Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21545 del 18/09/2017


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Cassazione civile, sez. un., 18/09/2017, (ud. 23/05/2017, dep.18/09/2017),  n. 21545

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. PETITTI Stefano – Presidente di sez. –

Dott. BIELLI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25647/2013 R.G. proposto da:

Comune di BOLOGNA, con sede a (OMISSIS), in persona del Sindaco pro

tempore dottor M.V., rappresentata e difesa, giusta

procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. Marco Zanasi, con

domicilio eletto in Roma, via Monte Zebio n. 37, presso lo studio

dell’avv. Marcello Furitano;

– ricorrente –

contro

s.r.l. CBS OUTDOOR, (già s.r.l. Viacom Outdoor), con sede a

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del

controricorso, anche disgiuntamente, dagli avvocati Guido Alberto

Inzaghi e Fabio Elefante, con domicilio eletto in Roma, via dei due

Macelli n. 66, presso il loro studio;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 57/01/2013 della Commissione tributaria

regionale dell’Emilia-Romagna, depositata il 7 giugno 2013, non

notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23

maggio 2017 dal consigliere dottor Stefano Bielli;

udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore generale

dottor Basile Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del motivo

di ricorso relativo alla giurisdizione e per il rigetto nel merito

del ricorso;

udito, per il Comune ricorrente, l’avvocato Marco Zanasi, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente s.r.l. CBS OUTDOOR, l’avvocato

Francesco Cerasi, su delega, Fabio Elefante, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Con sentenza n. 57/01/2013, depositata il 7 giugno 2013 e non notificata, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna (hinc: “CTR”) respingeva, compensando le spese di lite, l’appello proposto dal Comune di BOLOGNA (hinc: “Comune”) nei confronti della s.r.l. CBS OUTDOOR (hinc: “s.r.l.”) avverso la sentenza n. 33/15/2008 con la quale la Commissione tributaria provinciale di Bologna (hinc: “CTP”), in accoglimento del ricorso della s.r.l., aveva ordinato al Comune di rideterminare, sulla base della reale superficie di suolo pubblico occupata, il canone di concessione di cui all’impugnata Delib. comunale n. 140 del 2005, con riferimento a 12 impianti pubblicitari retro illuminanti di tipo prismatof, denominati scroller, a disposizione della ricorrente.

In punto di fatto, la CTR premetteva che: a) l’indicata s.r.l., in data 23 luglio 2004, aveva ottenuto dal Comune il rinnovo triennale delle “autorizzazioni” relative ai predetti impianti, subordinatamente al pagamento del “canone di concessione”; b) il Comune, con la Delib. n. 140 del 2005, aveva aumentato del 68% il “canone degli impianti privati fissi assegnati in concessione”, commisurandolo non alla porzione di suolo occupata, ma alle dimensioni dell’impianto; c) la s.r.l. aveva impugnato la delibera comunale davanti alla CTP, deducendo che il criterio di determinazione del canone adottato dal Comune era in contrasto con il D.Lgs. n. 503 del 1997, art. 9, comma 7; d) il Comune aveva controdedotto eccependo l’inammissibilità del ricorso per incompetenza e per tardività; e) il giudice adito, rigettate le eccezioni pregiudiziali del resistente, aveva accolto il ricorso; f) il Comune aveva interposto appello, chiedendo la sospensione cautelare dell’esecutività della sentenza di primo grado ed eccependo: la carenza di giurisdizione; la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 7, della L. n. 2248 del 1865, art. 5; il travisamento ed erronea valutazione dei fatti; la violazione di legge; vizi di motivazione della sentenza; g) entrambe le parti avevano riconosciuto che la CTP aveva erroneamente ricondotto il prelievo in discorso al COSAP (“canone per l’occupazione di suoli e aree pubbliche”), invece estraneo alla controversia; h) l’istanza cautelare del Comune era stata dichiarata inammissibile.

