Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21566 del 07/10/2020

Cassazione civile sez. II, 07/10/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 07/10/2020), n.21566

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9161/2016 proposto da:

N.S., elettivamente domiciliata in Roma, via Po 43, presso

l’avv. Francesco Cristiani, rappresentata e difesa, in virtù di

mandato in calce al ricorso, dagli avv.ti Vito Caldiero e Fabio

Saitta;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMOMIA E DELLE FINANZE, MINISTERO DELLE

INFRASTUTTURE E DEI TRASPORTI, domiciliati in Roma, via dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1055/2015 della Corte d’appello di Catanzaro,

depositata il 05/08/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2020 dal consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

N.S. chiamava in giudizio davanti al Tribunale di Catanzaro il Ministero della Marina Mercantile (ora Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) ed il Ministero delle Finanze.

Deduceva di avere acquistato da C.C. con atto del 1972 un terreno in agro di (OMISSIS) e di avere realizzato sull’area acquistata un albergo in forza di licenza edilizia già rilasciata in favore del venditore.

Lamentava che era stato avviato un procedimento penale per una presunta occupazione di suolo del demanio marittimo, procedimento poi definito in sede di legittimità con sentenza di cassazione senza rinvio della condanna per amnistia e prescrizione del reato.

Precisava che il procedimento penale era derivato da un equivoco sorto in dipendenza di una inesatta indicazione, nel titolo di proprietà, della particella (OMISSIS), oggetto di acquisto.

Chiedeva quindi l’accertamento del diritto di proprietà sulla intera porzione acquistata e in via subordinata la dichiarazione di acquisto della medesima porzione per usucapione.

Si costituivano i Ministeri convenuti, che chiedevano in riconvenzionale accertarsi l’appartenenza del bene al demanio marittimo dello Stato, con la condanna dell’attore al rilascio e al risarcimento del danno.

Il tribunale rigettava la domanda principale e accoglieva le domande riconvenzionali.

La Corte d’appello di Catanzaro rigettava l’appello proposto dal N., confermando la sentenza.

Queste in sintesi le ragioni della decisione: a) la porzione in contesa aveva originariamente natura demaniale; b) non erano intervenuti atti di sdemanializzazione tacita dipendenti da vendite da parte dell’Erario, posto che le vendite dei primi anni del secolo scorso avevano riguardato la particella (OMISSIS) e non la particella (OMISSIS); c) non c’erano i presupposti per l’usucapione, essendo insufficiente il tempo trascorso e non potendo l’appellante unire il proprio possesso a quello dei propri danti causa; d) la porzione in contesa conserva l’attitudine potenziale agli usi del mare; e) l’occupazione ha determinato un danno per l’amministrazione, che era stato correttamente liquidato dal tribunale.

Per la cassazione della sentenza N.S. ha proposto ricorso, affidato a sette motivi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti hanno resistito con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Ai fini della comprensione delle censure mosse con il ricorso è essenziale identificare, in sintesi, il nucleo essenziale della tesi sostenuta dal ricorrente in contrapposizione alla sentenza impugnata.

Il ricorrente assume che la porzione rivendicata dall’Amministrazione fa parte della particella (OMISSIS) oggetto del proprio acquistato da C.A. con atto del 1972.

La corte di merito ha riconosciuto che la particella (OMISSIS), in conseguenza di una alterazione materiale del foglio di mappa in dotazione alla sala delle visure del N. C.T. di Cosenza, risulta avere una consistenza più ampia di quella effettiva, in danno della limitrofa particella (OMISSIS), appartenente al demanio marittimo.

Il ricorrente obietta che la consistenza della particella (OMISSIS) è quella effettiva e ciò desume dal fatto che, nel 1927, il proprio dante causa mediato ( F.L.) aveva acquistato esattamente una porzione avente i confini riportati nella planimetria che la corte d’appello erroneamente assume manomessa. Secondo il ricorrente si deve tenere conto che la porzione in contesa era stata richiesta in vendita nel 1908 da Ca.Au. e F.E.; da ciò, essendo la vendita poi avvenuta, ne era derivata la sdemanializzazione dell’area. E’ vero che chi aveva venduto a F.L. con l’atto del 1927 era soggetto diverso da coloro che avevano formulato la richiesta nel 1908; nondimeno il consulente aveva posto in luce una pluralità di elementi tali da giustificare il sicuro convincimento che la vendita, richiesta nel 1908 da alcuni soggetti ( Ca. e F.), si fosse poi perfezionata in favore di altri soggetti (i germani D.C.E. e M.), i quali avevano poi trasferito l’intera porzione, compresa la parte controversa in questa causa, a F.L., i cui eredi l’avevano poi trasferita nel 1972 al C., il quale l’aveva poi venduta nel medesimo anno all’attuale ricorrente.

