Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21542 del 18/09/2017


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Cassazione civile, sez. un., 18/09/2017, (ud. 21/03/2017, dep.18/09/2017),  n. 21542

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente di sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. BIELLI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19318/2016 R.G. proposto da:

Avvocati P.S. e PE.Ro., rappresentati e difesi dagli

Avv.ti Gianmarco Tavolacci ed Elisabetta Pistis, con domicilio

eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, piazza Borghese n.

3 (studio legale Guarino);

– ricorrenti principali –

– controricorrenti a ricorso incidentale –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI CAGLIARI, con sede a

(OMISSIS), presso il Palazzo di Giustizia, piazza della Repubblica,

in persona del suo Presidente;

– intimato –

e

Avvocati D.R., + ALTRI OMESSI

– controricorrenti –

– ricorrenti incidentali –

e

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, in persona del legale rappresentante;

– intimato –

e

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro in carica;

– intimato –

e

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza del Consiglio Nazionale Forense n. 179/2016,

depositata il 7 luglio 2016;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 21 marzo 2015

dal Consigliere Stefano Bielli;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Fuzio

Riccardo, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;

uditi gli Avv. Elisabetta Pistis e Gianmarco Tavolacci per i

ricorrenti principali, che hanno concluso per l’accoglimento del

ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avv. Marcello Vignolo per i controricorrenti e ricorrenti

incidentali, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e

l’accoglimento del ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Con sentenza n. 179/2016, emessa ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 37 e depositata il 7 luglio 2016, il Consiglio Nazionale Forense (hinc: “CNF”) rigettava il reclamo elettorale proposto dagli avvocati P.S., Pe.Ro. ed altri ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 28 avverso i risultati delle elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari (hinc: “COA”) per il quadriennio 2015/2018.

Il CNF premetteva in punto di fatto che: a) alle suddette elezioni avevano partecipato due liste, ciascuna con un numero di candidati (21) pari a quello dei componenti del nuovo COA, in conformità con quanto disposto dall’art. 7 del regolamento elettorale di cui al D.M. n. 170 del 2014, emesso ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 1, comma 3, e art. 28, comma 2; b) per l’effetto, la lista che aveva ottenuto 333 voti aveva espresso 15 consiglieri, mentre l’altra, con 164 voti, aveva espresso solo 6 consiglieri; c) al giudizio introdotto con il reclamo avverso detti risultati elettorali avevano partecipato anche vari controinteressati; d) con il reclamo era stata dedotta la violazione sia della L. n. 247 del 2012, art. 28, comma 3, (secondo cui ciascun elettore “può esprimere un numero di voti non superiore ai due terzi dei consiglieri da eleggere”), sia dell’art. 28, comma 2 medesima legge (che esclude implicitamente il voto di lista), sia dell’art. 48 Cost., comma 2 che sancisce la libertà, l’uguaglianza e la segretezza del voto), sia dei principi di rappresentatività che debbono informare il COA; e) i controinteressati avevano eccepito: in primo luogo, la preventiva acquiescenza dei ricorrenti al citato D.M. (in quanto avevano partecipato anch’essi ad una lista recante un numero di candidati pari a quello dei componenti del nuovo COA); in secondo luogo, l’inammissibilità del ricorso del P. e della V. (in quanto all’epoca delle elezioni già consiglieri); in terzo luogo, l’intangibilità dei risultati elettorali, nonostante l’annullamento di alcune norme del d.m. da parte di pronunce del TAR Lazio, intervenute solo dopo le elezioni (intangibilità argomentata in forza dei principi che, sempre per i controinteressati, avrebbe stabilito la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014 in tema di legge elettorale politica); in quarto luogo, la carenza del potere, per il CNF, di disapplicare un regolamento illegittimo (viene citata a sostegno la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 27184 del 2007).