Su queste premesse, la CTR, nel rigettare l’appello, osservava che: a) la CTP (come concordemente riconosciuto dalle parti) aveva erroneamente ricondotto il canone in contestazione al COSAP invece che al “canone per l’installazione di impianti pubblicitari” (CIMP); b) l’errore, tuttavia, era irrilevante, perchè la CTP aveva comunque correttamente fatto applicazione del D.Lgs. n. 503 del 1997, art. 9, comma 7 (il quale, con riferimento alla pubblicità effettuata sui beni di proprietà comunale, prevede tre tipi di entrata comunale: imposta sulla pubblicità; canone di affitto o di concessione; COSAP), affermando che il “canone di concessione” va commisurato alla effettiva occupazione di suolo pubblico; c) la proposta impugnazione della delibera comunale e di “ogni atto presupposto, conseguente e connesso”, nella parte in cui l’aumento del canone era commisurato alla superficie espositiva degli impianti, era ammissibile e non sussisteva l’eccepito difetto di giurisdizione del giudice tributario, perchè la CTP aveva correttamente applicato il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, senza annullare la delibera, ma semplicemente disapplicandola in parte qua; d) le deduzioni del Comune sul difetto di prova erano infondate, dato l’erroneo metodo di calcolo adottato dal Comune; e) la già riconosciuta irrilevanza dell’errore commesso dalla CTP nel qualificare il canone come COSAP rendeva infondate le deduzioni dell’appellante circa la contraddittorietà ed insufficienza motivazionale della sentenza di primo grado.

2.- Avverso la suddetta sentenza, il Comune (dichiarando un valore “indeterminabile”) ha proposto ricorso per cassazione nei confronti della s.r.l., affidato a dieci motivi (di cui il terzo ed il sesto doppi) e notificato con plico spedito il 19 novembre 2013.

Concludeva chiedendo, unitamente alla vittoria delle spese dell’intero giudizio, la cassazione della sentenza di appello: a) con dichiarazione o del difetto di giurisdizione del giudice tributario in materia di canone concessorio o della inammissibilità per tardività del ricorso di primo grado o dell’inammissibilità dell’impugnazione di un atto estraneo all’elenco degli atti impugnabili di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 o della violazione delle norme di diritto indicate nei motivi di ricorso o della nullità della sentenza per omessa pronuncia o per vizi della motivazione; b) con invito a questa Corte a decidere la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, ovvero a rinviare la causa al giudice competente.

3.- La s.r.l. resiste con controricorso notificato con plico spedito il 22 dicembre 2013.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il Comune propone cinque gruppi di motivi di ricorso.

1.1.- Con il primo motivo di ricorso, denuncia (in relazione all’art. 360 c.p.c. c.p.c., comma 1, n. 1), ai sensi dell’art. 37 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 3 il difetto di giurisdizione del giudice tributario (già eccepito in appello) in ordine alle controversie (come quella di causa) relative al canone di concessione per impianti pubblicitari installati su beni appartenenti al Comune, ai sensi dell’ultima parte del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 9, comma 7 (hinc: “canone concessorio”), devolute alla cognizione del giudice ordinario (analogamente al COSAP di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63 e diversamente dall’imposta sulla pubblicità di cui alD.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 1 e 5 o dal CIMP di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 62).

Con il secondo motivo di ricorso, viene denunciato (in relazione all’art. 360 c.p.c. c.p.c., comma 1, n. 3) il medesimo difetto di giurisdizione sotto il profilo della violazione dell’art. 37 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2, 3 e 19, della L. n. 1034 del 1971, art. 5,. del D.L. n. 203 del 2005, art. 3-bis (quale convertito dalla L. n. 248 del 2005), del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 9, comma 7, del D.Lgs. n. 285 del 1992, artt. 23,26, e 27.

Il Comune, con il terzo motivo di ricorso, denuncia (in relazione all’art. 360 c.p.c. c.p.c., comma 1, n. 5, o, in subordine, n. 4,), in primo luogo l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza circa l’affermata giurisdizione del giudice tributario; in secondo luogo, subordinatamente, l’omessa pronuncia sulla predetta eccezione di difetto di giurisdizione.

Lo stesso Comune, con il motivo “3-bis” di ricorso, denuncia (in relazione all’art. 360 c.p.c. c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione attualmente vigente) l’omesso esame circa il fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti costituito “dall’essere il canone concessorio sottratto alla giurisdizione della magistratura tributaria”.

1.2.- Il Comune, con il quarto motivo, denuncia (in relazione all’art. 360 c.p.c. c.p.c., comma 1, n. 5), la contraddittorietà della sentenza di appello là dove afferma che la CTP, da un lato, aveva correttamente individuato l’oggetto della controversia nel canone concessorio (nonostante l’erroneo riferimento al COSAP) e, dall’altro, non aveva annullato la delibera comunale, ma solo disapplicata.