Non c’era stata pertanto nessuna manomissione della planimetria, ma una correzione operata dai tecnici del catasto.

La corte d’appello ha ritenuto diversamente, in primo luogo perchè mancava la prova che la vendita, richiesta nel 1908, fosse stata poi effettivamente perfezionata; in secondo luogo perchè non c’era riscontro che quella richiesta comprendesse anche la porzione oggetto di causa, dovendosi infine tenere conto che l’attuale ricorrente non deriva il proprio diritto da coloro che avevano fatto la richiesta nel 1908, ma da soggetti diversi.

2. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 922 c.c. e dell’art. 116 c.p.c.

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la corte d’appello ha riconosciuto la originaria natura demaniale del bene senza collocare l’indagine nella giusta prospettiva temporale. A tal fine occorreva considerare la situazione esistente nel periodo compreso fra il 1890 e il 1880.

Si sottolinea che la stessa corte d’appello si era dimostrata consapevole del fatto che l’indagine dovesse farsi risalire a tale epoca, tant’è che aveva invitato il consulente, proprio al fine di stabilire se il terreno in questione avesse o meno in origine destinazione agli usi pubblici del mare, ad approfondire l’indagine con riferimento al periodo compreso fra il 1890 e il 1880.

Nondimeno la corte d’appello, nonostante il c.t.u. avesse ben evidenziato una serie di circostanze dalle quali desumere la natura non demaniale del bene, ha poi omesso l’esame di tali circostanze, assumendo a fondamento della decisione elementi probatori riferiti a un periodo di gran lunga posteriore, come tali inidonei a comprovare l’originaria natura demaniale del bene: in particolare le fotografie degli anni 1954 e 1954; l’indicazione, nell’atto del 1972, dell’immobile come arenile e i dati catastali, anch’essi riferiti a un periodo temporale successivo a quello rilevante per determinare l’originaria natura del bene.

Si legge testualmente nel ricorso “Nella specie i giudici d’appello, dopo avere esattamente avvertito la necessità di stabilire l’originaria natura demaniale del terreno, hanno omesso del tutto di valutare le circostanze decisive (…) per escludere, quantomeno relativamente al periodo più antico di cui si hanno notizie certe, la natura di demanio marittimo del bene in esame”. In particolare “gli atti espropriativi che fin dal 1890 avevano interessato il terreno detto di causa e quelli contigui comprovavano al di là di ogni possibile dubbio che l’aria in contestazione non fosse sottoposta a mareggiate, non fosse adibita gli usi attinente alla navigazione e dunque non avesse le idoneità originaria, anche solo potenziale, alla destinazione agli usi pubblici del mare tale da poterle assegnare natura di demanio marittimo” (pag. 17 del ricorso).

2.1 Il motivo è infondato.

Qualora venga in discussione l’appartenenza di un bene, nella sua attuale consistenza, al demanio marittimo, il giudice del merito ha il potere-dovere di accertare i caratteri obiettivi con i quali il bene si presenta al momento della decisione, per effetto dei quali esso rientra nella categoria prevista dalla legge, mentre i titoli esibiti dalle parti possono costituire soltanto utili e concreti elementi di giudizio, al fine di stabilire non solo la originaria consistenza dei beni stessi, ma anche se eventualmente possano riscontrarsi in essi gli estremi di una sdemanializzazione tacita, ammessa per il codice civile del 1865 (Cass. n. 5817/1981; n. 17737/2009).