Il menzionato CNF, nel motivare il rigetto del reclamo, osservava che: a) detto reclamo era “inammissibile”, perchè i reclamanti, avendo partecipato alle elezioni con una lista recante anch’essa un numero di candidati pari a quello dei componenti del nuovo COA, avevano con ciò prestato “acquiescenza” al regolamento elettorale di cui al D.M. n. 170 del 2014 (citava, al riguardo, la pronuncia del TAR Lazio del 13 giugno 2015, n. 8335), in base al quale si erano svolte tutte le operazioni elettorali; b) era irrilevante l’intervenuto parziale annullamento dell’indicato D.M. da parte del TAR Lazio, perchè “la legittimità dei provvedimenti amministrativi va verificata esclusivamente con riferimento alle norme vigenti al momento della loro formazione”.

2.- Avverso la predetta sentenza gli avvocati P.S. e PE.Ro. hanno proposto ricorso per cassazione ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 36 affidato a quattro motivi.

3.- I controinteressati avvocati D.R., + ALTRI OMESSI

4.- I ricorrenti depositano controricorso al ricorso incidentale.

5.- Gli intimati non si sono costituiti in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- I controricorrenti e ricorrenti incidentali hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso principale perchè gli avvocati P. e V., quali consiglieri della precedente consigliatura, avevano partecipato e votato alla deliberazione delle operazioni elettorali secondo il regolamento elettorale ministeriale e, dunque, avevano prestato “acquiescenza” alle regole del D.M. n. 140 del 2014 e non possono, pertanto, dedurne l’illegittimità con l’impugnazione dei risultati dell’elezione del COA. Tale eccezione viene espressamente proposta anche come motivo di ricorso incidentale (pag. 10 del ricorso incidentale: vedi infra ai punti 1.1., 2.2.1. e 4).

1.1.- L’eccezione è infondata e va rigettata per una pluralità di autonome ragioni.

In primo luogo, il consigliere del COA che abbia deliberato sulle operazioni elettorali per il rinnovo del Consiglio in base ad un regolamento elettorale illegittimo non ha “dato causa” all’illegittimità del regolamento e delle conseguenti operazioni elettorali e non è, perciò, impossibilitato a fare valere detta illegittimità. In secondo luogo, l’acquiescenza alle operazioni elettorali è riferibile solo ai risultati di queste, cioè alla proclamazione degli eletti (e manifestarsi, ad esempio, con la mancata impugnazione dei risultati), senza che possa identificarsi con la mera indizione delle elezioni o la predisposizione di esse. In terzo luogo, non risulta neppure dedotto che l’altra ricorrente principale avvocato Pe.Ro. (diversamente dagli altri reclamanti davanti al CNF, avvocati P. e V.) abbia a suo tempo fatto parte del COA ed abbia perciò partecipato alle predette deliberazioni sulle operazioni elettorali (la circostanza è espressamente negata, in punto di fatto, a pag. 4 del controricorso al ricorso incidentale e i controricorrenti, del resto, hanno menzionato solo gli avvocati P. e V. quali componenti del precedente COA): ciò rende comunque irrilevante l’eccezione, in quanto riferibile (nell’àmbito dei ricorrenti principali) al solo avvocato P., attesa l’autonoma e distinta legittimazione dell’avvocato Pe. al reclamo davanti al CNF ed al ricorso per cassazione (a nulla rilevando la circostanza del tutto estrinseca e casuale che il reclamo ed il ricorso per cassazione risultano proposti dalla Pe. congiuntamente al P.).

2.- I primi tre motivi di ricorso principale, tra loro strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente.

