Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21547 del 18/09/2017

Cassazione civile, sez. un., 18/09/2017, (ud. 23/05/2017, dep.18/09/2017),  n. 21547

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. BIELLI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10301/2015 R.G. proposto da:

s.r.l. IMMOBILIARE MAGNAGO, con sede a (OMISSIS), in persona

dell’amministratore unico pro tempore, C.A.,

rappresentata e difesa anche disgiuntamente, giusta procura speciale

a margine del ricorso, dagli avvocati Mauro Bonini, Luca Grimoldi e

Daniele Villa, con domicilio eletto in Roma, via Tibullo n. 10,

presso lo studio dell’avvocato Daniele Villa;

– ricorrente –

contro

Città Metropolitana di Milano, (“già Provincia di Milano”), con

sede a (OMISSIS), in persona del Sindaco Metropolitano pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce alla

memoria depositata il 22 maggio 2017, dalle avvocate Alessandra

Zimmitti e Marialuisa Ferrari, con domicilio eletto in Roma, via

Emilia n. 88, presso lo studio dell’avvocato Stefano Vinti, e

successore nel processo della Provincia di Milano, che era stata

rappresentata e difesa nel giudizio d’appello dalle avvocate Angela

Bartolomeo e Marialuisa Ferrari, elettivamente domiciliata in quel

giudizio, in Roma, via di Porta Pinciana, n. 6, presso lo studio del

professore avvocato Piero D’Ameno;

– intimata, partecipante alla discussione –

e

Regione Lombardia, con sede a Milano, piazza Città di Lombardia n.

1, non costituita nè in primo grado nè in appello;

– intimata –

avverso la sentenza n. 28/2015 del Tribunale superiore delle acque

pubbliche, depositata il 6 febbraio 2015, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23

maggio 2017 dal consigliere dottor Stefano Bielli;

udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore generale

dottor Basile Tommaso, che ha concluso il rigetto del ricorso;

udito, per la ricorrente s.r.l. IMMOBILIARE MAGNAGO, l’avvocato Mauro

Bonini, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udita, per la Città Metropolitana di Milano, l’avvocata Alessandra

Zimmitti, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Con sentenza n. 28/2015, depositata il 6 febbraio 2015 e non notificata, il Tribunale superiore delle acque pubbliche (hinc: “TSAP”) rigettava l’appello, compensando le spese del grado, proposto dalla s.r.l. IMMOBILIARE MAGNAGO (hinc: “s.r.l.”) nei confronti della costituita Provincia di Milano e della non costituita Regione Lombardia avverso la sentenza n. 1973/2013 con la quale il Tribunale regionale delle acque pubbliche di Milano (hinc: “TRAP”) aveva solo parzialmente accolto le opposizioni presentate dalla s.r.l. ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, artt. 151 e ss. contro le ingiunzioni n. (OMISSIS) (Euro 15.427,41) e n. (OMISSIS) (Euro 15.222,08), emesse dalla Regione per il pagamento dei canoni per l’utilizzo di acqua pubblica di cui al provvedimento di concessione n. 3618 del 4 marzo 2008 (utenza di acqua pubblica (OMISSIS)) con riferimento, rispettivamente, agli anni 2008 e 2009.

