Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21562 del 22/10/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 21562 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:
CAROBENE Nicolò Giuseppe Adriano, CAROBENE Salvatore
Domingo Ubaldo e CAROBENE Isabella Ines Santa,
rappresentati e difesi, per procura speciale in calce al
ricorso, dall’Avvocato Francesco Altamore, domiciliati in
Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della
Corte suprema di cassazione;
– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro

pro

tempore;
– intimato –

cuto.d (1,0(F

Data pubblicazione: 22/10/2015

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di
0-144.0
.tacì in data 6 dicembre 2013 (R.G.V.G. n.
Messina,rel
aósr—e
55/2012).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Stefano Petitti.
Ritenuto che, con ricorso depositato presso la Corte
d’appello di Messina il 7 marzo 2013, CAROBENE Nicola
Giuseppe Adriano, CAROBENE Salvatore Domingo Ubaldo e
CAROBENE Isabella Ines Santa deducevano che la medesima
Corte territoriale era incorsa in errore materiale
nell’adottare il decreto in data 8 febbraio 2013, con il
quale era stata dichiarata improponibile, ex art. 4 della
legge n. 89 del 2001, la domanda di equa riparazione che
essi avevano proposto in relazione alla procedura
fallimentare iniziata nei confronti del primo e della di
lui moglie – Cultrera Delia – deceduta il 16 gennaio 1999;
procedura fallimentare iniziata in conseguenza della
dichiarazione di fallimento della loro società di fatto,
con sentenza del Tribunale di Caltagirone del 5 aprile
1983, conclusasi con decreto dello stesso Tribunale del l °
luglio 2011;
che i ricorrenti sostenevano che l’errore materiale
sarebbe consistito nell’affermazione che il deposito del
ricorso per equa riparazione, effettuato il 27 gennaio

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udienza del 19 marzo 2015 dal Presidente relatore Dott.

2012, sarebbe avvenuto oltre il termine di sei mesi dalla
scadenza del termine di cui al citato art. 4, coincidente
con la definitività del decreto di chiusura del
fallimento, individuata dopo il decorso di quindici giorni

scadenza il 2 luglio 2012;
che, con distinto ricorso depositato in data 8 marzo
2013, i medesimi ricorrenti, nel prospettare la
tempestività del ricorso per equa riparazione, chiedevano,
in via subordinata, la revocazione del decreto ai sensi
dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., per la erronea
dichiarazione di improponibilità del ricorso;
che, riuniti i procedimenti, l’adita Corte d’appello
riconosceva che nel decreto impugnato si era verificato un
errore nella individuazione del

dies a quo

del termine

semestrale, atteso che la detta data doveva essere
indicata nel 2 gennaio 2012, rispetto alla quale il
ricorso, depositato il 27 gennaio 2012, era certamente
tempestivo;
che, dunque, riconosciuto l’errore, la Corte esaminava
la domanda nel merito, ritenendola fondata, sul rilievo
che la procedura fallimentare, certamente complessa,
avrebbe dovuto concludersi nel termine di otto anni,
sicché vi era stata una eccedenza di venti anni e nove
mesi, in relazione alla quale liquidava in favore di

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dal 17 dicembre 2001, mentre il termine stesso veniva a

Carabene Nicolò, la somma di euro 10.375,00, adottando il
criterio di 500,00 euro per anno di ritardo;
che, quanto alla posizione degli altri ricorrenti,
quali eredi di Cultrera Delia, deceduta il 16 gennaio

indennizzabile di 7 anni e nove mesi, in relazione alla
quale liquidava un indennizzo di euro 3.874,00, da
suddividersi secondo le quote ereditarie, oltre interessi
legali dalla domanda;
che la Corte d’appello rigettava invece la domanda di
danni patrimoniali (consistenti nella dedotta mancata
percezione di un contributo) sul rilievo che non era stato
provato che gli stessi fossero conseguenza immediata e
diretta del fatto causativo, non apparendo direttamente
collegabili al superamento del termine di ragionevole
durata;
che, in dispositivo, la Corte territoriale disponeva
il rigetto del ricorso per revocazione, riunito a quello
proposto per la correzione di errore materiale;
che per la cassazione di questo decreto CAROBENE
Nicola Giuseppe Adriano, CAROBENE Salvatore Domingo Ubaldo
e CAROBENE Isabella Ines Santa hanno proposto ricorso
affidato a quattro motivi;
che il Ministero della giustizia non ha svolto
attività difensiva.

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1999, la Corte d’appello riconosceva una eccedenza

Considerato

che con il primo motivo di ricorso i

ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, dolendosi del
fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto ragionevole la

specificamente gli elementi di complessità che la hanno
indotta ad individuare la detta durata ragionevole, se non
il riferimento al procedimento amministrativo avente ad
oggetto la richiesta di contributi di cui alla legge n.
433 del 1991;
che con il secondo motivo i ricorrenti denunciano
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa
la valutazione in concreto della posta in gioco, del
comportamento della parte istante, della mancata
sollecitazione per la rapida definizione del processo e
della durata del ritardo, rilevando che la Corte
territoriale si sarebbe limitata ad enunciare gli elementi
utili ai fini della determinazione dell’indennizzo, senza
tuttavia svolgere alcuna considerazione con riguardo al
caso di specie;
che con il terzo motivo i ricorrenti deducono
ulteriore vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa l’incidenza del procedimento
amministrativo e di quelli giurisdizionali sul contributo

durata di otto anni, senza tuttavia indicare

di cui alla legge n. 433 del 1991 nel termine ragionevole
di durata fallimentare;
che con il quarto motivo i ricorrenti denunciano
ancora vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria

