Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21554 del 07/10/2020

Cassazione civile sez. II, 07/10/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 07/10/2020), n.21554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2290/2016 proposto da:

D.G., rappresentata e difesa dagli Avvocati FEDERICO

PERGAMI, e CRISTINA POTOTSCHNIG, ed elettivamente domiciliata,

presso lo studio dell’Avv. Massimo Panzarani, in ROMA, PIAZZA CAVOUR

17;

– ricorrente –

contro

M.A., rappresentata e difesa dall’Avvocato ETTORE TREZZI, ed

elettivamente domiciliata, presso lo studio dell’Avv. Francesco

Picone, in ROMA, VIA A. GRAMSCI 22;

– controricorrente –

e contro

S.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2584/2015 della CORTE d’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/01/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine il rigetto del ricorso;

uditi l’Avv. MASSIMO PANZARANI per la ricorrente e l’Avv. ETTORE

TREZZI per la controricorrente, che hanno concluso, rispettivamente,

come in atti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 29.9.2009, M.A. e S.D. citavano in giudizio D.G. chiedendo l’accertamento del diritto reale di servitù di passaggio carraio e pedonale a carico della proprietà della convenuta e a favore del fondo finitimo degli attori, lungo il muro di fabbricato di proprietà D., e la condanna della convenuta alla rimozione delle opere (pilastri con sovrastante terrazza e muretto con sovrastante inferriata a limitazione dell’area prospiciente il fabbricato) che impedivano l’esercizio della servitù da parte degli attori, i quali non potevano transitare lungo il muro per accedere al fabbricato di loro proprietà. Chiedevano altresì la condanna della convenuta al ripristino del pozzo, della vasca e della pompa comuni e di dichiarare l’illegittimità dello scarico del pluviale ordinandone l’eliminazione. In via subordinata, chiedevano di accertare che il fondo di proprietà degli attori fosse intercluso e costituire servitù di passaggio ex art. 1051 c.c., sul fondo della convenuta.

Si costituiva in giudizio D.G., eccependo l’estinzione della servitù per prescrizione, in ragione del mancato esercizio ventennale e chiedendo, in via principale, il rigetto di tutte le domande e, in via riconvenzionale, accertato che la causa delle macchie di muffa e umidità, riscontrate lungo la parete perimetrale della camera da letto della convenuta, derivava dalla proprietà degli attori, condannare i medesimi all’eliminazione della suddetta causa.

Con sentenza n. 2127/2013, depositata in data 16.9.2013, il Tribunale di Monza accertava e dichiarava l’esistenza del diritto di servitù di passo, carraio e pedonale, a vantaggio del fondo di cui al mappale 118, di proprietà di M.A. e S.D., sito in (OMISSIS) e a carico del fondo di cui ai mappali nn. (OMISSIS), di proprietà della convenuta; ordinava alla convenuta la rimozione di qualunque impedimento all’esercizio della suddetta servitù; condannava la D. al ripristino del pozzo, della vasca e della pompa comuni; ordinava alla convenuta la rimozione dello scarico del pluviale sulla proprietà degli attori, dopo aver dato atto dell’illegittimità dello stesso; rigettava ogni residua domanda ed eccezione e condannava la convenuta al pagamento di 1/4 delle spese di lite e di CTU. In particolare, il Tribunale rilevava che in base all’atto notarile del 5.5.1951 n. rep. (OMISSIS) (intervenuto tra Sa.Gi. e Mo.An.) il proprietario del mappale (OMISSIS) (oggi (OMISSIS) di proprietà degli attori) avesse diritto di accesso dal passaggio largo tre metri, adiacente al muro di fabbrica, sul mappale (OMISSIS) (oggi (OMISSIS) di proprietà della convenuta) e che il pozzo, la pompa e la vasca siti su questo passaggio fossero di proprietà comune. Tale clausola era integralmente trascritta nel rogito del 3.10.2008 n. rep. (OMISSIS), intervenuto tra Sa.Lu. (avente causa da Gi.) e gli attori. Inoltre, il Giudice di primo grado riteneva che l’onere della prova della prescrizione per non uso della servitù non fosse stato assolto dalla convenuta.