1.3.- Il Comune, nel proporre un terzo gruppo di motivi, con il quinto motivo, proposto in subordine agli altri, denuncia (in relazione all’art. 360 c.p.c. c.p.c., comma 1, n. 4), l’omessa pronuncia sull’eccezione di tardività del ricorso sollevata già in primo grado e nella quale era stato rilevato che il ricorso originario era stato notificato il 6 febbraio 2006 in relazione ad una delibera comunale adottata il 14 giugno 2005. Il ricorrente osserva che non ha alcuna rilevanza sulla fondatezza dell’eccezione la circostanza che il D.L. n. 203 del 2005 sia entrato in vigore il 3 dicembre 2005.

Con il sesto motivo di ricorso, proposto nel caso in cui si ritenesse sussistente una pronuncia implicita, si denuncia (in relazione all’art. 360 c.p.c. c.p.c., comma 1, n. 5) l’omessa o, in subordine, l’insufficiente motivazione sul rigetto dell’eccezione di tardività del ricorso introduttivo.

Lo stesso Comune, con il motivo “6-bis” di ricorso, denuncia (in relazione all’art. 360 c.p.c. c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione attualmente vigente), l’omesso esame circa il fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti costituito dalla dedotta eccezione di tardività del ricorso introduttivo.

Il ricorrente, nel caso di ritenuta pronuncia implicita sull’eccezione di tardività del ricorso, ove non si considerasse censurabile tale pronuncia per vizio di motivazione, denuncia con il settimo motivo (in relazione all’art. 360 c.p.c. c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, del D.L. n. 203 del 2005, art. 3-bis (quale convertito dalla L. n. 248 del 2005), del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 9, comma 7, del D.Lgs. n. 285 del 1992, artt. 23, 26, e 27, art. 2969 c.c.: la decadenza in cui era incorsa la s.r.l. nell’impugnare la delibera era evidente ed era sottratta alla disponibilità delle parti.

1.4.- Il Comune, deducendo un quarto gruppo di motivi, con l’ottavo motivo, denuncia (in relazione all’art. 360 c.p.c. c.p.c., comma 1, n. 1) il difetto di giurisdizione a suo tempo eccepito ai sensi dell’art. 37 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 3 e 19 sotto il profilo che l’impugnata delibera comunale: a) è un atto amministrativo generale non rientrante nell’elenco degli atti impugnabili davanti al giudice tributario ai sensi del citato art. 19; b) è, nella specie, l’unico atto oggetto di impugnazione; c) non è annullabile dal giudice tributario; d) non può essere attinta da un’azione di accertamento di illegittimità (improponibile davanti al giudice tributario).

Con il nono motivo di ricorso viene prospettata la medesima censura di cui all’ottavo motivo, ma sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c. c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione o falsa applicazione dell’art. 37 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2, 3, 7 e 19, della L. n. 1034 del 1071, art. 5, del D.L. n. 203 del 2005, art. 3 bis (quale convertito dalla L. n. 248 del 2005), del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 9, comma 7, del D.Lgs. n. 285 del 1992, artt. 23, 26, e 27, della L. n. 2248 del 1865, allegato E, art. 5.

1.5.- Con il decimo motivo di ricorso, viene denunciata (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1) la violazione o falsa applicazione della L. n. 1034 del 1071, art. 5, D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 9, comma 7, del D.Lgs. n. 285 del 1992, artt. 23,26, e 27 (C.d.S.), 15 preleggi. Secondo il Comune, la CTP ha erroneamente affermato (in violazione delle predette norme) che il canone concessorio va commisurato non alla dimensione del mezzo pubblicitario, ma alla effettiva occupazione del suolo pubblico, senza considerare che, il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 9, comma 7, va interpretato nel senso che anche la dimensione del mezzo comporta l’occupazione di una corrispondente superficie del soprassuolo (come desumibile anche dalle citate norme del codice della strada).