E’ stato anche chiarito che per stabilire se un’area rivierasca debba o meno essere considerata appartenente al demanio marittimo, mentre risulta indifferente la natura geografica del terreno, sono decisive le seguenti circostanze: 1) che l’area sia normalmente coperta dalle mareggiate ordinarie; 2) che, sebbene non sottoposta a mareggiate ordinarie, sia stata in antico sommersa e tuttora utilizzabile per uso marittimo; 3) che, comunque, il bene sia necessariamente adibito ad usi attinenti alla navigazione (accesso, approdo, tirata in secco di natanti, operazioni attinenti alla pesca da terra, operazioni di balneazione) anche solo allo stato potenziale (Cass. n. 18511/2018; n. 10304/2004).

La corte d’appello ha riconosciuto che il terreno, nei decenni scorsi, aveva sicura natura demaniale, sulla base di una pluralità di elementi, coerenti con i principi di cui sopra: a) gli elementi fotografici risalenti agli anni 1953 e 1955. dai quali si evince con sufficiente chiarezza l’assenza di soluzione di continuità fra la spiaggia e il terreno di cui si tratta; b) documentazione relativa alle lottizzazioni e vendite di inizio secolo, in cui si faceva riferimento a beni del demanio antico, qualificati come arenile; c) la considerazione della planimetria del 1919, in base alla quale l’area in questione è compresa nella particella (OMISSIS) in capo al demanio marittimo; d) la manomissione della planimetria che collocava l’area nella particella (OMISSIS) di proprietà privata.

A tale ricostruzione il ricorrente obietta che esistevano fatti storici avvenuti nel passato (in particolare gli atti espropriazione per la costruzione della ferrovia) che contraddicevano la destinazione della porzione in questione agli usi pubblici del mare.

In questi termini la censura è irrilevante, perchè, appunto, non contraddice la ricostruzione operata dalla corte d’appello che è riferita ai “decenni scorsi”, essendo nello stesso tempo petizione di principio che al fine di accertare la natura demaniale si dovesse considerare la situazione di fine secolo scorso.

Altra questione è la rilevanza delle vicende passate sotto il profilo di una eventuale sdemanializzazione tacita.

La questione è oggetto dei motivi successivi.

3. Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 822 c.c. e dell’art. 157 c.n., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la Corte d’appello ha negato che, nella specie, la sdemanializzazione tacita potesse farsi derivare dal presunto acquisto del terreno di che trattasi da parte di Ca.Au. e F.E., non essendoci prova della identità dei beni. Si sostiene che esistevano una pluralità di elementi che comprovavano siffatta identità, che era stata riscontrata dal consulente tecnico sulla base di elementi tecnici univoci del tutto trascurati dalla sentenza.

3.1. Il motivo è inammissibile.

La ricostruzione proposta dal ricorrente è volta esclusivamente a fare emergere che il bene oggetto di lite fosse il medesimo a suo tempo richiesto in vendita da Ca.Au. e F.E., mentre la corte di merito è andata oltre tale aspetto, riconoscendo innanzitutto che mancava comunque la prova che la vendita, cui si riferiva la richiesta, si fosse poi perfezionata.

In questo senso, quindi, l’autentica censura che il ricorrente muove alla corte d’appello è di non avere fatto proprie le considerazioni logiche e giuridiche, proposte dal consulente tecnico, che deponevano non solo nel senso che vi fosse identità fra l’area di cui F.E. e Ca.Au. avevano chiesto la compravendita e quella oggetto di causa, ma che altresì che la fattispecie di sdemanializzazione tacita, derivante da tale richiesta, si fosse perfezionata con la successiva vendita del medesimo oggetto poi acquistato dal ricorrente.

Insomma, alla ricostruzione in fatto operata dalla corte di merito non si oppone un fatto decisivo, dedotto e non considerato, idoneo a privare quella stessa ricostruzione del proprio fondamento, ma si contrappone una diversa ricostruzione, ritenuta più adeguata rispetto agli elementi di causa: ciò in cassazione non è consentito.

Si deve aggiungere che la corte ha dato adeguata spiegazione del proprio convincimento su questo aspetto della lite, con riguardo al quale ha aggiunto che, in ogni caso, l’attuale ricorrente derivava il proprio diritto da soggetti diversi rispetto a quelli che formularono la richiesta nel 1908.