Avverso la sentenza proponeva appello D.G. chiedendone la riforma.

Si costituiva in giudizio solo M.A., la quale, in via principale, chiedeva il rigetto del gravame e, in via subordinata, in caso di accoglimento dell’eccezione di prescrizione, di accertare e dichiarare che il fondo di sua proprietà fosse parzialmente intercluso e costituire servitù di passaggio ex artt. 1051-1052 c.c., sul fondo di proprietà dell’appellante.

Non si costituiva in giudizio S.D., del quale veniva dichiarata la contumacia.

Con sentenza n. 2584/2015, depositata in data 17.6.2015, la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Monza, rigettava la domanda degli attori di condanna della convenuta al ripristino del pozzo, della vasca e della pompa comuni; compensava tra le parti le spese di lite di primo grado e di CTU; compensava tra le parti le spese di lite del grado di appello nella misura del 50%. In particolare, la Corte territoriale non riteneva provato da parte della D. il mancato esercizio della servitù per un periodo ininterrotto di venti anni. Invece, il Giudice di secondo grado affermava che ormai gli immobili fossero collegabili con l’impianto idrico comunale e che mancava la prova che l’inservibilità delle opere comuni (pozzo, vasca e pompa) derivasse da una condotta ascrivibile alla D..

Avverso la suddetta sentenza propone ricorso per cassazione D.G. sulla base di due motivi, ciascuno dei quali riguardante diversi profili, illustrati da memoria; resiste M.A. con controricorso; l’intimato S.D. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo la ricorrente lamenta, in termini generali, il “Vizio di motivazione per omesso integrale esame di un documento non valutato o insufficientemente valutato, in ordine a un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, là dove la Corte di merito non avrebbe tenuto in debita considerazione alcuni elementi probatori che, se opportunamente esaminati, avrebbero condotto a una statuizione diversa rispetto a quella emanata.

1.1. – Il motivo è inammissibile, giacchè il suo contenuto risulta privo di una autonoma valenza, e formulato senza il necessario rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non avendo la ricorrente indicato specificamente il “fatto storico” (ovvero gli argomenti probatori) il cui esame sarebbe stato omesso.

Laddove, poi, va rilevato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 28887 del 2019).

1.2. – Con il profilo sub 1.a), la ricorrente censura il “Vizio di motivazione della sentenza per omesso esame della dichiarazione a firma di Sa.Pi. del 16.11.2008, non valutata o insufficientemente valutata: l’intervenuta estinzione per non uso del diritto reale minore di servitù di passaggio”. Il documento de quo, depositato nel giudizio di primo grado, riguardava la dichiarazione di Sa.Pi., dante causa dell’odierna ricorrente nella compravendita dell’immobile di sua proprietà, nella quale si specificava che da oltre 25 anni nessuno fosse mai passato sul fondo dell’allora sua proprietà per raggiungere l’immobile di proprietà degli attori, in quanto i danti causa degli attori accedevano al loro terreno attraverso il portico sotto il loro immobile, disabitato da almeno 10 anni e in seguito chiuso con serranda basculante. Secondo la ricorrente le risultanze di tale documento non esaminate sono tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre risultanze probatorie sulle quali è basato il convincimento.

1.2.1. – La censura non è fondata.

1.2.2. – La richiamata dichiarazione a firma di Sa.Pi. costituisce, in quanto atto proveniente da un terzo, prova atipica.

Orbene, è principio consolidato che le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite possono essere liberamente contestate dalle parti, non applicandosi alle stesse nè la disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 c.c., nè quella processuale di cui all’art. 214 c.p.c., atteso che esse costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario, e che possono, quindi, contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo (Cass. sez. un. 15169 del 2010; conf. Cass. 23155 del 2014; Cass. 76 del 2010; Cass. n. 19354 del 2005).