il superamento del termine ragionevole della durata della
procedura fallimentare e i danni patrimoniali per il
diniego del contributo ex legge n. 433 del 1991;
che deve preliminarmente rilevarsi che gli odierni
ricorrenti hanno proposto un ricorso per la cassazione del
decreto emesso dalla Corte d’appello di Messina in data 8
febbraio 2013, depositato il successivo 15 febbraio, e
cioè nei confronti del decreto rispetto al quale è stata
anche proposta la istanza di correzione di errore
materiale, accolta dalla medesima Corte d’appello, con il
decreto depositato in data 17 dicembre 2013, qui
impugnato;
che detto ricorso è stato accolto da questa Corte con
la sentenza n. 11290 del 2014, che ha cassato il decreto
depositato il 15 febbraio 2013 e ha rinviato la causa alla
Corte d’appello di Messina per nuovo esame della domanda;
che tale circostanza non incide sull’ammissibilità del
presente ricorso, atteso che il decreto del 15 febbraio
2013 è stato dalla Corte d’appello di Messina corretto con
quello qui impugnato, in senso favorevole alle posizioni

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motivazione circa l’esclusione del nesso di causalità tra

dei ricorrenti, in quanto ha ritenuto tempestiva la
domanda di equa riparazione, accogliendola in parte,
residuando aperte le questioni prospettate con i motivi
del presente ricorso per cassazione che si devono quindi

che, tanto premesso, il primo motivo di ricorso è
fondato;
che, invero, questa Corte ha avuto modo di affermare
(Cass. n. 8468 del 2012), che la durata ragionevole delle
procedure fallimentari può essere stimata in cinque anni
per quelle di media complessità, ed è elevabile fino a
sette anni, allorquando il procedimento si presenti
notevolmente complesso; ipotesi, questa, ravvisabile in
presenza di un numero elevato di creditori, di una
particolare natura o situazione giuridica dei beni da
liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi ecc.),
della proliferazione di giudizi connessi alla procedura,
ma autonomi e quindi a loro volta di durata condizionata
dalla complessità del caso, oppure della pluralità delle
procedure concorsuali interdipendenti;
che, all’evidenza, la Corte d’appello si è discostata
dall’indicato orientamento ritenendo ragionevole una
durata di otto anni, adducendo a sostegno di tale
valutazione elementi che già concorrono a determinare la

esaminare;

complessità della procedura e a considerare ragionevole la
durata di sette anni in luogo di cinque anni;
che il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso
sono inammissibili;

depositato il 17 dicembre 2013, trova applicazione il
nuovo testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.,
introdotto dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83,
conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, il quale, secondo
quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, deve
essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici
dettati dall’art. 12 delle preleggi, «come riduzione al
“minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla
motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo
l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di
legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente
all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio
risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere
dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia
si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto
l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione
apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque
rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della

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che, invero, posto che il decreto impugnato è stato

motivazione» e che la nuova formulazione dell’art. 360,
primo comma, n. 5, cod. proc. civ., introduce
nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per
cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico,

testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia
costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia
carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe
determinato un esito diverso della controversia). Ne
consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli
artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4,
cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto
storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”,
testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente,
il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di
discussione processuale tra le parti e la sua
“decisività”, fermo restando che l’omesso esame di
elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di
omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto
storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia
dato conto di tutte le risultanze probatorie» (Cass.,
S.U., n. 8053 del 2014);
che, nella specie, la motivazione del decreto
impugnato non appare riconducibile a quelle suscettibili

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principale o secondario, la cui esistenza risulti dal

di essere ora sindacate in sede di ricorso per cassazione,
avendo la Corte d’appello adeguatamente illustrato le
ragioni delle proprie statuizioni sui capi di domanda
oggetto di censura e non avendo i ricorrenti neanche

carenza di motivazione;
che, dunque, accolto il primo motivo di ricorso e
dichiarati inammissibili gli altri, il decreto impugnato
deve essere cassato in relazione alla censura accolta;
che, tuttavia, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc.
civ., provvedendosi ad aumentare l’indennizzo liquidato
dalla Corte d’appello di 500,00 euro per l’ulteriore anno
di durata irragionevole conseguente alla rideterminazione
della durata ragionevole della procedura fallimentare in
sette anni anziché in otto anni;
che il Ministero della giustizia deve quindi essere
condannato al pagamento, in favore di Carabene Nicolò,
della somma di euro 10.875,00, oltre interessi legali
dalla domanda, e in favore degli altri ricorrenti, quali
eredi di Cultrera Delia, della somma di euro 4.374,00, da
suddividersi secondo le quote ereditarie, oltre interessi
legali dalla domanda;

prospettato il vizio denunciato nei termini di assoluta

che, in considerazione del limitatissimo accoglimento
del ricorso le spese del giudizio di cassazione possono
essere interamente compensate tra le parti.
PER QUESTI MOTIVI

inammissibili gli altri;

cassa

dichiara

il decreto impugnato in

relazione ala censura accolta e, decidendo la causa nel
merito,

condanna

il Ministero della giustizia al

pagamento, in favore di Carebene Nicola, della somma di
euro 10.875,00, oltre interessi legali dalla domanda, e in
favore di Carobene Isabella e Carobene Salvatore, quali
eredi di Cultrera Delia, della somma di euro 4.374,00, da
suddividersi secondo le quote ereditarie, oltre interessi
legali dalla domanda, ferme le altre statuizioni;

compensa

le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione,

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso,

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