Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21543 del 07/10/2020

Cassazione civile sez. I, 07/10/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 07/10/2020), n.21543

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11679/2019 proposto da:

N.N.A., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Antonino Novello, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– intimato –

averso la sentenza n. 599/2018 della CORTE DI APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 25/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/07/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

N.N.A., nato in (OMISSIS), con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, aveva impugnato dinanzi il Tribunale di Caltanissetta, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego adottato della Commissione Territoriale in merito alla domanda di riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria; la decisione è stata confermata con la sentenza della Corte territoriale oggi impugnata.

Il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal proprio Paese a seguito di ripetute minacce dei mujaheddin che avevano occupato i suoi terreni posti vicino alla linea di controllo indo-pakistana e di non essere riuscito a rientrare in possesso delle terre, nonostante avesse chiesto aiuto alle autorità pubbliche.

I fatti narrati non sono stati ritenuti credibili o plausibili dalla Corte territoriale; questa, inoltre, ha evidenziato che anche a voler accreditate parzialmente il racconto, non emergevano elementi idonei a ritenere che il richiedente non avrebbe potuto ottenere protezione dalle autorità statuali.

La Corte territoriale ha, quindi, escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non ricorrendo persecuzioni per motivi di razza, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale, e per il riconoscimento della protezione sussidiaria, non ravvisando, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) – sulla scorta dell’esame delle fonti accreditate (COI-EASO agosto 2017) -, una situazione di violenza generalizzata nella regione del Kashmir di provenienza del richiedente, tale da porre in pericolo la vita di un civile a cagione della sua presenza nel territorio dello Stato, sulla considerazione che la persistente attività di gruppi indipendentisti continuava ad essere perseguita dalle autorità statuali, senza che si determinasse una situazione di pericolo per i civili.

Infine, ha negato la protezione umanitaria sulla considerazione che l’attività lavorativa documentata dal richiedente non era sufficiente per ottenere la protezione umanitaria in assenza di specifiche situazioni di vulnerabilità tali da comportare una effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

Avverso detta sentenza il richiedente propone ricorso per cassazione con tre mezzi, concernenti le domande di riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) e del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il Ministero dell’Interno ha depositato mero atto di costituzione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5: il ricorrente sostiene che non sarebbe stato applicato il principio dell’onere probatorio attenuato ex Cass. Sez. U. n. 27310/2008 e la credibilità non sarebbe stata valutata secondo i parametri forniti dalle disposizioni invocate.

Il motivo è inammissibile.

Pur prospettando una violazione di legge, il ricorrente si limita a sostenere la verosimiglianza del proprio racconto, circa le ragioni di allontanamento dal Pakistan, sollecitandone una valutazione conforme alle sue aspettative, senza indicare alcun fatto personale, specifico e decisivo di cui sia stato omesso l’esame, rilevante ex Cass. n. 3340 del 05/02/2019.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c): il ricorrente sostiene che, erroneamente, non sarebbe stata riconosciuta la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata e lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, rappresentato dall’inesistenza di una adeguata protezione da parte della Polizia locale, nonostante le puntuali dichiarazioni in proposito.

Il motivo è inammissibile.

Osserva il Collegio che la Corte territoriale ha accertato, con riferimento a fonti accreditate, aggiornate ed indicate nella motivazione della sentenza che la zona di provenienza del richiedente è connotata dalla presenza di attività anche terroristiche condotte da gruppi indipendentisti, ma che non sono tali da generare una situazione di pericolo per i civili, stante l’attività di contrasto posta in essere dalle autorità statuali.

Giova rammentare che “In tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria” (Cass. n. 26728 del 21/10/2019).

Orbene, nel caso di specie, la censura non corrisponde al modello: il ricorrente sostanzialmente fornisce una personale interpretazione del Report EASO 2017 – documento esaminato dalla Corte territoriale -, e ne sollecita una rivalutazione inammissibile in sede di legittimità.

Quanto alle altre fonti citate (Rapporto 2018 di Refworld – UNHCR e Report Amnesty International 2017) ne deduce in maniera del tutto insufficiente e generica la tempestiva sottoposizione ai giudici di merito e non illustra gli specifici elementi rilevanti in merito alla sua personale situazione; i

Inoltre, quanto alla raccomandazione a limitare i viaggi in Pakistan, tratta dal sito (OMISSIS) del Ministero degli Esteri, la stessa non integra uno specifico elemento di fatto idoneo a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, giacchè integra il consiglio a limitare i viaggi a quelli indispensabili senza escluderli del tutto, e dà atto di un importante opera di contrasto al terrorismo attuata dalle forze di sicurezza pakistane, su cui il ricorrente non si sofferma.

3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32: il ricorrente sostiene che non sarebbe stata valutata la gravità dell’attuale situazione del Pakistan, correlandola con la situazione personale del richiedente, al fine del riconoscimento della protezione umanitaria, denuncia inoltre l’omessa pronuncia sulla patologia dedotta in appello (epatite C) per conseguire il riconoscimento di una situazione di vulnerabilità.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente fonda la doglianza sulla premessa che non sia stata considerata la situazione del Pakistan e sostiene che la compromissione del diritto alla salute comportava una grave situazione di vulnerabilità.

Quanto al primo profilo, va escluso – stante la inammissibilità dei motivi primo e secondo – che il giudice del gravame non abbia esaminato la situazione socio/politica del Pakistan.

Quanto al secondo profilo, lo stesso sembra prospettare l’omesso esame di un fatto decisivo, costituito dalle condizioni di salute del richiedente, delle quali la Corte territoriale non fa alcuna menzione. In proposito va osservato non solo che non risulta proposto il vizio motivazionale in merito, ma che non appare nemmeno chiarito con sufficiente specificità se e quando la questione delle condizioni di salute sia stata proposta in fase di merito, nè viene illustrato il contenuto della documentazione medica che sarebbe stata allegata (cfr. Cass. n. 2717 del 30/1/2019).

Risulta, infine, del tutto trascurata la ratio decidendi espressa dalla Corte territoriale, fondata sulla impossibilità di procedere alla comparazione ex Cass. n. 4455/2018.

4. In conclusione il ricorso è inammissibile.

Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva dell’intimato.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2020

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