Peraltro, l’esercizio negativo della facoltà spettante al giudice (ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2) non può in ogni caso essere censurato in sede di legittimità nè come vizio di violazione di legge nè come vizio di motivazione, per il fatto che il giudice ha esercitato un potere discrezionale sul materiale probatorio (così Cass. 13635 del 2001). Come infatti efficacemente sottolineato (Cass. n. 5635 del 2002), l’art. 116 c.p.c., attribuisce al giudice un potere discrezionale, il cui esercizio va motivato, ma non già il mancato esercizio, come invece accade per le prove tipiche, trattandosi di prova atipica o innominata (Cass. n. 20673 del 2012).

1.3. – Con il profilo sub 1.b.1), la ricorrente deduce il “Vizio di motivazione della sentenza per omesso integrale esame dell’atto di “assegnazione dei beni immobili” redatto a ministero del Dott. G.C. 5.9.1951 (Rep. n. (OMISSIS)), dell’atto di “vendita immobiliare” 3.10.2008 (Notaio Dott.ssa B.E. – n. (OMISSIS) Rep. e n. 13283 Racc.), perfezionato tra i signori Sa.Lu. (dante causa) e i signori M. – S. (aventi causa), dell’atto di “divisione immobiliare” 28.1.1964 (Notaio Dott. P., n. 70660 di Rep. e n. 16432 di Racc.), segnatamente in relazione alla planimetria ivi allegata, non valutata o insufficientemente valutata: l’inesistenza del diritto di servitù di passaggio carraio e/o comunque l’intervenuta prescrizione per non uso ventennale dello stesso”. La ricorrente osserva che sia l’atto notarile del 1951, sia quello del 2008 prevedevano il diritto di accesso dal passaggio largo tre metri, adiacente al muro di fabbrica, sul mappale (OMISSIS)” (ora (OMISSIS) di proprietà della D.), senza specificare che si trattasse di una servitù di passaggio carrabile.

1.3.1. – Il profilo non è fondato.

1.3.2. – La ricorrente richiama la giurisprudenaza di legittimità, secondo la quale se il titolo costitutivo non lo preveda in modo chiaro (come asseritamente nella fattispecie) si deve ritenere che il beneficiario abbia il potere di passare solamente a piedi (Cass. n. 5434 del 2010).

Ma è la stessa pronuncia a porre in rilievo che, in tema di servitù prediali, l’art. 1063 c.c., stabilisce una graduatoria delle fonti regolatrici dell’estensione e dell’esercizio delle servitù, ponendo a fonte primaria il titolo costitutivo del diritto, mentre i precetti dettati dai successivi artt. 1064 e 1065 c.c., rivestono carattere meramente sussidiario. Tali precetti, pertanto, possono trovare applicazione soltanto quando il titolo manifesti al riguardo lacune o imprecisioni non superabili mediante l’impiego di adeguati criteri ermeneutici; ove, invece, il contenuto e le modalità di esercizio risultino puntualmente e inequivocabilmente determinati dal titolo, a questo soltanto deve farsi riferimento, senza possibilità di ricorrere al criterio del soddisfacimento del bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente” (Cass. n. 7639 del 2009; Cass. n. 8853 del 2004; Cass. n. 7795 del 2002).

Proprio la lettura degli atti notarili in questione, operata dall’interprete mediante l’impiego degli adeguati criteri ermeneutici, rispetto alle modalità dell’esercizio della servitù puntualmente e inequivocabilmente determinata dai titolo (non trovando altrimenti alcuna coerenza logica la pattuita larghezza della servitù) ha portato la Corte di merito a confermare, correttamente, la attribuzione del Tribunale del contenuto della servitù carrabile oltre che di passo (sentenza impugnata, pagg. 2 e 4).

1.3.4. – Con il profilo sub 1.b.2), la ricorrente deduce l’estinzione per non uso del diritto di servitù di passaggio (quantomeno) carraio in capo ai M. – S.. La Corte di merito, richiamando la CTU, ha affermato che i pilastri del terrazzo erano stati ricostruiti dalla D. in occasione della ristrutturazione dell’immobile e che non fosse nota la precedente posizione e consistenza dei pilastri, ma che, in ogni caso, anche a volersi attenere alla planimetria allegata all’atto di divisione del 1964, non risultava che fosse impedito il passaggio sotto i pilastri per raggiungere la proprietà M. – S.. Invece, secondo la ricorrente dalla data dell’atto di divisione immobiliare del 28.1.1964 la servitù di passaggio (per lo meno) carrabile non sarebbe stata utilizzata. Infatti, secondo il CTU, sul passaggio interessato dalla servitù di passo insistevano anche due pilastri di sostegno di un terrazzo e una scala, come da planimetria allegata.

