Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21557 del 07/10/2020

Cassazione civile sez. II, 07/10/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 07/10/2020), n.21557

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15974/2018 proposto da:

IMMOBILIARE CINEMA E TEATRI AMBROSIANI DI R.Z. & C.

S.A.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, e

F.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE SANTO n. 2,

presso lo studio dell’avvocato FULVIO ROMEO, rappresentati e difesi

dall’avvocato MICHELE ZANCHI;

– ricorrenti –

contro

PREFETTURA DI MILANO, in persona del Prefetto pro tempore,

domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 11669/2017 del TRIBUNALE di MILANO, depositata

il 20/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/02/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto Dott.

ALESSANDRO PEPE, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’avvocato FULVIO ROMEO per delega dell’avvocato MICHELE ZANCHI

per parte ricorrente, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato il 24.4.2014 la Immobiliare Cinema Teatri Ambrosiani di R.Z. & C. S.a.s. e F.M. proponevano opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione di Euro 5.133 emessa nei loro confronti dalla Prefettura di Milano, Ufficio Territoriale del Governo, per violazione dell’arti della L. n. 386 del 1990, a fronte dell’emissione di un assegno bancario senza autorizzazione del trattario. In particolare, gli opponenti deducevano che la Immobiliare Cinema Teatri Ambrosiani di R.Z. & C. S.a.s. aveva consegnato nel (OMISSIS) un assegno bancario privo di data a G.E., a fronte dell’attività di mediazione dalla stessa prestata in occasione della vendita di un immobile di proprietà della società sito in (OMISSIS); che il debito era stato poi regolato con altro titolo, senza che contestualmente venisse restituito dalla G. l’assegno inizialmente consegnatole; che nel 2013 la società aveva chiuso i rapporti con l’istituto di credito sul quale il titolo era stato tratto, avendo cura di chiedere un rendiconto degli assegni ancora circolanti, nel quale quello di cui è causa non compariva per errore della banca trattaria. Allegavano pertanto che la G. aveva illecitamente negoziato il titolo ad ottobre 2013, dopo avervi apposto la data, successivamente alla chiusura del rapporto di conto corrente sul quale esso risultava emesso. Evocavano quindi in giudizio sia la Prefettura che la G. chiedendo l’annullamento dell’ordinanza ingiunzione opposta.

Si costituivano in giudizio con separate comparse la Prefettura di Milano, per resistere all’opposizione, e la G., per invocare il proprio difetto di legittimazione passiva e l’estromissione dal giudizio.

Con sentenza n. 16391/2015 il Giudice di Pace di Milano rigettava l’opposizione, dichiarando l’estromissione della G..

Interponevano appello gli odierni ricorrenti e si costituiva in seconde cure la G., resistendo al gravame. Rimaneva invece contumace la Prefettura di Milano.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 11669/2017, il Tribunale di Milano rigettava l’impugnazione compensando le spese.

Il Tribunale fondava la propria decisione su una duplice ratio decidendi: per un verso, in linea di fatto, argomentava che gli appellanti, odierni ricorrenti, non avevano offerto “la rigorosa prova della data di emissione”; per altro verso, in linea di diritto, faceva proprio il principio che chi emette un assegno bancario privo della data di emissione risponde (quanto meno a titolo di dolo eventuale) dell’illecito amministrativo previsto dalla L. n. 386 del 1990, art. 1 (come sostituito dal D.Lgs. n. 507 del 1999, art. 28), qualora il titolo venga datato e posto all’incasso quando l’autorizzazione ad emetterlo sia venuta meno (vedi Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14322 del 20/06/2007, Rv.597910).

Propongono ricorso per la cassazione di detta pronuncia Immobiliare Cinema Teatri Ambrosiani di R.Z. & C. S.a.s. e F.M. affidandosi a tre motivi.

Il ricorso, originariamente chiamato dinanzi alla sesta sezione civile di questa Corte all’adunanza camerale del 16.5.2019 (per la quale i ricorrenti depositavano una memoria ex art. 380 bis c.p.c.), è stato rinviato all’udienza pubblica con ordinanza interlocutoria n. 16098/2019 con onere a parte ricorrente di provvedere alla notificazione del ricorso all’Avvocatura Generale dello Stato nel termine di 30 giorni dalla comunicazione.

Con atto depositato in cancelleria in data 10.7.2019 la parte ricorrente documentava l’adempimento dell’incombente, mediante produzione di ricorso in rinnovazione notificato in data 1.7.2019 all’Avvocatura Generale dello Stato, la quale ultima, conseguentemente, depositava atto di costituzione per l’Ufficio Territoriale del Governo di Milano, ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza.

La causa è stata quindi discussa alla pubblica udienza dell’11.2.20, nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe e la parte ricorrente ha depositato una attestazione rilasciata alla sig.ra F.M. dalla banca Crèdite Agricole Italia s.p.a concernente l’insussistenza, alla data del 30 gennaio 2020, di segnalazioni presso la Centrale di Allarme Interbancaria ostative all’emissione di assegni da parte della stessa sig.ra F..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 1, della produzione documentale effettuata dai ricorrenti in data 11/02/2020 (peraltro senza ottemperare all’onere della notifica a controparte mediante elenco, previsto dello stesso art. 372 c.p.c., comma 2).

Ancora preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità dell’eccezione di prescrizione L. n. 689 del 1981, ex art. 28, del diritto dell’Amministrazione di riscuotere le somme dovute per la violazione per cui è causa, sollevata dai ricorrenti nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in prossimità dell’adunanza del 16.5.2019; le memorie illustrative di cui agli artt. 378 e 380 bis c.p.c., infatti, sono destinate esclusivamente ad illustrare ed a chiarire i motivi della impugnazione, ovvero alla confutazione delle tesi avversarie, cosicchè nelle stesse non possono essere dedotte nuove censure nè sollevate questioni nuove, che non siano rilevabili d’ufficio, e neppure può essere specificato, integrato o ampliato il contenuto dei motivi originari di ricorso (ex multis, Cass. n. 24007/17).