Tale rilievo non ha costituito oggetto di specifica censura secondo lo schema attualmente previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorrente assume infatti che l’esame complessivo degli elementi di causa avrebbe dovuto indurre la corte a ritenere che “l’acquisto dell’arenile chiesto in vendita il 1908 è stato perfezionato dai sigg.ri D.C. e non dai sig. Ca. o F., come ritenuto dalla corte di merito” (pag. 33 del ricorso).

I signori D.C. avrebbero poi venduto l’area a F.L. con atto del 29 ottobre 1927, dante causa mediato dell’attuale ricorrente.

In questo senso è gioco forza concludere che la censura propone una inammissibile e alternativa lettura degli atti di causa, dovendosi rimarcare che la corte di merito non ha affatto ritenuto che la richiesta di vendita inoltrata da F.E. e Ca.Au. si fosse poi perfezionata in capo a tali soggetti invece che in favore dei germani D.C.. La corte d’appello ha motivatamente escluso che la vendita si fosse perfezionata in senso assoluto.

4. Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 822 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la corte di merito ha riconosciuto: a) che nella planimetria del 1919, rimasta invariata fino agli aggiornamenti del 1952, l’area in questione era identificata dalla particella (OMISSIS), in capo al Demanio Marittimo e “faceva addirittura parte della spiaggia e, segnatamente, di quella parte di spiaggia che sui lati est, ovest e sud, circondava il lotto (OMISSIS), oggetto della lottizzazione del 1919”; b) che l’inclusione della area in contestazione nella particella (OMISSIS) oggetto di acquisto da parte del N. deriva da una alterazione del foglio di mappa, “effettuata mediante abrasione del tratto di confine est delle particella (OMISSIS) e l’aggiunta di due linee verso sud e verso est in modo da inglobare l’area di cui si tratta”; b) che la circostanza risultava confermata dalla assenza di documenti attestanti la richiesta di rettifica catastale.

4.1. Il motivo è inammissibile.

La pluralità delle censure non corrisponde al reale contenuto del motivo, che non denuncia alcuna violazione di legge, ma la ricostruzione dei fatti da parte della corte d’appello.

In particolare si obietta che la planimetria del 1919 non poteva indicare il lotto (OMISSIS) come unico, poichè l’unificazione è avvenuta solo con l’atto del 1927, mentre in precedenza i proprietari erano soggetti diversi; che la planimetria che includeva l’area in contesa nella particella (OMISSIS) corrispondeva alla realtà dei fatti (si allude alla planimetria rilasciata dalla Capitaneria di Porto in data 9 marzo 1991); che “la vendita, sia per la descrizione dei confini che per la superficie, fatta nel 1927 dai signori M. ed D.C.E. al signor F.L. rispecchia perfettamente la planimetria dell’arenile chiesto in vendita dal signor F.E. fu I. nel 1908” (pag. 33 del ricorso); che conseguentemente a non rispecchiare la realtà dei luoghi era la planimetria valorizzata dalla corte di merito; che non era vero che non fu richiesta la rettifica catastale: questa, infatti, era stata invece richiesta dal sig. Luigi F. con riferimento ai terreni acquistati il 29 ottobre del 1927: “Il Procuratore dell’Ufficio del Registro di Belvedere Marittimo, con nota dell’11 marzo 1950 su richiesta del signor F.L. (parimenti allegata alla consulenza dell’ingegner S. aveva comunicato all’ufficio del catasto che il tratto di arenile in contrada (OMISSIS) era stato messo in catasto. Ciò conferma pertanto che il catasto ho omesso di rappresentare il tratto di arenile in questione per cui la particella (OMISSIS) non è stata rappresentata nella sua reale estensione il che ha indotto in errore i notai che hanno stipulato gli atti pubblici e la stessa Corte d’appello” (pag. 31, 32 della sentenza).

L’insieme di queste circostanze avrebbe dovuto indurre la corte d’appello a riconoscere che, nell’ambito delle lottizzazioni dei primi anni del secolo, per effetto delle quali sono state alienate diverse porzioni dell’arenile con conseguente perdita della natura demaniale, era compresa anche la porzione in contesa, la cui richiesta di vendita, inoltrata nel 1908, si era perfezionata in favore dei sig. M. ed D.C.E., che l’avevano poi venduta a F.L., dante causa mediato dell’attuale ricorrente.