Con il primo motivo del ricorso principale, i ricorrenti denunciano – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la falsa applicazione dell’istituto dell’acquiescenza, in violazione della L. n. 247 del 2012, art. 28, comma 12, art. 112 c.p.c. e dei principi di cui agli artt. 24 e 113 Cost. Ad avviso dei ricorrenti, il CNF, nel dichiarare inammissibile il reclamo perchè i reclamanti, avendo partecipato alle elezioni con una lista recante anch’essa un numero di candidati pari a quello dei componenti del nuovo COA, avevano con ciò prestato “acquiescenza” al regolamento elettorale di cui al D.M. n. 170 del 2014, ha fatto non pertinente applicazione di un istituto previsto per la consapevole, piena ed inequivoca accettazione (incompatibile con la volontà di impugnazione) degli effetti di un atto, laddove nella specie il risultato elettorale era stato, invece, tempestivamente e ritualmente impugnato e l’acquiescenza si sarebbe potuta ipotizzare solo in relazione alla proclamazione degli eletti. Aggiungono che la loro partecipazione alle elezioni era avvenuta con una modalità prescritta (sia pure illegittimamente) dal regolamento elettorale all’epoca vigente. Sottolineano che la pronuncia del CNF ha erroneamente richiamato, a proposito dell’inammissibilità, la sentenza del TAR Lazio n. 8335 del 2015, che ha invece affermato l’improcedibilità per acquiescenza nella diversa ipotesi di un ricorso avverso il regolamento elettorale seguito dalla presentazione della candidatura del ricorrente in una lista con un numero di candidati pari a quello dei candidati da eleggere.

Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti principali denunciano – in relazione a quanto esposto con il precedente motivo – eccesso di potere per erroneità della motivazione e per erronea valutazione di fatti.

Con il terzo motivo del ricorso principale viene denunciata – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e art. 112 c.p.c. – la violazione del principio tempus regit actum perchè il CNF, nell’affermare che la legittimità degli atti amministrativi va verificata esclusivamente con riguardo alle norme vigenti al momento della formazione degli atti medesimi, non ha considerato il passaggio in giudicato delle sentenze del TAR Lazio n. 8332, n. 8333 e n. 8334 del 2015, che, per la riscontrata violazione della L. n. 247 del 2012, art. 28, commi 2 e 3 hanno annullato gli artt. 7 e 9 del regolamento di cui al D.M. n. 140 del 2014 nella parte in cui: a) consentono un numero di preferenze pari a quello dei candidati da eleggere; b) consentano la presentazione di liste con un numero di candidati pari a quello dei candidati complessivamente da eleggere; c) prevedono per le schede elettorali un numero di righe pari a quello dei componenti complessivi del Consiglio da rieleggere. In particolare, al momento della decisione del CNF, erano già passate in giudicato le citate sentenze del TAR Lazio n. 8332 e n. 8334 del 2015 che avevano parzialmente annullato il regolamento con effetto ex tunc e, quindi, lo stesso CNF avrebbe dovuto o in base ad esse o compiendo un accertamento incidentale di illegittimità del D.M., accogliere il reclamo.

2.1.- I primi tre motivi di ricorso, sopra riassunti, sono fondati là dove sostanzialmente denunciano (nel loro complesso e ad una interpretazione complessiva) sia la violazione della L. n. 247 del 2012, art. 28 (in particolare, dei commi 2 e 3) per la mancata disapplicazione degli artt. 7 e 9 del regolamento elettorale di cui alD.M. n. 140 del 2014, nella parte in cui contrastano con detto art. 28, sia l’inesistenza di acquiescenza a detta violazione delle legge elettorale.

2.2.- In proposito va innanzitutto sottolineato che l’impugnata decisione del CNF non nega l’illegittimità in sè degli artt. 7 e 9 del citato regolamento elettorale – del resto accertata dalle sentenze del TAR Lazio n. 8332 e n. 8334 del 2015 – quantomeno nella parte in cui (in contrasto con la L. n. 247 del 2012, art. 28,commi 2 e 3): a) consentono un numero di preferenze pari a quello dei candidati da eleggere; b) consentono la presentazione di liste con un numero di candidati pari a quello dei candidati complessivamente da eleggere; c) prevedono per le schede elettorali un numero di righe pari a quello dei componenti complessivi del Consiglio da rieleggere. Il CNF, infatti, fonda la sua pronuncia su due diversi rilievi, che prescindono dalla suddetta illegittimità.

Secondo una prima ratio decidendi, l’impugnata sentenza si basa sull’assunto che la partecipazione dei reclamanti ad una lista anch’essa composta (al pari delle altre risultate vincitrici, come consentito dal regolamento elettorale) da candidati in numero pari ai consiglieri da eleggere (cioè senza il rispetto del limite dei due terzi fissato, invece, dalla legge elettorale) ha comportato la preventiva accettazione e acquiescenza dei reclamanti stessi alla normativa regolamentare e ai risultati derivanti dall’applicazione di questa, con conseguente inammissibilità dell’impugnazione dei risultati elettorali basata sull’illegittimità del regolamento.

