Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21549 del 07/10/2020

Cassazione civile sez. I, 07/10/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 07/10/2020), n.21549

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3016/2019 proposto da:

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), domiciliato per legge in Roma,

alla Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.M., elettivamente domiciliato in Sondrio, alla Via

Mazzini n. 69, presso lo studio dell’Avvocato Manuela Mauro, che lo

rappresenta e difende;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE di APPELLO di MILANO, depositata il

28/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/07/2020 dal Consigliere Dott. IRENE SCORDAMAGLIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza pubblicata il 28 novembre 2018, pronunciando sull’appello proposto da P.M., in parziale riforma dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano in data 24 gennaio 2018, ha riconosciuto all’appellante, cittadino del Bangladesh, il diritto ad ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. Il Collegio di merito, confermata la decisione di primo grado quanto al diniego della protezione maggiore – sub specie dello status di rifugiato, per non essere la vicenda dell’appellante connotata da atti di persecuzione diretta e personale rapportabili alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, o della protezione sussidiaria, non emergendo elementi sufficienti a fondare il convincimento che l’appellante, ritornando in patria, potesse correre il rischio effettivo di subire un danno grave alla persona nell’accezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ha stimato, invece, sussistenti i requisiti per il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria; ciò perchè, avuto riguardo alla connotazione aperta ed elastica della misura di protezione complementare, atta a valorizzare situazioni di vulnerabilità soggettiva non predeterminate, era da ritenersi che l’appellante avrebbe potuto subire le conseguenze negative dello sradicamento dal Paese nel quale egli si era stabilmente inserito, istaurando proficue relazioni sociali e svolgendo attività lavorativa in maniera continuativa che gli garantiva ò l’autosostentamento, considerata, oltretutto, la disastrosa situazione economica del Bangladesh, in cui il richiedente, appartenente al ceto contadino, non avrebbe avuto alcuna possibilità di offrire a sè, alla madre e alle sorelle il necessario per condurre un’esistenza minimamente dignitosa.

3. Il ricorso del Ministero dell’Interno domanda la cassazione della suddetta sentenza per un sole. nativo.

4. P.M. si è difeso con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è articolato in un solo motivo, con il quale si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, l’errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione al diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, in quanto riconosciuto dalla Corte territoriale dando rilievo, per un verso, alla generica situazione di precarietà socio-politica ed economica del Bangladesh e alla pluriennale durata della permanenza in Italia del richiedente, per altro verso, al buon inserimento socio-lavorativo da questi ivi conseguito.

2. L’esame della censura porta al rigetto del motivo, per le ragioni di seguito esposte.

3. Va, infatti, osservato che la Corte di appello non si è limitata all’astratto richiamo dei presupposti che legittimano il riconoscimento della protezione umanitaria D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 (applicabile ratione temporis alla stregua del dictum delle Sezioni Unite, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062), ma ha specificamente evidenziato gli indicatori fattuali comprovanti la situazione di personale e concreta vulnerabilità del richiedente, in quanto esposto al grave ed individualizzato rischio di subire, in caso di rimpatrio, la lesione dei suoi diritti primari a cagione di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti fondamentali della persona umana, suscettibili di attingerne la stessa dignità.

3.1. Al riguardo va richiamato il diritto vivente (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062, cit.), cui si deve l’enunciazione del principio secondo il quale: “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato”; principio che è stato spiegato affermando che: “Non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza”, prendendosi, altrimenti, in considerazione:”… non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma, piuttosto, quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

3.2 Ciò sta a significare che, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (Sez. 1, n. 13079 del 15/05/2019, Rv. 654164): tanto comporta la necessità di apprezzare il rischio dello straniero di essere immesso nuovamente in un contesto sociale, politico o ambientale capace di determinare una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti inviolabili, considerando globalmente ed unitariamente i singoli elementi fattuali accertati (Sez. 1, n. 7599 del 30/03/2020, Rv. 657425).

3.3. Apprezzamento che, nel caso al vaglio, è stato correttamente compiuto. La Corte territoriale, infatti, con il porre in rilievo la circostanza che il richiedente, costretto ad allontanarsi dal Bangladesh per i rovesci finanziari dovuti alla moria delle bestie (pollame) da lui allevate, ritornando in patria, non avrebbe avuto l’occorrente per assicurare a sè e ai familiari, che dipendevano da lui, le condizioni minime per condurre un’esistenza dignitosa, le stesse essendo negate agli appartenenti al ceto contadino, ha dato seguito al principio di diritto secondo il quale i seri motivi di carattere umanitario, che legittimano la concessione della protezione delineata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, possono positivamente riscontrarsi, nel caso in cui, all’esito del giudizio comparativo tra la situazione esistente nel Paese ospitante e quella esistente nel Paese di origine, risulti un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa e individuabili specifiche correlazioni tra tale sproporzione e la vicenda personale del richiedente (Sez. 1, n. 2563 del 4/02/2020), di modo che, ai fini del riconoscimento della protezione complementare, occorre tener conto, ove allegata, anche della condizione economico-sociale del paese di origine del richiedente, nell’ipotesi in cui in essa sussista una situazione di assoluta ed inemendabile povertà per alcuni strati della popolazione, o per tipologie soggettive analoghe a quelle del ricorrente, e di conseguente impossibilità di poter provvedere almeno al proprio sostentamento, dovendosi ritenere configurabile, anche in tale ipotesi, la violazione dei diritti umani, al di sotto del loro nucleo essenziale.

4. S’impone, pertanto, il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’Amministrazione ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00, oltre ad Euro 200,00 a titolo di spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2020

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