Così identificato il significato della censura rimane quindi confermato che questa investe non l’applicazione della norma, ma la ricostruzione del fatto. A sua volta la ricostruzione del fatto non è censurata secondo lo schema dell’attuale art. 360 c.p.c., comma 1, 5, attraverso la indicazione di fatti, primari o secondari, dedotti e non esaminati dalla corte di merito e tali da giustificare una decisione diversa da quella assunta, ma attraverso una ricostruzione critica degli elementi di causa, che avrebbero dovuto indurre la corte di merito a riconoscere che la planimetria, ritenuta oggetto di alterazione, era in effetti corretta, al contrario di quella valorizzata dal giudice di merito; conseguentemente avrebbero dovuto indurre la stessa corte d’appello a condividere la ricostruzione proposta dal consulente tecnico, che aveva concluso per la coincidenza dell’oggetto contrattuale dell’atto del 1927 rispetto a quello del 1972 in favore dell’attuale ricorrente, ritenendo che le correzioni apportate sul foglio di mappa non costituissero manomissioni, ma era state “state fatte dal catasto per cercare di correggere propri errori” (memoria del ricorrente).

E’ chiaro che, con l’insieme di tali argomenti, si pretende di accreditare la tesi che la particella (OMISSIS), nella mappa considerata vera dalla corte d’appello, non era stata rappresentata nella sua reale estensione.

Questa Corte ha chiarito che “il mancato esame delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (Cass. n. 13390/2018; n. 13770/2018).

E’ chiaro però che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, posto che non si denuncia una “omissione” nel senso appena indicato, perchè il ricorrente esprime piuttosto il proprio dissenso rispetto alle conclusioni della sentenza. Tuttavia, gli argomenti utilizzati per denunciare tale dissenso non sono tali da inficiare la decisione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cit., traducendosi in una diversa e alternativa valutazione dei medesimi elementi.

5. E’ del pari inammissibile il quarto motivo, con il quale la sentenza è censurata là dove si afferma che la “asserita sclassificazione del terreno in favore della Ca. è in contrasto con gli atti di acquisto del N. e dei suoi danti causa, non derivando essi da un atto di disposizione patrimoniale della Ca. o dei suoi aventi causa (pag. 33, 34 del ricorso)”.

Secondo il ricorrente la corte d’appello, nel ripercorrere i vari passaggi a partire dall’atto del 1927, intercorso fra i germani D.C. e F.L., non si accorge che quei passaggi comprovavano invece l’avvenuta sdemanializzazione, trattandosi dell’arenile richiesto in vendita da F.E. nel 1908.

Sarebbe dunque “palese l’incongruenza della decisione d’appello che, per sostenere che il terreno oggetto di causa non fosse compreso nella vendita F. Ca., ha richiamato proprio quegli atti dai quali risulta espressamente l’avvenuta sdemanializzazione del fondo (pag. 35 del ricorso)”.

La censura costituisce petizione di principio.

Si dà per provato ciò che invece la corte ha negato, e cioè la coincidenza degli oggetti della richiesta del 1908 e della vendita del 1927 e, prima ancora, il perfezionamento della vendita conseguente alla richiesta di Ca. e F. del 1908, fermo restando l’ulteriore difficoltà, superata dal ricorrente attraverso una ricostruzione logica, di dovere ipotizzare la conclusione del procedimento in favore di soggetti diversi da quelli che formularono la richiesta nel 1908.

6. Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 822 c.c.

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la corte di merito ha riconosciuto l’attuale destinazione della porzione agli usi del mare.

Si rimprovera alla corte di merito non avere tenuto conto di una pluralità di elementi, emergenti dalla consulenza tecnica, che giustificavano una conclusione diversa. La decisione sarebbe fondata su criteri astratti, in contrasto con i principi di giurisprudenza in materia, che implicano accertamenti specifici finalizzati ad appurare che l’area sia utilizzabile per l’uso marittimo e sia adibita, anche allo stato potenziale, ad usi attinenti alla navigazione.