Con i primi due motivi, rispettivamente riferiti al vizio di violazione di legge e al vizio di omesso esame di fatto decisivo, i ricorrenti attingono, rispettivamente, la ratio in jure e la ratio in facto – quanto all’elemento oggettivo dell’illecito – della sentenza gravata.

In particolare, con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 23,25 Cost., L. n. 689 del 1981, art. 1 e L. n. 386 del 1990, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale avrebbe applicato analogicamente in malam partem la norma sanzionatoria, estendendo la sanzione prevista per l’ipotesi di emissione dell’assegno senza autorizzazione al diverso caso in cui, al momento della consegna del titolo, l’autorizzazione esistesse e, fosse poi venuta meno medio tempore, tra l’emissione e la negoziazione del titolo stesso. Secondo i ricorrenti, poichè l’assegno viene emesso alla consegna nelle mani del prenditore, è in quel momento che va verificata l’esistenza, o meno, dell’autorizzazione all’emissione del titolo, in assenza della quale scatta la sanzione prevista dall’arti della L. n. 386 del 1990.

Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè il Tribunale non avrebbe considerato che i ricorrenti avevano fornito la prova documentale che l’assegno era stato emesso nel 2008, ovverosia cinque anni prima della chiusura del rapporto di conto corrente con l’istituto trattario, ed avevano anche provato di aver estinto aliunde il credito vantato dalla G., nè, per altro verso, avrebbe valutato la mancata contestazione, da parte di quest’ultima, della deduzione circa il collegamento dell’assegno con la vicenda negoziale del 2008.

Ragioni di ordine logico impongono di iniziare dall’esame del secondo motivo.

Il Tribunale di Milano afferma che gli odierni ricorrenti avevano “… prodotto un elenco di assegni da cui risulterebbe come gli assegni con i numeri immediatamente antecedenti a quello oggetto di causa siano stati negoziati il 21/10/09, e quelli con i numeri di serie più alti risultino emessi in anni diversi e successivi. Tale documento comunque non rappresenterebbe la rigorosa prova della data di emissione (ben potendo un assegno essere conservato ed emesso di fatto successivamente) ma soprattutto appare ininfluente ai fini della decisione” (cfr. pag.4 della sentenza impugnata). Con tale passaggio della motivazione il giudice di merito ha ritenuto non raggiunta la prova dell’emissione dell’assegno nel 2008 e, quindi, non superata la presunzione di coincidenza tra data di emissione e data di negoziazione del titolo.

La censura mossa a tale argomentazione con il secondo motivo di ricorso non può trovare accoglimento, in quanto con la stessa si lamenta la mancata valorizzazione di circostanze che il Tribunale ha, invece, esaminato, ritenendole non decisive (in particolare, la data in cui furono incassati gli assegni recanti numeri seriali immediatamente precedenti e successivi a quello di cui è causa) e si invoca un complessivo riesame della valutazione delle risultanze istruttorie, in violazione del principio secondo cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez.3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595: conf. Cass. Sez.1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv.631448; Cass. Sez.L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv.631330).

Il secondo motivo di ricorso va quindi rigettato. Da tale rigetto discende l’inammissibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, del primo motivo (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11493 del 11/05/2018, Rv. 648023: “Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa”).

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 3 e della L. n. 386 del 1990, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale non avrebbe apprezzato l’assenza della loro colpa. Ad avviso dei ricorrenti, infatti, il giudice di merito avrebbe dovuto valorizzare la circostanza che l’istituto di credito, in occasione della chiusura del rapporto di conto corrente su cui il titolo era stato a suo tempo tratto, aveva fornito un rendiconto sugli assegni ancora circolanti, tra i quali non risultava indicato quello di cui si discute. Di conseguenza, quando i ricorrenti hanno chiuso il rapporto di conto corrente non avevano alcuna contezza che il titolo di cui è causa fosse ancora esistente e circolante.

Anche il terzo motivo va giudicato inammissibile, giacchè, pur denunciando un vizio di violazione di legge, si risolve, in effetti, in una doglianza relativa all’apprezzamento di fatto operato dal Tribunale in ordine alla ricorrenza dell’elemento soggettivo dell’illecito.

Al riguardo il Collegio rileva che il suddetto apprezzamento di fatto non è stato censurato con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 e che, comunque, il Tribunale ha preso in esame anche, e specificamente, la circostanza di cui nel motivo si lamenta l’omessa valorizzazione, ossia il fatto che il titolo de quo non era menzionato nell’elenco degli assegni ancora circolanti rilasciato dalla banca alla ITCA all’atto della chiusura del conto corrente su cui il titolo era stato tratto (vedi pag. 4 della sentenza: “L’appellante lamenta poi che il GdP abbia erroneamente ritenuto l’esistenza dell’elemento soggettivo (terzo motivo), considerato che ITCA avrebbe chiesto a Cariparma la lista degli assegni ancora in circolazione e nella nota dell’Istituto bancario non vi era quello in oggetto… In ogni caso, pare connotata da inammissibile negligenza la condotta di chi, senza farsi restituire il titolo rilasciato per un debito che si assume altrimenti estinto, abbia “scordato” l’emissione di un assegno per importo assai rilevante (Euro 67.500,00), nel contesto di un rapporto trilaterale già connotato di di litigiosità, così consentendone la negoziazione nel momento in cui veniva meno l’autorizzazione della Banca trattaria”).

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, tra loro in solido, al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.700 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2020

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