2.- Con il controricorso la s.r.l. eccepisce l’inammissibilità del ricorso in primo grado, perchè: a) la controversia aveva ad oggetto l’accertamento negativo della debenza del canone delle concessioni di impianti pubblicitari fissi su suolo pubblico, calcolato secondo la Delib. comunale n. 140 del 2005, illegittima perchè commisura il canone alle dimensioni del mezzo pubblicitario anzichè alla superficie del suolo occupato (come invece stabilito dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 9,comma 7, u.p.); b) pertanto è inconferente e inammissibile ogni questione sull’impugnabilità e sulla tempestività dell’impugnazione della delibera (motivi dal quinto al nono), costituendo oggetto del giudizio solo l’individuazione del criterio cui commisurare il canone (viene citata, per il merito, Cass. n. 85 del 2013, con cui si afferma la legittimità del criterio basato sulla superficie del suolo occupato); c) sulla questione di giurisdizione (motivi dal primo al quarto, ottavo e nono) si è formato giudicato interno, perchè la CTP ha implicitamente affermato la propria giurisdizione e l’appellante non ha censurato in modo specifico tale pronuncia implicita, essendosi limitato a censurare l’erronea riconduzione del canone oggetto di causa al COSAP. Nel merito (decimo motivo), afferma la correttezza della decisione di appello circa il criterio di calcolo del canone concessorio (diverso da quello riguardante i profili fiscali della diffusione del messaggio pubblicitario), perchè basata sul testo dell’ultima parte del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 9, comma 7, (escludente ogni rilevanza del soprassuolo). Sottolinea che comunque, in subordine, la causa (anche ove fosse rilevato il difetto di giurisdizione) può decidersi nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c. e art. 111 Cost. (viene citata la sentenza di questa Corte, sezioni unite, n. 9946 del 2009), nel senso che il canone concessorio deve essere commisurato alla superficie del suolo occupato dall’impianto pubblicitario fisso.

3.- La parte controricorrente ha eccepito il giudicato interno sulla questione di giurisdizione (motivi dal primo al quarto, ottavo e nono), perchè a suo avviso – la CTP ha implicitamente affermato la propria giurisdizione e l’appellante non ha censurato in modo specifico tale pronuncia implicita, essendosi limitato a censurare l’erronea riconduzione del canone oggetto di causa al COSAP.

L’eccezione non è fondata.

Innanzi tutto, il Comune ha espressamente eccepito, nelle sue controdeduzioni in primo grado, il difetto di giurisdizione della CTP, affermando che: a) l’impugnazione da parte della s.r.l. della Delib. comunale n. 140 del 2005 (emessa il 14 giugno 2005, in tema di “aggiornamento dei canoni concessori per impianti pubblicitari privati fissi situati nel Comune di Bologna”) “esula dalla competenza del giudice tributario”; b) il ricorso della s.r.l. era inammissibile “in primis per il suo oggetto”.

In secondo luogo, con l’atto di appello, il Comune, ponendosi nello stesso ordine argomentativo delle controdeduzioni in primo grado, ha ribadito che il prelievo oggetto di causa è costituito dal “canone di concessione” di cui al D.P.R. n. 639 del 1972, art. 18 (“Qualora la pubblicità sia effettuata su beni di proprietà comunale o dati in godimento al comune, ovvero su beni appartenenti al demanio comunale, la corresponsione della imposta non esclude il pagamento di eventuali canoni di affitto o di concessione, nè l’applicabilità della tassa per l’occupazione dello spazio ed aree pubbliche”), poi, trasfuso nel D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 9, da intendersi evidentemente come richiamo del comma 7 tale articolo (“7. Qualora la pubblicità sia effettuata su impianti installati su beni appartenenti o dati in godimento al comune, l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità non esclude quella della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, nonchè il pagamento di canoni di locazione o di concessione commisurati, questi ultimi, alla effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario”), cioè ai canoni di concessione su beni di proprietà comunale o dati in godimento al Comune (D.P.R. n. 639 del 1972, art. 18), ovvero su beni appartenenti al demanio comunale, commisurati alla effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 9). Con ciò deve ritenersi sostanzialmente, ma chiaramente riproposta in appello l’eccezione di difetto di giurisdizione.

4.- Secondo un ordine di priorità logica deve essere esaminato pregiudizialmente l’ottavo motivo di ricorso, concernente il difetto di giurisdizione del giudice tributario.

Il motivo è fondato nei sensi qui di seguito precisati.

