Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21558 del 07/10/2020

Cassazione civile sez. II, 07/10/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 07/10/2020), n.21558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12179/2016 proposto da:

CER TIB SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

F.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso

lo studio dell’avvocato MARIO GIUSEPPE RIDOLA, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SERGIO MENCHINI;

– ricorrenti –

contro

UNIECO SOC COOP, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 77, presso lo

studio dell’avvocato LUCIO LAURITA LONGO, rappresentato e difeso

dagli avvocati ROSARIO DI PASQUALE, DANIELE SILINGARDI;

– controricorrente –

contro

S.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1837/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 06/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/02/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.V. e F.M., quest’ultimo in proprio e quale legale rappresentante della Cer. Tib. s.r.l., hanno convenuto in giudizio la Unieco soc. coop. (d’ora innanzi, la Unieco), premettendo: a) di avere, in data 14 aprile 2006, concluso con quest’ultima una scrittura privata, con la quale si erano obbligati, per un periodo di quarantacinque giorni, a non avviare e concludere trattative con altre parti per la vendita di un terreno di loro proprietà di circa 75.000 metri quadrati, con destinazione commerciale, al fine di consentire alla Unieco di compiere la verifica degli atti e documenti di cui all’allegato 2 della scrittura; b) che le parti si erano impegnate, al termine di tale verifica, qualora gli atti e documenti fossero risultati “veritieri, validi e vigenti”, a stipulare, nell’arco dei successivi sette giorni, un contratto preliminare avente ad oggetto l’acquisto del terreno; c) che le parti avevano, altresì, convenuto che la somma di 250.000,00 Euro, versata dalla Unieco, a titolo di deposito, sarebbe stata imputata a titolo di acconto sul prezzo, nel caso di conclusione del contratto preliminare, mentre sarebbe stata definitivamente acquisita dagli attori, in caso di esito positivo della verifica e di mancata conclusione del contratto preliminare da parte della Unieco; d) che, al contrario, in caso di esito negativo della verifica o comunque di mancata conclusione del contratto da parte degli attori, questi ultimi avrebbero dovuto versare alla Unieco la somma ricevuta a titolo di deposito e altro importo a titolo di liquidazione forfetaria del danno.

Gli attori, rilevato che la Unieco, in data 30 maggio 2006, aveva comunicato l’esito negativo della verifica, hanno contestato la tempestività e rispondenza al vero di siffatta comunicazione, chiedendo accertarsi il loro diritto a trattenere la somma ricevuta.

Il Tribunale di Reggio Emilia ha rigettato tale domanda e ha accolto la domanda riconvenzionale della Unieco, condannando gli attori alla restituzione della somma di 250.000,00 Euro e al pagamento della somma di 100.00,00 Euro, a titolo di penale.

2. Con sentenza depositata il 6 novembre 2015 la Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’appello principale proposto da F.M. e dalla Cer. Tib. s.r.l. nonchè l’appello incidentale proposto da S.V. avverso la decisione di primo grado.

Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che l’attività di verifica prevista dalla scrittura privata doveva essere temporalmente collocata nell’arco dei quarantacinque giorni successivi alla conclusione dell’accordo; b) che, con riferimento al punto n. 15 dell’allegato n. 2 alla scrittura privata, doveva ritenersi che, contrariamente a quanto osservato dal Tribunale, le autorizzazioni relative alla realizzazione del casello stradale fossero effettivamente esistenti, alla luce dell’approvazione del IV atto aggiuntivo alla convenzione stipulata tra l’ANAS s.p.a. e Autostrade per l’Italia; c) che, invece, doveva ritenersi negativo l’esito della verifica con riguardo al punto n. 8 dello stesso allegato (parere Area Valutazione Impatto Ambientale della Regione Lazio); d) che da siffatto parere si evinceva che “la viabilità di accesso è stata basata, quindi, sulla viabilità attualmente disponibile e sulla prevista bretella di raccordo allo svincolo autostradale”; e) che, pertanto, il parere assumeva la bretella di raccordo come specifico oggetto di previsione, unitamente alla viabilità già esistente, al fine di consentire un rapido e diretto collegamento tra gli assi viari e il terreno; f) che, al momento dell’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio, la bretella di raccordo non era presente negli atti autorizzativi e nei molteplici progetti e documenti esaminati dall’ausiliario.

3. Avverso tale sentenza il F. e la Cer.Tib. s.r.l. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, ai quali la Unieco ha resistito con controricorso. Lo S. non ha svolto attività difensiva. I ricorrenti e la controricorrente hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1.

Si rileva: a) che la verifica prevista dalla scrittura privata del 14 aprile 2006 aveva ad oggetto esclusivamente la veridicità, la validità e la vigenza della documentazione espressamente indicata e non anche il contenuto della documentazione stessa; b) che la Corte territoriale aveva alterato l’equilibrio negoziale ammettendo che la verifica potesse investire l’esistenza di autorizzazioni relative alla viabilità secondaria che le parti non avevano neppure menzionato.

La doglianza è infondata.

Al riguardo, va ribadito che le censure contenute nel ricorso per cassazione non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione di parte ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (v., ad es., Cass. 28 novembre 2017, n. 28319; Cass. 27 giugno 2018, n. 16987).

Ciò posto, il fine dell’attività interpretativa del giudice, ai sensi dell’art. 1362 c.c., è l’accertamento del significato, oggettivamente espresso, della volontà delle parti.

D’altra parte, l’elemento letterale deve essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, coordinando tra loro le singole clausole come previsto dall’art. 1363 c.c., giacchè per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (Cass. 8 giugno 2018, n. 14882).

