Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21548 del 21/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 21/08/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 21/08/2019), n.21548

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23778/2017 proposto da:

P.D., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato ALDO

LICCI;

– ricorrente –

contro

BANCA SELLA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIROLAMO DA CARPI 6, presso

lo studio dell’avvocato ANDREA PIETROPAOLI, rappresentata e difesa

dall’avvocato MASSIMO CONDINANZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1066/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 12/04/2017 R.G.N. 1501/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/04/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ALDO LICCI;

udito l’Avvocato ANDREA PIETROPAOLI per delega scritta dell’Avvocato

MASSIMO CONDINANZI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1066/2017 la Corte di appello di Lecce, rigettato l’appello incidentale di P.D., originario ricorrente, in accoglimento dell’appello proposto da Banca Sella s.p.a., ha respinto la domanda con la quale il P. aveva chiesto accertarsi la illegittimità, con le conseguenze di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, nel testo antecedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 92 del 2012, del licenziamento disciplinare intimatogli dall’istituto di credito con lettera in data 29 giugno 2010.

1.1. Il giudice di appello, per quel che ancora rileva, esclusa la tardività della contestazione, ha premesso essere ininfluente al fine della configurabilità della responsabilità disciplinare la circostanza che il P. fosse stato assolto in sede penale dal reato di favoreggiamento reale con formula “perchè il fatto non sussiste” in quanto sul piano del rapporto di lavoro ed in conformità del contenuto della contestazione disciplinare venivano in rilievo condotte connesse alla violazione di specifici doveri del dipendente alla cui osservanza era tenuto il P., preposto ad una filiale di (OMISSIS) dell’istituto di credito datore di lavoro ed investito di ampi poteri gestionali, anche di rappresentanza dell’azienda bancaria; una condotta imprudente nella valutazione della clientela e delle operazioni a rischio riciclaggio, alla luce delle stringenti norme di legge che regolano il settore, ben poteva costituire fonte di responsabilità contrattuale quale quella addebitata al dipendente, a prescindere dalla configurabilità di fatti di rilievo penale. Nel merito, ricordato che la sentenza penale aveva riconosciuto l’esistenza dei fatti ascritti nella loro materialità, ha ritenuto che il P. effettivamente fosse incorso nella violazione contestata avente ad oggetto la omessa segnalazione, ai fini della normativa antiriciclaggio, di numerose operazioni sospette le quali, pur formalmente poste in essere da tre diverse società – amministrate o di proprietà di prestanome – vedevano coinvolto L.M., pluripregiudicato per reati contro il patrimonio, bancarottiere, vicino ad un noto clan mafioso barese; tale condotta, in sè gravemente lesiva del rapporto fiduciario, con particolare riferimento all’elevato grado funzionale di preposto di sportello bancario rivestito dal dipendente, assorbiva la necessità di considerazione dell’ulteriore addebito rappresentato dal rinvenimento nei cassetti della scrivania del P. di moduli firmati in bianco.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso P.D. sulla base di nove motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo e controverso, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla corrispondenza dei fatti alla base del procedimento disciplinare e di quelli alla base del giudizio penale (v. pag. 5, 4 capoverso). Assume che il giudice di appello aveva trascurato di considerare che la sanzione del licenziamento originava dalla contestazione di condotte imputate al P. in relazione al procedimento penale, con effetto di totale interdipendenza dei relativi accertamenti; in conseguenza, una volta esclusa la responsabilità penale doveva venire meno anche quella disciplinare atteso che la contestazione disciplinare aveva riguardo a fatti contestati a titolo di dolo e non di colpa. Sotto altro profilo denunzia che il giudice di merito aveva contraddittoriamente dapprima escluso la connessione tra i procedimenti penale e disciplinare e, ciò nonostante, posto a base della decisione alcuni punti della sentenza penale relativi però a condotte non addebitate nell’originaria contestazione.

