Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21559 del 18/10/2011
Cassazione civile sez. VI, 18/10/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 18/10/2011), n.21559
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –
Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –
Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –
Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 23799-2010 proposto da:
R.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14, presso lo studio dell’avvocato
BARBANTINI MARIA TERESA, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato MARIOTTI EMILIO, giusta procura speciale in calce al
ricorso;
– ricorrente –
contro
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI RAVENNA,
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI PIANIFICATORI PAESAGGISTI
CONSERVATORI DELLA PROVINCIA DI RAVENNA;
– intimati –
avverso la decisione n. 9/2010 del Consiglio Nazionale degli
Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di ROMA del
16.6.2010, depositata il 21/07/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
22/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;
udito per il ricorrente l’Avvocato Maria Teresa Barbantini che si
riporta agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ROSARIO
GIOVANNI RUSSO che nulla osserva.
La Corte Letti gli atti depositati:
Fatto
OSSERVA
E’ stata depositata la seguente relazione:
1 – Il fatto che ha originato la controversia è il seguente:
R.G. ha impugnato la delibera di apertura di un procedimento disciplinare a suo carico assunta dall’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Ravenna.
Con decisione depositata in data 21 luglio 2010 il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la della delibera del Consiglio provinciale che aveva respinto la sua richiesta di revoca.
2 – Il relatore propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c..
3. – l’unico motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 111 e 7 Cost.; violazione o falsa applicazione del R.D. n. 2537 del 1925, art. 44.
Il ricorrente assume che la decisione del Consiglio Nazionale, secondo cui il provvedimento impugnato ha natura endoprocedimentale ed è quindi sottratto al proprio sindacato giurisdizionale, si pone in netto contrasto con la sentenza n. 29294 del 15.12.2008 delle Sezioni Unite. In effetti la sentenza citata ha stabilito che, in tema di procedimento disciplinare a carico di un avvocato, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 50 onde consentire, nella prospettiva del giusto processo (art. 111 Cost., commi 1 e 2), un più rapido intervento di un giudice terzo e imparziale sulla legittimità dell’avvio dell’anzidetto procedimento, deve ritenersi ammissibile il ricorso al Consiglio nazionale forense avverso la decisione con la quale il locale Consiglio dell’ordine stabilisce d’iniziare il procedimento medesimo.
In motivazione le Sezioni Unite hanno spiegato che la legge professionale non esclude affatto, ma tutt’al contrario espressamente prevede l’intervento del Consiglio nazionale anche prima della definizione del procedimento davanti al Consiglio locale. In base al R.D. n. 37 del 1934, art. 53, sono infatti impugnabili anche le decisioni in materia di ricusazione od astensione dei componenti del Consiglio dell’ordine, mentre ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 49, il Consiglio nazionale può essere subito investito della risoluzione dei conflitti di competenza insorti fra i Consigli locali. Quindi, procedendo all’esame sistematico, ha spiegato che il procedimento disciplinare si articola in più fasi, la prima delle quali, avanti al Consiglio dell’Ordine, ha natura amministrativa, a differenza di quelle successive che si svolgono davanti al Consiglio Nazionale e alla Corte di Cassazione. La prima fase è dominata dall’iniziativa del Consiglio dell’Ordine, che valuta gli elementi a carico, delibera se aprire o meno il procedimento e, in caso positivo, lo istruisce e, all’esito, lo decide. Simile concentrazione di poteri ha destato non poche perplessità in dottrina e, soprattutto, è stata vissuta come una profonda ingiustizia dagli incolpati, che in gran parte dei ricorsi alle Sezioni Unite hanno speso pagine e pagine per lamentare il grave squilibrio e la conseguente illegittimità costituzionale del meccanismo. L’art. 111 Cost. stabilisce ormai, che “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio fra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”. Alla luce di tali principi, di cui la Cassazione ha fatto, anche a Sezioni semplici, una sempre più accentuata e pervasiva applicazione, non è più consentito insistere a dire, come per il passato, che l’attribuzione allo stesso Consiglio dell’Ordine del potere insindacabile di decidere se aprire o meno il procedimento disciplinare non comporta nessuna disarmonia perchè non arreca, in definitiva, nessun serio pregiudizio all’incolpato cui resta, prima ancora che l’appello, la possibilità di far valere subito la propria innocenza, esponendone le ragioni nel corso del grado, oltre che nella successiva fase di gravame. La Corte europea dei diritti dell’uomo e la giurisprudenza nazionale in tema di ed Legge “Pinto” hanno infatti chiarito che ogni processo, sia esso civile che penale o amministrativo, costituisce di per sè fonte di pregiudizio in quanto anche nei casi in cui non provoca danni patrimoniali, comporta comunque dei turbamenti e delle sofferenze capaci di peggiorare la situazione di chi lo vive … . Ne deriva che fra le due possibili interpretazioni dell’art. 50 sopra ricordato, deve essere preferita quella, più costituzionalmente orientata, che riconoscendo l’impugnabilità della delibera di apertura del procedimento, consente di riallineare il sistema mediante un più veloce intervento di un giudice terzo e imparziale che possa controllare la legittimità dell’avvio del procedimento e arrestarne subito la prosecuzione in caso di mancanza dei necessari presupposti.
Le argomentazioni sopra sintetizzate sembrano attagliarsi perfettamente anche al R.D. n. 2537 del 1925, art. 44 che regola il procedimento disciplinare nei confronti degli architetti con disposizioni che richiamano pressochè testualmente quelle del citato art. 50.
4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;
Non sono state presentate conclusioni scritte nè memorie; il ricorrente ha chiesto d’essere ascoltato in camera di consiglio;
5.- Ritenuto:
che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che il ricorso deve perciò essere accolto essendo manifestamente fondato; spese compensate;
visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia davanti al Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, compensando integralmente le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile – 3, il 22 settembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2011