4.1.- La s.r.l. (la quale in data 23 luglio 2004 aveva ottenuto dal Comune il rinnovo triennale delle “autorizzazioni” relative a 12 impianti pubblicitari retro illuminanti di tipo prismatof, denominati scroller, subordinatamente al pagamento del “canone di concessione”) ha impugnato con il ricorso proposto davanti alla CTP la Delib. comunale 14 giugno 2005, n. 140, la quale ha aumentato (come risulta dal suo contenuto) i “canoni di concessione annui (al netto dell’IVA) degli impianti pubblicitari privati” fissi o provvisori, “di qualsiasi tipo, situati nel territorio del Comune di Bologna, qualora ne sia stata autorizzata la collocazione su aree o spazi di proprietà comunale o dati in godimento al Comune, ovvero su beni appartenenti al demanio comunale”, commisurandoli alla superficie del mezzo. La proposta impugnazione si fonda sull’assunto dell’illegittimità del criterio utilizzato dal Comune per la determinazione dei canoni, in quanto basato sulla superficie del mezzo anzichè – come sarebbe invece imposto (ad avviso della ricorrente) dal D.Lgs. n. 503 del 1997, art. 9, comma 7 in tema di imposta comunale sulla pubblicità (ICP) – sulla porzione di suolo occupata.

4.2.- La s.r.l., pertanto, ha impugnato non una pretesa individualizzata di pagamento rivoltale dal Comune, ma un atto generale amministrativo, cioè una Delib. comunale determinativa della tariffa del canone delle concessioni di aree o spazi di proprietà od in godimento del Comune sui quali siano installati mezzi pubblicitari. Il richiamo della s.r.l. ai 12 impianti pubblicitari di cui ha la disponibilità vale solo a identificare il suo interesse a ricorrere, fermo restando che la diretta impugnazione della Delib. comunale è intesa provocare l’annullamento di questa.

4.3.- Da ciò deriva, in primo luogo, che la mancanza, nella specie, di un atto impositivo individualizzato (in senso lato, cioè ricompreso nell’elenco di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, soggetto ad interpretazione estensiva) esclude in radice la giurisdizione del giudice tributario, sia perchè, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5, l’impugnazione diretta ed esclusiva di un atto amministrativo generale va esperita non davanti a detto giudice, ma “nella diversa sede competente” (“Le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente”), sia perchè non è proponibile al giudice tributario una domanda di accertamento negativo della debenza di un tributo (domanda peraltro non proposta, visto il tenore del ricorso introduttivo), data la natura essenzialmente impugnatoria dell’azione davanti a tale giudice (ex permultis, Cass. n. 9181 del 2003, n. 22015 del 2006; Cass., Sezioni Unite n. 24011 del 2007; Cass. n. 3918 del 2008).

4.4.- Dalla stessa constatazione della mancata impugnazione di una pretesa individualizzata di pagamento (un “invito al pagamento del canone concessorio” od uno specifico atto impositivo non sono neppure menzionati o accennati dalle parti) discende anche l’insussistenza, nella particolare fattispecie di causa, della giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, spettante, invece, al giudice amministrativo in base alle seguenti sintetiche argomentazioni.

4.4.1.- In proposito va preliminarmente osservato che, per quanto emerge dalle risultanze di causa, l’impugnata delibera attiene non ad un prelievo tributario sulla diffusione dei mezzi pubblicitari – come l’ICP o l’analoga imposta introdotta dal legislatore in sostituzione dell’ICP con il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 62denominata CIMP, cioè canone per l’installazione di mezzi pubblicitari -, ma ad un canone concessorio cosiddetto “convenzionale” dovuto per l’occupazione da parte di un privato di aree o spazi di proprietà o in godimento del Comune. In particolare, la citata Delib. non ha il contenuto del regolamento che istituisce e disciplina l’ICP od il CIMP (ai sensi, rispettivamente, del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 3, comma 1, e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 62, comma 1). Va ricordato che il prelievo tributario ICP/CIMP è cumulabile con il canone concessorio non tributario, data la diversità del titolo di pagamento e considerato che lo stesso legislatore ha espressamente stabilito per l’ICP, al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 9, comma 7, che “Qualora la pubblicità sia effettuata su impianti installati su beni appartenenti o dati in godimento al comune, l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità non esclude quella della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, nonchè il pagamento di canoni di locazione o di concessione commisurati, questi ultimi, alla effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario” (in senso analogo, nella precedente disciplina dell’ICP, il D.P.R. n. 639 del 1972, art. 18 stabiliva che: “Qualora la pubblicità sia effettuata su beni di proprietà comunale o dati in godimento al comune, ovvero su beni appartenenti al demanio comunale, la corresponsione della imposta non esclude il pagamento di eventuali canoni di affitto o di concessione, nè l’applicabilità della tassa per l’occupazione dello spazio ed aree pubbliche”): ex multis, Cass. n. 13476 del 2012;Cons. Stato, Sezione 5, n. 4857 del 2015; Cass. n. 11673 del 2017).