6.1. Il motivo è infondato.

E’ stato già anticipato che “per stabilire se un’area rivierasca debba o meno essere considerata appartenente al Demanio marittimo, mentre risulta indifferente la natura geografica del terreno, sono decisive le seguenti circostanze: 1) che l’area sia normalmente coperta dalle mareggiate ordinarie; 2) che, sebbene non sottoposta a mareggiate ordinarie, sia stata in antico sommersa e tuttora utilizzabile per uso marittimo; 3) che, comunque, il bene sia necessariamente adibito ad usi attinenti alla navigazione (accesso, approdo, tirata in secco di natanti, operazioni attinenti alla pesca da terra, operazioni di balneazione) anche solo allo stato potenziale” (Cass. n. 18511/2018; 10304/2004; n. 2417/1981).

La sentenza è in linea con tali principi.

Al riguardo la corte di merito ha argomentato che “il terreno è posto a livello del mare, a distanza di qualche decina di metri dalla riva, immediatamente a ridosso, da una parte, della spiaggia, rispetto alla quale non presenta soluzioni di continuità, dall’altro, dell’area portuale, risultando pertanto evidente la possibilità di sfruttamento sia per gli usi tradizionali del mare sia per quelli che si sono imposti con l’evoluzione socio economica, compresi quelli connessi all’obiettiva vocazione turistica della zona indirettamente confermata dalla destinazione dell’immobile ad albergo, peraltro, dopo che il C., dante causa del N., aveva ottenuto il rilascio della licenza edilizia (…). L’esistenza in prossimità di terreni privati, già facenti parte del demanio marittimo, non esclude che quello in esame, non oggetto di atti di sdemanializzazione, presenti obiettive caratteristiche che ne evidenziano la potenziale destinazione gli usi del mare” (pag. 10 della sentenza).

Tali considerazioni, coerenti con i parametri di riferimento, sono incensurabili in questa sede di legittimità.

7. Il sesto motivo denuncia violazione degli artt. 1223 e 2697 c.c.

La sentenza è oggetto di censura là dove la corte d’appello ha ritenuto che, seppure si dovesse ritenere che il terreno oggetto di controversia sia stato oggetto di un passaggio dal regime demaniale a quello del patrimonio dello Stato, ciò non sarebbe bastato a configurare l’usucapione, avendo l’attuale ricorrente acquistato il possesso solo nel 1972 e in assenza delle condizioni per l’unione del possesso a quello dei danti causa.

Si sostiene invece che le condizioni per l’unione del possesso c’erano essendoci identità con l’acquisto operato nel 1927 da F.L..

Il motivo è inammissibile doppiamente, sia perchè si dirige contro argomentazione aggiuntiva che non è essenziale a sorreggere la decisione, sia perchè implica pur sempre, sotto diverso profilo, una ricostruzione dei fatti diversa da quella fatta propria dalla corte d’appello, secondo la quale l’atto del 1927 non comprendeva la particella che il ricorrente pretende di avere acquistato per usucapione tramite l’unione del possesso.

8. L’ultimo motivo censura violazione degli artt. 1223 e 2697 c.c.

La corte di merito ha liquidato il danno, in assenza di prova dell’utilità che l’amministrazione avrebbe potuto ricavare dall’uso del bene attraverso il godimento diretto o una modalità di godimento indiretto.

Il motivo è infondato.

Il ricorrente richiama la giurisprudenza secondo la quale, nel caso di occupazione illegittima di un immobile, il danno subito dal proprietario non può ritenersi in re ipsa. Si deve però considerare che quella stessa giurisprudenza ammette con larghezza il ricorso alle presunzioni per la prova del danno.

Sotto questo profilo il ragionamento della corte di merito – nella parte in cui ha fatto riferimento al rilevante valore economico del bene e alla impossibilità dell’amministrazione di “sfruttarne le potenzialità sia economiche che di servizio alla collettività”, avuto riguardo “alla durata dell’occupazione e ai canoni di locazione che, secondo logica ed esperienza, si sarebbero potuti ricavare nel corso degli anni” – contraddice la tesi che il pregiudizio sia stato riconosciuto in dipendenza della mera occupazione, essendo stato invece riconosciuto con riferimento alle conseguenze provocate dalla occupazione in danno dell’amministrazione, sulla base di elementi presuntivi certamente idonei a questi fine.

Il ministero resistente nota esattamente che l’arbitraria occupazione dello spazio demaniale marittimo è fatto previsto dalla legge come reato (art. 1164 c.n.).

9. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto della ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto”.

PQM

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore delle controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2020

 

 

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