In punto di fatto, il TSAP premetteva che: a) la s.r.l., titolare della predetta concessione di acqua ad uso industriale, aveva impugnato davanti al TRAP le due ingiunzioni di pagamento assumendo che i canoni non erano esigibili perchè sin dal 22 novembre 2007 aveva comunicato la chiusura del pozzo per cessazione dell’attività industriale (a far data dal 9 febbraio 2007) e, poi, aveva chiesto (il 28 dicembre 2008) la variazione della concessione per uso igienico-sanitario della predetta utenza; b) l’adito TRAP – pronunciando nella contumacia della Regione Lombardia e preso atto che la costituita Provincia di Milano aveva chiesto alla Regione la riduzione in autotutela della pretesa relativa al 2009, in quanto dall’agosto di tale anno era cessato l’uso industriale dell’utenza, che era stato modificato in uso igienico-sanitario – aveva accolto solo parzialmente le opposizioni, avendo ritenuto che l’utente (ai sensi del R.D. n. 1285 del 1920, art. 17, lett. b,) era tenuto al pagamento dei canoni per uso industriale sino all’accoglimento della richiesta di variazione e, pertanto, per tutto il 2008 e per sette mesi del 2009; c) la s.r.l. aveva appellato la decisione prospettando quattro censure e chiedendo sia l’accertamento, in riforma della sentenza, dell’inesistenza della pretesa di cui alle ingiunzioni (in ogni caso da revocarsi o dichiararsi nulle), essendo dovuti solo i canoni per l’uso igienico-sanitario a decorrere dalla chiusura dell’azienda (9 febbraio 2007) o, in subordine, dalla sua comunicazione in data 22 novembre 2007, sia la dichiarazione di inesigibilità ed illiquidità dei crediti, sia la condanna delle resistenti, in solido, al risarcimento dei danni (da liquidarsi, eventualmente, in via equitativa).

Su queste premesse, il TSAP, nel rigettare l’appello, osservava che: a) quanto alla prima censura, il TRAP, limitando l’entità dei canoni dovuti per il 2009, non aveva travalicato i limiti della domanda (come invece sostenuto dall’appellante), perchè la stessa s.r.l. aveva chiesto di liquidare i canoni nella misura prevista per l’uso igienico-sanitario; b) la seconda censura (con la quale si lamentava la mancata applicazione del canone per uso igienico-sanitario sin dalla data della presentazione della relativa domanda) era inammissibile, perchè non attaccava l’argomentazione del primo giudice basata sul fatto che il procedimento di “variazione sostanziale” della concessione (ai sensi dell’art. 25, comma 2, lettera b, del Regolamento regionale n. 2 del 2006), iniziato con la domanda presentata dalla s.r.l. il 28 dicembre 2007, era rimasto sospeso fino all’espletamento (avvenuto solo nel 2009) degli adempimenti documentali a carico della utente (art. 10, comma 6, del Regolamento) e si era concluso nell’agosto 2009, nel termine di diciotto mesi dalla domanda, previsto come termine massimo, in difetto di specifica indicazione nella comunicazione dell’avvio di procedimento (art. 10, comma 1, del medesimo regolamento) e coincidente con la scadenza annuale della precedente concessione; c) la terza censura (mancata valutazione delle rassicurazioni fornite dai dipendenti della Provincia sulla celerità della procedura della variazione della concessione ad uso igienico-sanitario) era inammissibile, perchè irrilevante rispetto alla ratio decidendi; d) la quarta censura – relativa alla mancata applicazione della L.R. Lombardia n. 10 del 2009, art. 6, comma 4, (“Il rilascio dell’atto di concessione comporta, per il primo anno, il pagamento anticipato del canone relativo alla frazione di annualità, ivi compresi gli importi per l’uso dell’acqua eventualmente effettuato in pendenza del rilascio della concessione”), là dove il TSAP non aveva accolto la richiesta di considerare dovuto il canone per uso igienico-sanitario dell’acqua sin dalla data della domanda di variazione della concessione – era infondata perchè la R.L. Lombardia n. 10 del 2009, art. 6, comma 1 era stato applicato “in relazione ai mesi trascorsi prima dell’ottenimento” della variante e perchè alla fattispecie doveva applicarsi il R.D. n. 1285 del 1920, art. 17, lett. b), (“La concessione (…) è soggetta alle seguenti condizioni, le quali si intendono accettate dal concessionario e sono per lui obbligatorie, senza che occorra ripeterle nel disciplinare: (…) b) deve pagare i canoni totali o parziali in annualità anticipate quando anche non faccia o non possa fare uso di tutto o in parte della concessione, salvo il diritto di rinunciare alla concessione, con liberazione del pagamento del canone allo spirare dell’annualità in corso al tempo in cui sia stata fatta la rinuncia”).

2.- Avverso la suddetta sentenza, la s.r.l. (dichiarando un valore compreso tra Euro 5.200,00 ed Euro 26.000,00) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi (di cui il primo doppio) e notificato il 15-18 aprile 2015 alla Provincia di Milano ed il 15-17 aprile 2015 alla Regione Lombardia.