4.4.2. – Va poi osservato che la stessa delibera comunale, per il suo contenuto (riassunto supra, al punto 4.1.), non attiene: a) nè all’imposta denominata TOSAP (tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche) di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 38 e ss., correlata al presupposto oggettivo delle “occupazioni di qualsiasi natura effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei Comuni e delle Province” (art. 38, comma 1), dovuta (non in funzione di controprestazione) dal “titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza, dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del (…) territorio” (art. 39, comma 1); b) nè al prelievo di natura non tributaria (Corte costituzionale sentenza n. 64 del 2008; ribadita in motivazione dalla sentenza n. 141 del 2009) denominato COSAP (canone per l’occupazione di suoli e aree pubbliche), introdotto dal legislatore in alternativa alla TOSAP al dichiarato fine di ricondurre nell’ambito privatistico il rapporto con l’ente locale (D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63) e dovuto quale controprestazione di una concessione dell’ente locale – effettiva o presunta per legge (nel caso di occupazione abusiva) – dell’uso esclusivo o speciale (permanente o temporaneo) di “strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati”, ovvero anche “di aree private soggette a servitù di pubblico passaggio” (art. 63).

La TOSAP ed il COSAP, infatti, non sono mai richiamati, neppure indirettamente, nella suddetta Delib., la quale si riferisce invece alle ipotesi di concessione per occupazione (di suoli e aree pubbliche, sia pure limitatamente all’occupazione mediante impianti pubblicitari) poste a base dei suddetti prelievi, ma che con essi non si identificano, come dimostrato dalla previsione legislativa della detraibilità dall’importo dovuto per TOSAP/COSAP dell’ammontare del canone concessorio “riscosso” (D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 3: “Dalla misura complessiva del canone ovvero della tassa prevista al comma 1 va detratto l’importo di altri canoni previsti da disposizioni di legge, riscossi dal comune e dalla provincia per la medesima occupazione, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi”).

4.4.3- Per completezza va qui incidentalmente soggiunto che la diversità dei presupposti rende cumulabili anche i tributi alternativi ICP/CIMP, da un lato, e i prelievi TOSAP/COSAP, dall’altro: del resto, la disciplina legislativa nell’ipotesi di occupazione di beni pubblici a fini pubblicitari – espressamente non esclude che la TOSAP o il COSAP si cumulino con l’imposta sulla pubblicità (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 9, comma 7; comma modificato dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 145, comma 55) e prevede, anzi, che la tariffa del CIMP sia “comprensiva” della TOSAP o del COSAP (D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 62, comma 2, lett. d; lettera modificata dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 10, comma 5, lett. b).