1.3.5. – Il profilo è inammissibile.

1.3.6. – Costituisce principio consolidato di questa Corte quello secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 6368 del 2019; Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016). Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di appello sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo Giudice (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013; Cass. n. 1554 del 2004).

1.3.7. – Inoltre, va rilevato che, in sostanza, la censura si risolve altresì nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 3638 del 2019; Cass. n. 5939 del 2018).

Come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

1.4. – Con il profilo sub 1.c), la ricorrente censura il “vizio di motivazione della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, non valutato o insufficientemente valutato: l’inesistenza del diritto di servitù di passaggio e/o comunque l’intervenuta prescrizione per non uso ventennale dello stesso, stante la non interclusione del fondo”. La decisione impugnata non avrebbe tenuto in considerazione un ulteriore fatto decisivo e cioè che il fondo di proprietà dei M. – S. non sia intercluso, essendo accessibile pedonalmente (come precisato dalla CTU), tramite una porta sul retro dell’autorimessa (come del resto confermato dal Tribunale di Monza in sede di procedimento cautelare attivato dai resistenti nel 2012).

1.4.1. – Il profilo è inammissibile.

1.4.2. – Il parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 17 giugno 2015) esso consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Viceversa, nel profilo in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non v’è alcuna idonea e spcifica indicazione.

Laddove, l’assunto secondo cui il fondo di proprietà dei M. – S. sarebbe accessibile pedonalmente tramite una porta sul retro dell’autorimessa non è tale da escludere di per sè la interclusione del fondo (ed è quindi carente di decisività).

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta il “Vizio di nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine alla (non) illegittimità dello scarico del pluviale, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 112 c.p.c.”, giacchè, pur avendo la ricorrente medesima formulato nell’atto di appello specifico motivo di gravame attinente l’erronea condanna da parte del Tribunale di Monza alla rimozione dello scarico del pluviale ritenuto illegittimo, la Corte d’Appello non ha provveduto al relativo esame.

2.1. – Il motivo è fondato.

2.2. – Nel dispositivo della sentenza di primo grado del Tribunale di Monza (n. 2127/2013), il giudice, “dato atto dell’illegittimità dello scarico del pluviale sulla proprietà degli attori, ordina(va) alla convenuta la rimozione dello stesso” (v. dispositivo sentenza di primo grado, trascritto nel ricorso).

Nell’atto di appello, la odierna ricorrente ha formulato specifico motivo di gravame avverso detta condanna da parte del Giudice di primo grado, deducendo la legittimità della propria condotta nella sotituzione del pluviale stesso (v. atto di appello D. pag. 18, nonchè precisazione delle conclusioni trascritte nella sentenza d’appello).

Tale motivo di appello non è stato esaminato dalla Corte di merito, la quale non vi ha fatto alcun riferimento, nè vi ha provveduto.

2.3. – E’ pacifico il principio secondo cui sussiste causa di nullità della sentenza (nella specie in parte qua) per omessa pronuncia censurabile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 112 c.p.c., qualora il giudice non provveda sul motivo di impugnazione formulato in appello (Cass. n. 6929 del 2013), sempre che, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti (diversamente dal motivo oggetto del presente esame, con riguardo alla domanda ad esso sottesa) necessariamente la sua reiezione, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che (come nella fattispecie) si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (ex plurimis, Cass. n. 15255 del 2019; Cass. n. 17956 del 2015; Cass. n. 21612 del 2013).

3. – Il primo motivo di ricorso va dunque rigettato. Va viceversa accolto il secondo motivo; la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di questo giudizio.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso. Accoglie, per le ragioni dette, il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2020

 

 

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