3.- L’intimata Regione non si costituisce.

4.- Con memoria depositata il 22 maggio 2017 e non notificata, dichiarano di costituirsi, in forza di procura speciale in calce, i difensori per la Città Metropolitana di Milano (quale successore nel processo della Provincia di Milano ai sensi della L. n. 56 del 2014, art. 1, comma 96, lett. c), chiedendo la conferma della sentenza del TSAP e richiamando gli scritti difensivi della Provincia.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Va premesso che la memoria depositata il 22 maggio 2017 dalla Città Metropolitana di Milano non integra un controricorso (considerate sia la data del suo deposito, effettuato il giorno prima dell’udienza di discussione, sia la sua mancata notifica), ma si limita ad attestare il subentro nel contenzioso alla Provincia, ai sensi della L. n. 56 del 2014, art. 1, comma 96, lett. c).

2.- La s.r.l., con il primo motivo di ricorso, denuncia (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 112 c.p.c., R.D. n. 1775 del 1933, art. 200 e art. 111 Cost., comma 7), la violazione o falsa applicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

La ricorrente premette che con il primo motivo d’appello aveva dedotto che il TRAP, invece di limitarsi a rigettare la domanda, era incorso in ultrapetizione o extrapetizione, perchè aveva accertato come dovuto un ammontare inferiore a quello ingiunto, senza, però, che la Provincia avesse avanzato, neppure implicitamente, domanda “riconvenzionale” di pagamento di tale inferiore importo. Tuttavia il TSAP aveva ritenuto infondata la denuncia di tale vizio affermando, in base ad una erronea interpretazione della domanda proposta in primo grado dalla s.r.l., che era stata la stessa utente a chiedere di accertare il suo debito in misura inferiore a quella ingiunto. Viceversa secondo la ricorrente – con la domanda originaria si era chiesto l’accertamento della debenza del canone nella misura prevista dalla legge per l’uso igienico- sanitario del pozzo per circa Euro 900,00 annui, inferiore a quello determinato dal TRAP per sette mesi del 2009 nella misura di Euro 8.467,97 per uso industriale.

Sempre con riferimento al primo motivo di ricorso, la ricorrente prospetta “in via subordinata” la medesima denuncia, ma in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e art. 112 c.p.c..

2.1.- Il motivo di ricorso, di non semplice interpretazione, non è fondato in relazione ad entrambe le sue articolazioni.

La ricorrente ammette di aver richiesto, con la domanda originaria, di accertare la debenza del canone in misura inferiore a quella ingiuntale e di aver fondato la domanda di riduzione sull’operatività di un titolo concessorio diverso (uso igienico-sanitario del pozzo) da quello considerato nelle ingiunzioni di pagamento (uso industriale dell’acqua). Lamenta, tuttavia, che i giudici di merito abbiano ridotto l’entità del canone dovuto affermando nella sentenza che il titolo concessorio addotto dalla s.r.l. operasse non per tutti periodi considerati nelle ingiunzioni (come invece richiesto in giudizio dalla s.r.l.), ma solo a partire dalla data di accoglimento della richiesta di variazione del precedente titolo. In realtà si è in presenza, nella specie, di un accoglimento giudiziale parziale delle richieste avanzate dalla s.r.l. e, pertanto, non si comprende quale domanda “riconvenzionale” avrebbe dovuto proporre la Provincia, nè in quale “ultrapetizione” od “extrapetizione” siano incorsi il TRAP ed il TSAP (come, del resto, già chiarito nella sentenza impugnata). La tesi della ricorrente è perciò palesemente infondata, ove abbia inteso sostenere che, perchè il giudice accolga limitatamente ad un segmento temporale la domanda intesa alla riduzione del canone per l’intero periodo, occorre una domanda “riconvenzionale” dell’ente concedente (evidentemente contra se, cioè per una entità minore rispetto al canone intero già richiesto ed impugnato dal concessionario): l’infondatezza deriva dal fatto che la riduzione del canone in base alle ragioni dedotte dalla parte fa già parte del thema decidendum per effetto della proposizione di tale domanda.