In ogni caso, persino il dato testuale del contratto, pur importante, non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione della volontà delle parti, giacchè il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sè chiare, atteso che un’espressione prima facie chiara può non risultare più tale se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti; ne consegue che l’interpretazione del contratto, da un punto di vista logico, è un percorso circolare che impone all’interprete, dopo aver compiuto l’esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l’intenzione delle parti e quindi di verificare se quest’ultima sia coerente con le restanti disposizioni del contratto e con la condotta delle parti medesime (Cass. 10 maggio 2016, n. 9380).

Ora, la tesi dei ricorrenti, secondo i quali la verifica dei documenti espressamente indicati nella scrittura privata non avrebbe potuto estendersi anche al contenuto della documentazione stessa, si pone in rotta di collisione con la stessa nozione di veridicità che i ricorrenti medesimi assumono (“rispondenza al vero delle informazioni e delle conclusioni contenute nella documentazione messa loro a disposizione”).

Infatti, nel caso del parere relativo alla necessità di sottoporre o non l’opera della quale si parla (ossia, come ricordano gli stessi ricorrenti anche nel terzo motivo di ricorso, il centro commerciale Tiberino alla cui realizzazione era interessata la Unieco) alla procedura valutazione di impatto ambientale, le conclusioni raggiunte riposano sui presupposti oggettivi considerati.

Ne discende che, salvo intendere quali siano i presupposti rilevanti ciò che attiene all’esame dei motivi successivi -, non v’è dubbio alcuno che, già sul piano letterale, la nozione di “veridicità”, correlata ad un parere, deve necessariamente investire la sussistenza dei presupposti alla stregua dei quali esso è stato espresso.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1, con riguardo alla interpretazione fornita del parere dell’Area Valutazione Impatto Ambientale della Regione Lazio.

Si osserva: a) che tale parere è un documento finalizzato a verificare se al Progetto del centro commerciale Tiberino, ossia del centro che la Unieco era interessata a realizzare, dovesse o non essere applicata la procedura di valutazione d’impatto ambientale; b) che nell’indicato parere, la bretella di raccordo allo svincolo autostradale era indicata come solo “prevista” e non anche come “autorizzata”.

La doglianza è infondata, giacchè l’interpretazione razionalmente fornita dalla Corte territoriale del parere del quale si discute è che esso sia giunto alla conclusione della non necessità di applicare la procedura di valutazione di impatto ambientale, in ragione della viabilità di accesso basata, secondo quanto gli stessi ricorrenti riconoscono, “sulla viabilità attualmente disponibile e sulla prevista bretella di raccordo allo svincolo autostradale”.

La Corte territoriale, in questa prospettiva, non ha operato alcuna confusione tra opere previste e opere autorizzate. Essa ha piuttosto ritenuto che la previsione di una bretella, unita alla già esistente rete viaria, rappresentasse uno dei presupposti del parere del quale si discute.

Il fatto poi che la stessa non fosse contemplata nella documentazione esaminata dal consulente, con riferimento all’arco temporale dei quarantacinque giorni dalla sottoscrizione della scrittura privata, assunto dalle parti come rilevante ai fini della verifica, dimostra l’insussistenza di tale infrastruttura che, sia pure in termini non di effettiva esistenza ma di inclusione nella programmazione, rappresentava uno dei presupposti del parere sopra ricordato.

3. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 1362 c.c., comma 1, per avere la Corte territoriale, sempre nell’interpretare il parere Area Valutazione Impatto Ambientale della Regione Lazio, valorizzato un brano dello stesso, astraendolo dal contesto nel quale era inserito.

Secondo i ricorrenti, dal citato parere emergerebbe: a) che il sistema di viabilità di accesso al costruendo centro commerciale presentava il vantaggio della vicinanza con l’autostrada Al, alla luce della realizzazione del casello di (OMISSIS); b) che, nell’ambito di tale sistema infrastrutturale, la bretella di raccordo non era neppure menzionata, essendone stata “derubricata” la funzione ad un migliore collegamento con gli “assi viari di interesse regionale e locale”; c) che, in definitiva, la bretella di raccordo era stata ritenuta un’opera secondaria, funzionale ad assicurare un migliore smaltimento del traffico, ma non certamente un presupposto indefettibile per l’esclusione del centro commerciale dalla procedura di valutazione di impatto ambientale; d) che siffatta conclusione era confermata dalla circostanza che il parere non aveva menzionato la bretella all’interno delle condizioni e prescrizioni che si sarebbero dovute necessariamente assicurare.

La doglianza è inammissibile, per le ragioni indicate supra sub 1.

I ricorrenti, alla stregua di una sintetica e incompleta riproduzione del parere del quale si discute (e in un contesto nel quale lo stesso ricorso, nell’esposizione del secondo motivo, ricorda che in esso è dato leggere che “la viabilità di accesso è stata basata, quindi, sulla viabilità attualmente disponibile e sulla prevista bretella di raccordo allo svincolo autostradale”), contrappongono alla lettura della Corte territoriale una diversa interpretazione dello stesso, nell’ambito della quale la bretella di raccordo rappresenterebbe un mero accessorio. Nè, in senso contrario, assume rilievo l’esistenza di distinte condizioni e prescrizioni, una volta ritenuto che la previsione della bretella di raccordo fosse stata assunta nel parere come oggetto di previsione specifica.

4. In conseguenza, il ricorso va rigettato e i ricorrenti vanno condannati, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, alla luce del valore e della natura della causa nonchè delle questioni trattate.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2020

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