Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21548 del 25/10/2016


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Cassazione civile sez. II, 25/10/2016, (ud. 20/09/2016, dep. 25/10/2016), n.21548

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22546-2012 proposto da:

T.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

DEL FANTE 10, presso lo studio dell’avvocato BETTONI ALESSANDRA, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABRIZIO SALBERINI

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA

73, presso lo studio dell’avvocato NICOLA NANNI, che lo rappresenta

e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3974/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Alessandra Bettoni per il ricorrente e l’Avvocato

Nanni Nicola per il controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 17 novembre 2000 P.C., proprietario dell’immobile in (OMISSIS), conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma T.M..

L’attore assumeva che il suo immobile aveva sempre avuto due finestre nella camera vicino alla cucina e che il convenuto, proprietario dell’abitazione confinante, aveva sopraelevato la propria costruzione al punto che il suo tetto combaciava con le suddette finestre, a cui aveva pure apposto delle grate in ferro.

Egli chiedeva, pertanto, la condanna di T.M. a rimuovere le sbarre da lui apposte, ad abbattere la sopraelevazione ed a risarcire i danni.

Si costituiva il convenuto, il quale chiedeva il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, che l’attore fosse condannato a chiudere le aperture ed a risarcire i danni.

Il Tribunale di Roma, istruita la causa con l’escussione di testi, il deposito di documenti e l’espletamento di una Ctu, con sentenza n. 231/04, accoglieva la domanda attrice e rigettava la riconvenzionale. T.M. proponeva appello, chiedendo la riforma della sentenza impugnata.

La Corte di Appello di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 3974/11, accoglieva in parte l’appello e stabiliva che la copertura a ridosso delle finestre dell’appartamento dell’appellato fosse portata alla quota della traccia rappresentata dalla striscia longitudinale più inclinata già presente sulla parete dell’immobile P. ed inglobata nella zona di sottocopertura dell’immobile T..

Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione Mauro 1’assinari, articolandolo su due motivi.

P.C. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con i suoi due motivi di ricorso che, stante la loro stretta connessione, possono essere trattati congiuntamente, T.M. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 905 c.c. e ss, artt. 1140, 1151, 1165 e 2946 c.c. e art. 112 c.p.c., nonchè il difetto e la contraddittorietà della motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, poichè la corte territoriale aveva basato la sua statuizione su delle deposizioni non attendibili, senza tenere conto che la presenza e la consistenza della costruzione non erano state costanti nel tempo e che il crollo della prima struttura non era antecedente al 1970.

In particolare, il ricorrente afferma che, in seguito al suddetto crollo, era venuta meno l’apparenza della servitù di veduta vantata da controparte.

T.M. contesta, inoltre, l’erroneità della valutazione della pianta catastale del 1939 e la mancata nomina di un nuovo Ctu.

La doglianza è infondata.

In primo luogo, si osserva che, dalla lettura del ricorso e della sentenza, emerge come alcuna contestazione relativa all’apparenza della servitù di veduta, in correlazione alle modifiche della costruzione de qua, sia stata proposta in precedenza, con conseguente inammissibilità dell’impugnazione sul punto.

Peraltro, dalla sentenza impugnata si evince che l’immobile del ricorrente era sempre rimasto coperto, e che “le risultanze delle fotografie della sociestà Sara Nistri non appaiono dirimenti proprio perchè potrebbero testimoniare…solo la precarietà delle copertine dopo l’abbattimento ordinato dal comune per la contestata sopraelevazione”.

Da ciò si evince che non assumono rilievo, ai fini della soluzione della controversia, gli eventuali cambiamenti della suddetta costruzione, non incidendo sul diritto del resistente.

Ed, invero, l’erroneo presupposto) su cui si fionda il motivo del ricorrente è che il, diritto di servitù veda come fondo servente la copertura, laddove in senso contrario deve ribadirsi clic il diritto di servitù di veduta, a tutela del quale ha agito l’intimato è a carico dell’intera proprietà del ricorrente, gravando sul fondo nella sua interezza, ed indipendentemente quindi dal fatto che la copertura del solaio fosse o meno presente.

Pertanto, una volta affermata l’esistenza delle vedute nella proprietà del resistente, e nella loro attuale conformazione a partire quanto meno dal 1939, l’essere venuta meno la copertura per effetto di un crollo risalente ad un’epoca anteriore al 1970, non incide in alcun modo sulla permanenza del diritto a tutela del quale ha agito il P., dovendo il carattere dell’apparenza della servitù, essere riferito alle vedute stesse e non al fondo, o meglio ai manufatti ivi presenti, sul quale la veduta si esercita.

Quanto al profilo relativo al mancato rinnovo della Ctu, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre la rinnovazione delle indagini, con la nomina di altri consulenti, e che l’esercizio od il mancato esercizio di un tale potere non è censurabile in sede di legittimità (Cass., Sez. 1, n. 8355 del 3 aprile 2007, Rv. 595701).

Nella specie, inoltre, la Corte di Appello di Roma ha chiarito, con motivazione logica e completa, non sindacabile nella presente sede, che la non attendibilità della planimetria del 1939 è stata accertata dal Ctu (e confermata in sede di chiarimenti), in seguito alla “misungione f fitta sulla stessa della distolga intercorrente tra le facce esterne della parete… dell’appartamento P….e dal riscontro di una lunghezza di circa un metro inferiore a quella attuale”. Il perito dell’ufficio aveva accertato, infatti, che tale metro di differenza non era spiegabile neppure con errori grafici “stante la rilevante misura”, per cui la planimetria più affidabile era quella del 1986, “le cui risultane erano pressochè conformi alla situazione obiettiva dei luoghi.

La discrepanza non era neppure riconducibile, come sostenuto dal Ctp del ricorrente, alla realizzazione di cubature successive al 1939, con variazioni dei muri trasversali e migrazione delle aperture, in quanto di codeste variazioni non era stata rinvenuta traccia sulla facciata.

La corte territoriale ha pure ritenuto che le emergenze processuali deponessero nel senso della preesistenza delle vedute “nell’assetto attualmente esistente”, come si evinceva dal fatto che l’ampiezza delle aperture delle vedute coincideva in tutte le planimetrie esaminate dal Ctu, a partire da quella del 1939, e che per tale motivo doveva escludersi che “i segni di intonaco sulla parete esterna dell’appartamento P. possano ricollegarsi a due aperture precedenti e poi migrate”.

la Corte di appello di Roma ha sottolineato, altresì, che l’appellante, “par adducendo che il nonno avrebbe murato le primitive bici nel 1963 circa” non aveva fornito prova di ciò, mentre “dal raffronto tra le fotografie del 1986 e quella del 1999” emergeva che le finestre avevano mantenuto la stessa posizione, così trovando un riscontro oggettivo le testimonianze del M. e dell’ A., i quali avevano confermato che le aperture non avevano subito modifiche negli anni.

Quanto alla doglianza concernente la non corretta valutazione delle deposizioni dei testi dell’attuale ricorrente, la stessa corte territoriale ne ha rilevato la genericità.

Peraltro, sul punto il ricorso risulta non autosufficiente, non avendo T.M. neppure riportato il contenuto delle testimonianze da esaminare.

Per l’effetto, ed in presenza di una completa ed argomentata valutazione delle risultanze istruttorie, il ricorso si prospetta come volto essenzialmente a sollecitare una non consentita rivalutazione della stesse, attività questa preclusa in sede di legittimità.

2. Ne consegue il rigetto del ricorso.

3. Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente, che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge.

Si dà atto che la sentenza è stata redatta con la collaborazione dell’Assistente di Studio Dott. C.D..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2016

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