Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21563 del 07/10/2020

Cassazione civile sez. II, 07/10/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 07/10/2020), n.21563

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19316-2016 proposto da:

S.G., e A.N., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA MISURINA n. 69, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO

VALENZI, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONINO BRANCA;

– ricorrenti –

contro

AB.MA., e AB.MA.AN., rappresentati e difesi

dall’avvocato GIOVANNI SIRACUSA e domiciliati presso la cancelleria

della Corte di Cassazione;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 343/2016 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 09/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/02/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 4.3.2005 Ab.Sa. conveniva in giudizio S.G. ed A.N. innanzi il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto per sentirli condannare alla demolizione del fabbricato eretto sul loro terreno in violazione delle distanze ed al risarcimento del danno. Si costituivano i convenuti resistendo alla domanda.

Con sentenza n. 255/2011 il Tribunale dichiarava il difetto di legittimazione passiva di A.N. e rigettava la domanda nei confronti dell’altro convenuto S.G..

Interponevano appello Ab.An.Ma. e Ma., eredi dell’originario attore, e si costituivano in seconde cure S.G. ed A.N. resistendo al gravame.

Con la sentenza impugnata, n. 343/2016, la Corte di Appello di Messina, dopo aver disposto la convocazione del C.T.U. a chiarimenti, accoglieva l’impugnazione, dichiarando la legittimazione passiva anche della A. e condannando quest’ultima, insieme allo S., ad arretrare il proprio fabbricato sino alla distanza di 10 metri dalla parete frontistante del fabbricato di proprietà degli appellanti, nonchè al risarcimento del danno, quantificato in Euro 5.000, ed alle spese del doppio grado di giudizio.

Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione S.G. e A.N. affidandosi a quattro motivi. Resistono con controricorso Ab.An.Ma. e A.M..

La parte controricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c., del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, dell’art. 7 delle N.T.A. al P.R.G. del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, approvato con decreto n. 215 del 1979, e 115 delle N. T.A. al P.R.G. del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, approvato con Delib. Dirigenziale n. 106 del 2007, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che nel caso di specie si discuterebbe di un distacco tra fabbricati costituente un “pozzo di luce”. Di conseguenza non sarebbe possibile applicare alla fattispecie la norma che prevede distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate, dovendosi piuttosto fare riferimento all’art. 7 delle N. T.A. al P.R.G. locale, le quali, per le chiostrine e i cortili, prevedono una minore distanza minima di cinque metri, che nel caso specifico sarebbe rispettata.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 869 e 871 c.c. e art. 115 delle N. T.A. al P.R.G. del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto approvato con Delib. Dirigenziale n. 106 del 2007, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte messinese avrebbe dovuto rigettare la domanda risarcitoria, in presenza di una disposizione regolamentare locale, ancorchè sopravvenuta rispetto al momento dell’edificazione, che consentiva espressamente la possibilità di edificare, in presenza di distacchi qualificabili come chiostrine o cortili, alla distanza minima di 5 metri, in luogo di quella generale di 10 metri dalle pareti finestrate di cui al D.M. n. 1444 del 1968.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 873,874,875,877 c.c., art. 7 delle N. T.A. al P.R.G. del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto approvato con decreto n. 215 del 1979 e 48 del regolamento edilizio del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto perchè la Corte siciliana avrebbe dovuto considerare che la costruzione non era stata realizzata dagli odierni ricorrenti, ma dal loro dante causa. Di conseguenza, avrebbe dovuto essere applicato in favore degli odierni ricorrenti il criterio della prevenzione.

Le tre censure, che meritano un esame congiunto, sono inammissibili per diverse, ma concorrenti, ragioni.

Va in primo luogo evidenziato che dalla lettura della sentenza impugnata la questione relativa alla configurabilità del distacco tra i due edifici sub specie di “pozzo di luce”, chiostrina o cortile non risulta esser mai stata discussa nei precedenti gradi di giudizio, nè i ricorrenti hanno cura di specificare in quale momento del processo di merito la stessa sarebbe stata sollevata, nè se, ov’essa fosse stata proposta in prime cure, sia stata poi riprodotta con i motivi di appello. Di conseguenza, anche la questione relativa all’eventuale applicazione della normativa regolamentare locale più favorevole, sopravvenuta rispetto al momento dell’edificazione, perde rilievo, in quanto essa è fondata sul presupposto logico che il distacco di cui è causa sia configurabile come chiostrina o cortile. Solo in tale ipotesi, invero, la norma locale prevede una distanza minima di 5 metri, inferiore a quella generale di cui al D.M. n. 1444 del 1968.

Inoltre, nessuno dei tre motivi in esame attinge l’ulteriore punto della motivazione della sentenza impugnata, con il quale la Corte territoriale ravvisa, oltre alla violazione della distanza minima di cui al D.M. n. 1444 del 1968, anche la violazione della diversa, ed inferiore, distanza prevista dalla normativa antisismica, pari a 6 metri (cfr. pag. 7 della sentenza). Potendosi configurare in tale statuizione una ratio autonoma, idonea a sostenere comunque la decisione, le censure risultano complessivamente inammissibili, in base al principio secondo cui “Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre” alla cassazione della decisione stessa” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012, Rv. 621882; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013, Rv. 625631; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv.639158).

Infine, il terzo motivo è ulteriormente inammissibile in quanto da un lato la questione della prevenzione non risulta esser mai stata discussa nei precedenti gradi di giudizio, e dall’altro lato – e in ogni caso – il fatto che il manufatto realizzato in violazione delle distanze sia stato, in concreto, edificata dal dante causa degli odierni ricorrenti non esime certo questi ultimi dalla responsabilità derivante dalla riscontrata illiceità della costruzione, posta la loro indiscussa qualità di proprietari del bene immobile.

Con il quarto ed ultimo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte di Appello, li avrebbe erroneamente condannati alla refusione delle spese del doppio grado del giudizio di merito.

La censura è infondata. Alla luce della totale soccombenza degli odierni ricorrenti, la Corte territoriale li ha del tutto correttamente condannati al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, in perfetta applicazione del principio di cui all’art. 91 c.p.c., comma 1.

In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.400 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a Titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2020

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