Ove, invece la ricorrente abbia inteso paradossalmente dolersi della sola parte della sentenza in cui sono state accolte le sue ragioni ed abbia conseguentemente censurato il mancato totale rigetto delle sue richieste, sarebbe altrettanto palese il difetto di interesse all’impugnazione.

3.- Il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso tendono tutti a valorizzare il principio secondo cui l’accoglimento della domanda di variazione sostanziale del titolo concessorio fa retroagire i suoi effetti al momento della proposizione di detta domanda: per la loro connessione, pertanto, debbono essere esaminati congiuntamente.

In particolare, con il secondo motivo di ricorso si denuncia (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 112 c.p.c., R.D. n. 1775 del 1933, art. 200 e art. 111 Cost., comma 7), la violazione o falsa applicazione dell’art. 10 del regolamento della Regione Lombardia n. 2 del 2006. Per la ricorrente, il TSAP, nel dichiarare inammissibile il secondo motivo di appello per difetto di censure riguardanti le argomentazioni del giudice di primo grado, avrebbe erroneamente ritenuto che l’evocazione del principio della domanda amministrativa non costituisse censura della sentenza ed avrebbe perciò violato l’indicato articolo del Regolamento, che – contrariamente a quanto opinato dai giudici di merito – non dispone affatto che il richiedente sia tenuto a pagare il canone dell’originaria concessione sino all’accoglimento della domanda di variante, ma si limita a fissare il limite temporale massimo entro cui deve essere portato a termine il procedimento di variazione della concessione, senza con ciò derogare al principio della domanda amministrativa in forza del quale gli effetti della concessione decorrono dalla domanda amministrativa.

Con il terzo motivo di ricorso si denuncia (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 112 c.p.c., R.D. n. 1775 del 1933, art. 200 e art. 111 Cost., comma 7), la violazione o falsa applicazione dell’art. 10 del regolamento della Regione Lombardia n. 2 del 2006.

Per la ricorrente, il TSAP, nel dichiarare inammissibile perchè irrilevante il terzo motivo di appello (ritenuto non incidente sulla ratio decidendi della sentenza di primo grado), avrebbe erroneamente interpretato il suddetto art. art. 10 del regolamento, come precisato nel precedente motivo di ricorso, e per effetto di tale erronea interpretazione avrebbe considerato irrilevante svolgere attività istruttoria per interrogatorio formale e testi (a suo tempo debitamente capitolata) in ordine alle rassicurazioni fornite dai dipendenti della pubblica amministrazione sulla celerità della procedura della variazione della concessione da uso industriale ad uso igienico-sanitario.

Con il quarto motivo di ricorso, infine, si denuncia (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 112 c.p.c., R.D. n. 1775 del 1933, art. 200 e art. 111 Cost., comma 7), la violazione o falsa applicazione del principio della domanda amministrativa di cui alla L.R. Lombardia n. 10 del 2009, art. 6 e R.D. n. 1285 del 1920, art. 17, lett. b).

Per la ricorrente, il TSAP, nel rigettare la prospettazione dell’appellante e nel dichiarare che alla fattispecie dell’accoglimento di una richiesta di “variante sostanziale” dell’uso della concessione si applica il R.D. n. 1285 del 1920, art. 17, lett. b), non avrebbe considerato che, invece, si applica il citato art. 6 legge regionale, in forza del quale il canone per uso igienico-sanitario è retroattivamente dovuto sin dalla data di presentazione della domanda (nella specie, dal 2007), una volta che questa sia stata accolta.

3.1.- I predetti motivi di ricorso, nel loro complesso, non sono fondati e vanno rigettati.

3.1.1.- Occorre premettere in generale, che, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, il titolo concessorio, in quanto costituisce il diritto del concessionario sulla risorsa idrica, acquista efficacia dal momento del suo rilascio, sia pure in relazione al particolare contenuto del correlativo disciplinare di concessione.