2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, sotto il duplice profilo della violazione del contraddittorio e della tempestività della contestazione. Sotto il primo profilo evidenzia che la contestazione disciplinare non faceva riferimento alla persona del L. ed alla condotta del P. rispetto a tale personaggio; in conseguenza, non potevano venire in rilievo, nella verifica dei fatti contestati, considerazioni attinenti al detto L. ed ai suoi precedenti penali ma esclusivamente aspetti connessi alla valutazione della clientela ed alla operatività con tecniche di frazionamento destinate ad eludere i controlli antiriciclaggio; solo nel corso del giudizio di appello, in violazione del principio di immutabilità della contestazione, l’istituto datore aveva introdotto quale elemento della contestazione la natura della personalità dell’autore mediato e cioè il L.. Sotto il secondo profilo censura la valutazione di tempestività della contestazione effettuata dal giudice di appello, sostenendo, in sintesi, che se la contestazione dei fatti di rilievo disciplinare era slegata dalla vicenda penalistica, come sostenuto dalla Banca e condiviso dalla Corte di merito, allora nella valutazione della tempestività della contestazione dovevano essere espunti gli elementi relativi all’indagine penale.

3. Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo e controverso oggetto di discussione tra le parti al fine della valutazione di tempestività della contestazione disciplinare rappresentato dal momento terminale delle indagini penali e dalla irrogazione delle sanzioni. Il fatto omesso era costituito dalla circostanza che la contestazione disciplinare del 9.3.2010 non era avvenuta al termine delle indagini penali, rese conoscibili al datore di lavoro con l’esercizio dell’azione penale il 17.1.2013, ma in epoca di molto anteriore.

4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo e controverso oggetto di discussione tra le parti rappresentato dall’oggetto della contestazione disciplinare. Tale contestazione concerneva la mancata segnalazione di alcune operazioni ma non implicava che la relativa pericolosità dipendesse dal coinvolgimento nelle stesse del L.; tantomeno la contestazione concerneva i rapporti tra quest’ultimo e il P..

5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 345 c.p.c.. Censura la sentenza impugnata sul rilievo che mai nel giudizio di primo grado la Banca aveva introdotto fatti che avessero a che fare con una presunta colpa del P. in relazione a condotte imprudenti nella valutazione e considerazione della personalità del L., avendo la stessa svolto una difesa esclusivamente incentrata sulla contestazione disciplinare e sui comportamenti dolosi in essa addebitati. Lamenta che i rapporti con il L. rappresentati nell’atto di appello della società configuravano allegazioni di fatti nuovi dei quali si sarebbe dovuta rilevare la inammissibilità.

6. Con il sesto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio rappresentato dalla circostanza che il P. non poteva conoscere la pericolosità del L.. Il giudice di appello aveva omesso di esaminare la prova scritta rappresentata dalla sentenza penale del Tribunale di Bari che aveva rilevato la carenza di prova della conoscenza da parte del P. dei reati commessi dal L.; il giudice di appello aveva, inoltre, errato nel qualificare quest’ultimo come cliente della Banca.

7. Con il settimo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 2967 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere affermato la responsabilità, per colpa, del P. nel non avere segnalato operazioni anomale non potendo non essergli nota la personalità del soggetto nel cui interesse erano presumibilmente compiute le operazioni.

8. Con l’ottavo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la Corte di merito posto a fondamento della decisione fatti sui quali, in violazione dell’art. 115 c.p.c., era mancata del tutto la prova. Assume che solo in secondo grado la Banca aveva allegato profili di responsabilità attinenti alla colpa del P., senza offrire prova di tale colpa in particolare quanto alla pericolosità del L. ed al mancato utilizzo della ordinaria diligenza da parte del dipendente.

9. Con il nono motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, omessa pronunzia sulla domanda relativa alla nullità del licenziamento per difetto di specificità della contestazione.

10. Il primo motivo di ricorso è inammissibile. La sentenza impugnata ha affermato la necessità di considerazione autonoma del fatto oggetto di imputazione penale (dal quale il P., imputato di favoreggiamento reale e riciclaggio, era stato assolto per difetto di prova dell’elemento psicologico e cioè della consapevolezza della origine illecita delle somme di danaro connesse ai movimenti operati sui conti correnti in oggetto) da quello oggetto di rilievo disciplinare attinente alla violazione di precisi obblighi, scaturenti dalla normativa antiriciclaggio, facenti capo al P. quale preposto a uno sportello bancario.

