il Tribunale ha accertato che il ricorrente non ha prodotto documentazione relativa alla attività lavorativa.

Per quanto sopra il ricorso deve essere respinto. Nulla per le spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile della Corte di Cassazione, il 22 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

 

 

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