Appare evidente, infatti, che l’istruttoria ed il controllo amministrativo che precedono il rilascio della concessione debbono prendere in considerazione tutti i dati rilevanti successivi alla domanda di concessione: ai fini del rilascio e dell’efficacia della concessione, la normativa applicabile e la situazione di fatto rilevante non sono limitate a quelle esistenti al momento della presentazione della domanda di concessione, ma si estendono necessariamente a quelle successivamente intervenute, sino al momento del provvedimento finale. Infatti, la P.A. con il provvedimento ed il disciplinare di concessione regola le modalità d’esercizio della derivazione a tutela degli interessi generali pubblici e quelli particolari dei terzi.

In altri termini, per costante orientamento giurisprudenziale, “l’Amministrazione deve condurre il suo esame – data anche la preminenza delle esigenze connesse al pubblico interesse ancorchè mutevoli nel tempo rispetto all’interesse del soggetto istante per come rappresentato al momento della istanza – con riferimento alla situazione di fatto e di diritto esistente nel momento in cui, esaurita la occorrente fase istruttoria, essa esprime nelle forme dovute il suo potere decisorio e provvedimentale, e non già con riguardo alla situazione ad origine esistente nel momento in cui essa venne eccitata a provvedere dal titolare dell’interesse pretensivo” (cosìcome per molte altre decisioni, già Cass., Sezioni Unite, n. 1457 del 1993, concernente proprio la materia delle acque pubbliche). Vige pertanto in materia il principio (opposto a quello invocato dalla s.r.l.) della “ordinaria irretroattività degli atti amministrativi, in quanto normalmente rivolti a provvedere per il presente e per il futuro e non a sanare pregresse situazioni viziate” (ibidem). Ciò, ovviamente non esclude che, in via eccezionale, l’amministrazione provveda espressamente in via retroattiva, “ora per allora”: ma ciò deve avvenire, appunto, in casi eccezionali e sempre che tale retroattività: a) non leda la sfera giuridica di terzi avvantaggiando a loro danno il destinatario del provvedimento; b) non venga fatta risalire fino ad un’epoca in cui mancavano i presupposti per l’adozione del provvedimento; c) non comporti la fictio di ritenere come non avvenuti fatti verificatisi anteriormente alla data di emanazione del provvedimento medesimo (ibidem).

3.1.2.- Sempre in via generale, la sottoscrizione del disciplinare di concessione obbliga il concessionario, tra l’altro, a pagare il canone in annualità anticipate, con decorrenza dalla data della concessione o dell’eventuale anteriore autorizzazione provvisoria, ovvero ancora dell’eventuale utilizzo dell’acqua in pendenza della concessione.

In particolare, la L.R. Lombarrdia n. 10 del 2009, art. 6, comma 4, (recante “Disposizioni in materia di ambiente e servizi di interesse economico generale – Collegato ordina mentale”) stabilisce che: “Il rilascio dell’atto di concessione comporta, per il primo anno, il pagamento anticipato del canone relativo alla frazione di annualità, ivi compresi gli importi per l’uso dell’acqua eventualmente effettuato in pendenza del rilascio della concessione”.

Va notato che tale disciplina non riguarda il caso successione nel tempo, senza soluzione di continuità, di diversi titoli concessori, per variazione “sostanziale”.

3.1.3.- Il mutamento dell’uso dell’acqua, rispetto a quello previsto dalla concessione, comporta una variante di tipo “sostanziale” della concessione stessa, che – ove fatto valere dal concessionario – innesca una nuova procedura istruttoria (analoga a quella prevista per una nuova concessione) e conduce ad un altro titolo concessorio, autonomo e sostitutivo rispetto al precedente, regolato da un altro disciplinare, anche con riguardo alla durata ed al canone (già del testo unico di cui al R.D. n. 1775 del 1933, art. 49, commi 1 e 2). L’art. 25, comma 2, lett. b), del Regolamento della Regione Lombardia n. 2 del 2006 (Disciplina dell’uso delle acque superficiali e sotterranee, dell’utilizzo delle acque a uso domestico, del risparmio idrico e del riutilizzo dell’acqua in attuazione della L.R. 12 dicembre 2003, n. 26, art. 52, comma 1, lett. c,) attribuisce natura di “variazione sostanziale” a “b) una diversa destinazione d’uso della risorsa, ovvero un nuovo utilizzo della risorsa che a sua volta comporti una modifica delle opere di derivazione e una significativa variazione qualitativa e/o quantitativa delle acque restituite” e conferma che tale domanda di variazione “è presentata e istruita secondo la disciplina stabilita per le ordinarie domande di nuove concessioni” (comma 1, dello stesso Regolamento n. 2 del 2006).