10.1. Le doglianze articolate con il motivo in esame, intese, in sintesi, a dimostrare l’assoluta corrispondenza dei fatti addebitati in sede penale con quelli addebitati in sede disciplinare (in particolare quanto alla volontà di agevolare l’azione delittuosa altrui) sono inidonee alla valida censura della decisione sul punto per la dirimente considerazione che il fatto del quale si denunzia omesso esame, non è innanzitutto un fatto storico nel senso chiarito da Cass. Sez. Un. 8053 del 2014 ma frutto di valutazione scaturente da un procedimento di comparazione di risultanze documentali, non evocate, peraltro, nel rispetto degli oneri imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Nessuna contraddittorietà è poi evincibile dalla circostanza che pur rimarcando l’autonomia delle condotte rilevanti sul piano disciplinare da quelle rilevanti sul piano penale la Corte abbia utilizzato la sentenza penale nel ritenere le prime accertate nella loro materialità, in quanto alla stregua della medesima sentenza impugnata la differenziazione in concreto tra imputazione penale e imputazione disciplinare si poneva sul piano dell’elemento psicologico e non su quello delle condotte materiali.

11. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Secondo lo storico di lite della sentenza impugnata la lettera di contestazione inviata al P. atteneva alla omessa segnalazione di numerose operazioni sospette le quali, pur formalmente poste in essere da tre diverse società – amministrate o di proprietà di prestanome – vedevano coinvolto L.M. (v. sentenza, pag. 2, capoverso 2). Tale accertamento non è validamente censurato dall’odierno ricorrente il quale, in violazione del principio di specificità del motivo di ricorso ed in particolare del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, omette di trascrivere o riassumere negli esatti termini il contenuto della lettera di contestazione e di esporre come nella fasi di merito si era sviluppata la questione relativa al contenuto della lettera di contestazione.

11.1. E’, inoltre, da rimarcare che la verifica del giudice di appello è stata incentrata specificamente sui fatti oggetto di contestazione disciplinare secondo quanto desumibile dalla sentenza impugnata che individua le condotte addebitate nella omessa segnalazione di numerose operazioni scorrette (v. sentenza pag. 2, capoverso 2) e ritiene oggetto di verifica non la commissione di reati ma l’osservanza da parte del P. dei propri doveri di preposto a sportello bancario (v. sentenza pag. 6, capoverso 7).

11.2. La deduzione relativa alla violazione del principio di immediatezza della contestazione è inammissibile sia in quanto ancorata ad una ricostruzione delle scansioni temporali della vicenda non sorretta da riferimenti alle acquisizioni probatorie delle fasi di merito, e, quindi, non rispettosa del principio di specificità del ricorso, sia in quanto la Corte di merito, valorizzando il carattere relativo del requisito della immediatezza, ha ritenuto il lasso di tempo intercorso tra la conoscenza dei fatti per cui è causa e la contestazione disciplinare assolutamente compatibile con il criterio di relatività tenuto conto del tempo necessario ad una puntuale valutazione dei fatti in vista di una decisione richiedente indubbia ponderazione. Tale valutazione appartiene al merito ed in quanto sorretta da argomentazione logica e congrua si sottrae al sindacato di legittimità (da ultimo Cass. n. 16481 del 2018).

12. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non precisa con riferimento agli atti e documenti di causa da dove emergerebbe la circostanza denunziata della non coincidenza fra l’invio della contestazione e la fine delle indagini penali, circostanza in contrasto con l’accertamento del giudice di merito che ha ulteriormente evidenziato come l’avere atteso la Banca la fine delle indagini penali non poteva essere considerato lesivo della regola della immediatezza della contestazione in quanto elemento potenzialmente idoneo ad essere utile nell’interesse di entrambe le parti.

13. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto fondato su una ricostruzione delle ragioni alla base del decisum di secondo grado non corrispondente al contenuto della sentenza impugnata. Il giudice di appello, infatti, ha espressamente individuato l’oggetto della contestazione nella mancata segnalazione di operazioni sospette ed utilizzato il riferimento alla personalità del L. quale elemento destinato ad avvalorare l’assunto di segnali della esistenza di elementi di rischio trascurati dal P., in funzione della valutazione in termini di particolare gravità della condotta ascritta (v. in particolare sentenza, pagg. 6 e 7).

14. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile in quanto non sorretto, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dalla esposizione dei fatti di causa e dalla trascrizione o riassunto degli atti e documenti a tal fine rilevanti idonei a dimostrare la novità della questione relativa alla persona del L. ed ai rapporti con il P., questione che parte ricorrente in termini apodittici assume posta solo in secondo grado.

15. Il sesto motivo di ricorso è da respingere. La specifica questione della non conoscenza dei precedenti penali del L. da parte del P. non è stata affrontata dalla sentenza impugnata di talchè al fine della valida censura della decisione sul punto occorreva la dimostrazione che tale questione era stata ritualmente introdotta nel giudizio di merito e quindi denunziare la omessa pronunzia sulla stessa (Cass. n. 20694 del 2018, Cass. n. 1435 del 2013, Cass. n. 20518 del 2008, n. 22540 del 2006), onere non adempiuto dall’odierno ricorrente

15.1. L’asserito errore riferito alla insussistenza della qualità di cliente della Banca del L., oltre a non essere dimostrato in termini specifici – avendo peraltro la sentenza evidenziato che il L. non era neppure direttamente cliente della società (v. sentenza, pag. 7, capoverso 1) – è privo di decisività alla luce del fatto che il giudice di appello ha preso in considerazioni operazioni le quali, per la loro intrinseca irregolarità ed a prescindere dalla qualità o meno di cliente della banca del L., imponevano al P. di attivarsi in conformità delle prescrizioni sulla normativa in tema di antiriciclaggio.

16. Il settimo motivo di ricorso è inammissibile in quanto la relativa illustrazione non è coerente con la formale denunzia di violazione di norme di diritto; secondo il costante insegnamento di questa Corte, infatti, il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. 03/08/2007 n. 5353, Cass. 17/05/2006 n. 11501del 2006). In particolare, una questione di violazione dell’art. 2697 c.c., può porsi nelle sole fattispecie in cui il giudice del merito, in applicazione della regola di giudizio basata sull’onere della prova, abbia individuato erroneamente la parte onerata della prova laddove nello specifico ciò di cui si duole la parte ricorrente concerne la presunta carenza di prova delle condotte addebitate, carenza esclusa dal giudice di appello sulla base di accertamento di fatto che poteva essere incrinato solo dalla deduzione di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, evocato nei puntuali termini richiesti da questa Corte (Cass. Sez. Un. 8053 del 2014 cit.).

17. L’ottavo motivo di ricorso è inammissibile. La questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito laddove, come sopra evidenziato, per incrinare l’accertamento di fatto del giudice di merito, occorreva, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile, ratione temporis, alla fattispecie qui scrutinata) come interpretato dalla richiamata pronunzia a Sezioni Unite di questa Corte, la deduzione di omesso esame di un fatto storico di rilevanza decisiva oggetto di discussione tra le parti. In altri termini, l’equivoco in cui incorre parte ricorrente è di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale o sostanziale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio e non invece frutto dell’errata attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva delle norme o di una non corretta sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi normativa (Cass. n. 16038 del 2013, Cass. n. 3010 del 2012, Cass. n. 24756 del 2007, Cass. n. 12984 del 2006). In particolare, la norma prevista dall’art. 2697 c.c. regola l’onere della prova, non anche (come concretamente censurata nella specie) la materia della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, viceversa disciplinata dagli artt. 115 e 116 c.p.c. e la cui erroneità ridonda comunque in vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 15107 del 2013, Cass. n. 21234 del 2012, Cass. n. 19064 del 2006).

18. Il nono motivo di ricorso è inammissibile valendo le considerazioni già formulate in sede di esame del sesto motivo in relazione alle censure riferite ad una questione non specificamente affrontata dalla Corte di merito. Nel caso di specie, posto che la sentenza non argomenta in ordine alla specificità o meno della contestazione, costituiva onere dell’odierno ricorrente, onere in concreto non assolto, dimostrare di avere tempestivamente e ritualmente sollevato tale questione nelle fasi di merito denunziando, quindi, l’omessa pronunzia rispetto alla stessa.

19. Al rigetto del ricorso segue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite.

20. Sussistono i presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 6.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2019

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