4.4.4.- La riconduzione dell’oggetto della impugnata delibera – in base ai rilievi che precedono – alla determinazione dei criteri generali dell’entità dei canoni concessori “convenzionali” (non importa qui stabilire se, nella specie, si sia in presenza di canoni “dominicali”, cioè “ricognitori”, nel senso che sono dovuti solo a titolo di riconoscimento del diritto di proprietà dell’ente locale su di un bene oggetto di concessione, con quantificazione non rapportata all’utilità economica ricevuta dal concessionario; oppure, al contrario, “non ricognitori”, nel senso che hanno la funzione di corrispettivo, quale controprestazione per l’uso particolare del suolo pubblico da parte del concessionario, come ad esempio il canone dovuto all’ente proprietario per l’occupazione delle strade ai sensi dell’art. 27 C.d.S., commi 7 e 8) non implica però che la instaurata controversia sia devoluta alla cognizione della giurisdizione ordinaria. Infatti l’impugnazione diretta della delibera (sostanzialmente, l’unico atto oggetto della controversia) esclude che si sia in presenza di una controversia sulla mera debenza del canone o dell’indennità o del corrispettivo devoluta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria ai sensi dell’art. 133, lett. b) e c) cod. proc. amm. (secondo cui spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione delle controversie, rispettivamente, “aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche”; ovvero “in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”) ovvero, già in precedenza, ai sensi della L. n. 1034 del 1971, art. 5 (“Sono devoluti alla competenza dei tribunali amministrativi regionali i ricorsi contro atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni o di servizi pubblici. Si applicano,ai fini dell’individuazione del tribunale competente, l’art. 3, commi 1 e 2. Resta salva la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle dei tribunali della acque pubbliche e del tribunale superiore delle acque pubbliche, nelle materie indicate nel testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 140 – 144”). La questione prospettata in giudizio dalla s.r.l. attiene, in realtà, ai presupposti generali della determinazione del canone concessorio, con riferimento ai poteri valutativo-discrezionali dell’amministrazione comunale esercitati nella scelta dei criteri di detta determinazione. Tale scelta, poichè è effettuata dal Comune in base (anche) ad una valutazione comparativa degli interessi generali, non può considerarsi “meramente” patrimoniale e, pertanto, non è direttamente inquadrabile in un rapporto di tipo paritario tra pubblica amministrazione concedente e concessionario del bene o del servizio pubblico, secondo lo schema “obbligo-pretesa”, riservato alla cognizione del giudice ordinario: si è, dunque, nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo (vedi, nello stesso ordine di idee, Cons. di Stato, Sezione 5, n. 5214 del 2014). Sarà pertanto compito del giudice amministrativo valutare la ritualità e tempestività dell’impugnazione, nonchè la legittimità della delibera e, in particolare, interpretare la portata del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 9, comma 7 (quale modificato dalla L. n. 388 del 2000, art. 145, comma 55, non avente natura interpretativa e, perciò, con effetti decorrenti solo dal 1 gennaio 2001), là dove dispone che il canone concessorio è commisurato “alla effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario” (sul punto vedi comunque, tra le altre, Cass. n. 9635 del 2012, n. 85 del 2013,n. 10021 del 2014, secondo le quali, in base a tale norma, dal 1 gennaio 2001, il canone di concessione per il suolo pubblico occupato da mezzi pubblicitari deve essere commisurato alla superficie di suolo pubblico effettivamente occupata dal mezzo).

4.4.5.- E’ appena il caso di sottolineare che, per quanto precede, il tenore testuale del ricorso introduttivo non è interpretabile neppure come domanda di accertamento negativo, prospettabile al giudice ordinario, di una pretesa patrimoniale del Comune.

4.3.- In conclusione, l’ottavo motivo di ricorso va accolto per essere il giudizio devoluto alla cognizione del giudice amministrativo.

5.- L’accoglimento dell’ottavo motivo, nel senso del riconoscimento della giurisdizione del giudice amministrativo, impedisce, anche in astratto, ogni possibilità di decisione della causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c. e comporta l’assorbimento di tutti gli altri motivi di ricorso. L’invocata pronuncia di queste Sezioni Unite n. 9946 del 2009 ammette la decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. nel diverso caso in cui la Corte di cassazione riconosca la giurisdizione del giudice ordinario, il quale l’aveva negata nel giudizio di merito (nello stesso senso, Cass., Sezioni Unite, n. 13617 del 2012).

La sentenza va, dunque, cassata senza rinvio.

6.- L’obiettiva difficoltà di districare l’intreccio di norme tra la TOSAP, il COSAP, l’ICP, il CIMP, i canoni concessori (ricognitori e non ricognitori), nel quale sono intervenuti più volte, in vario senso (anche in tema di giurisdizione), il legislatore, la Corte costituzionale, la giurisprudenza ordinaria, tributaria ed amministrativa e le prassi ministeriali, giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.

PQM

 

La Corte, pronunciando a sezioni unite, dichiara il difetto di giurisdizione del giudice tributario, in accoglimento dell’ottavo motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi, per essere l’impugnazione della delibera comunale devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo; cassa la sentenza impugnata; compensa tra le parti le spese di lite.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle sezioni unite civili, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2017

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