3.1.4.- La successione dei due diversi titoli concessori menzionati dalla s.r.l. (da uso industriale, seguito da variante “sostanziale” consistente in uso igienico-sanitario) deve ritenersi regolata – come esattamente affermato dal TSAP – non dalla L.R. n. 10 del 2009, art. 6, comma 4 (erroneamente invocato dalla s.r.l.), relativo alla concessione isolata (“per il primo anno”) o comunque in presenza di una soluzione di continuità tra più concessioni, ma dal R.D. n. 1285 del 1920, art. 17, lett. b), (“Regolamento per le derivazioni e utilizzazioni di acque pubbliche”, da ritenersi ancora in vigore, nel limite della compatibilità con il testo unico n. 1775 del 1933), secondo cui “La concessione (…) è soggetta alle seguenti condizioni, le quali si intendono accettate dal concessionario e sono per lui obbligatorie, senza che occorra ripeterle nel disciplinare: (…) b) deve pagare i canoni totali o parziali in annualità anticipate quando anche non faccia o non possa fare uso di tutto o in parte della concessione, salvo il diritto di rinunciare alla concessione, con liberazione del pagamento del canone allo spirare dell’annualità in corso al tempo in cui sia stata fatta la rinuncia”.

Se, dunque, il pagamento del canone della concessione originaria è impedito (in linea di principio) solo dalla rinuncia alla concessione stessa o dalla scadenza del termine della concessione, allora il minor canone derivante dalla concessione variata decorrerà (salvo espressa indicazione nel disciplinare) dalla sostituzione della precedente concessione (se non c’è soluzione di continuità), cioè dal non retroattivo accoglimento della variazione “sostanziale” (nella specie, per uso igienico-sanitario), con obbligo per il concessionario di corrispondere, nel frattempo, il vecchio canone (per uso industriale).

3.1.5.- La sentenza impugnata, poi, ha accertato in punto di fatto (non oggetto di censura) che tra i due titoli concessori in esame v’è stata una soluzione di continuità, in quanto la sopra citata L.R. n. 10 del 2009, art. 6, comma 4, è stato applicato “in relazione ai mesi trascorsi prima dell’ottenimento” della variante. La medesima sentenza aggiunge, sempre in punto di fatto, che il procedimento di “variazione sostanziale” della concessione (ai sensi dell’art. 25, comma 2, lett. b, del Regolamento regionale n. 2 del 2006), iniziato con la domanda presentata dalla s.r.l. il 28 dicembre 2007, è rimasto sospeso (ai sensi dell’art. 10, comma 6 medesimo Regolamento) fino all’espletamento, avvenuto solo nel 2009, degli adempimenti documentali a carico della utente e si è concluso nell’agosto 2009.

3.1.6.- Sulla base di quanto precede risulta che il TSAP ha fatto corretta interpretazione e applicazione dei suddetti principi (“ordinaria irretroattività degli atti amministrativi”) e norme (R.D. n. 1285 del 1920, art. 17, lett. b), tenuto conto degli incensurati accertamenti in fatto giudizialmente compiuti. I motivi in esame vanno pertanto rigettati.

4.- In conclusione, l’intero ricorso va rigettato.

5.- Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e si liquidano, come da dispositivo, in favore della Città Metropolitana di Milano, che ha partecipato alla discussione in pubblica udienza.

6.- Sussistono i presupposti per il raddoppio dell’importo del contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

La Corte, pronunciando a sezioni unite, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla Città Metropolitana di Milano le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle sezioni unite civili, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2017

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