Una seconda (concorrente, ma autonoma) ratio decidendi è costituita dalla ritenuta irrilevanza dell’intervenuto parziale annullamento dell’indicato D.M. da parte del TAR Lazio, perchè “la legittimità dei provvedimenti amministrativi va verificata esclusivamente con riferimento alle norme vigenti al momento della loro formazione”. In tal modo viene prospettata dal CNF (così deve interpretarsi la frase sopra riportata) l’inefficacia del rilievo giudiziale dell’illegittimità perchè intervenuto in una di situazione in cui effetti erano ormai esauriti, dato il compimento – con la proclamazione degli eletti – delle correlative operazioni elettorali.

Entrambe tali rationes sono infondate, come correttamente dedotto dai ricorrenti principali.

2.2.1.- Quanto all’asserita preventiva “acquiescenza” e “accettazione” dell’illegittimità del regolamento elettorale (desunta dalla partecipazione dei ricorrenti principali ad una lista non vincitrice, composta anch’essa da un numero di candidati pari ai consiglieri da eleggere), è sufficiente osservare che l’acquiescenza è concepibile solo come consapevole accettazione del risultato elettorale, cioè della proclamazione degli eletti. Valgono al riguardo le stesse considerazioni svolte supra, al punto 1.1.; vedi anche infra al punto 4. Il reclamo pertanto, sotto tale profilo, non era inammissibile.

Del resto, il suddetto comportamento indicato dai controricorrenti come causa di inammissibilità del reclamo non potrebbe integrare una acquiescenza tacita (neanche ove potesse ammettersi in astratto una acquiescenza tacita anticipata rispetto al sorgere del diritto all’impugnazione), perchè il comportamento sarebbe non solo prematuro rispetto alla proclamazione degli eletti e conforme ad un regolamento elettorale formalmente efficace, ma anche non interpretabile come univocamente ed assolutamente incompatibile con la volontà di impugnare i risultati elettorali. L’impugnata sentenza, al riguardo, sembra confondere l’interesse del candidato al COA ad essere proclamato eletto in sostituzione del candidato illegittimamente proclamato (interesse mancante, ove l’aspirante sostituto non abbia i requisiti per il subentro) con l’interesse di ogni appartenente all’ordine professionale locale, anche se non candidato, ad impugnare i risultati delle elezioni consiliari (interesse sussistente anche nel caso in cui, come nella specie, l’appartenente sia anche un candidato non eletto e non legittimamente eleggibile). Nella specie ricorre, con tutta evidenza, solo la seconda ipotesi, di mera impugnazione dei risultati elettorali, in ordine alla quale rileva esclusivamente la fondatezza delle censure tempestivamente formulate dal legittimato all’impugnazione.

2.2.2.- Quanto alla seconda ratio decidendi (incentrata sulla irrilevanza dell’annullamento giudiziale del regolamento elettorale perchè intervenuto dopo la proclamazione degli eletti), se ne deve evidenziare l’erroneità.

In proposito va ribadito, secondo quanto già precisato dalla sentenza di queste Sezioni Unite n. 2614 del 2017 (in una fattispecie pressochè identica, relativa alle elezioni del COA di Latina), che “la tempestiva impugnazione dei risultati delle elezioni da parte dei ricorrenti esclude che nei loro riguardi si possa discorrere di fatto concluso o di rapporti esauriti”. Indipendentemente dalla correttezza del presupposto da cui muove la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014, richiamata dalle difese dei controricorrenti anche nel giudizio davanti al CNF – secondo la quale l’applicazione della legge sulle elezioni politiche esaurisce i suoi effetti con la proclamazione degli eletti (e non con la verifica parlamentare dei poteri, come invece potrebbe non implausibilmente sostenersi) -, va rilevato non solo che non tutti i principi in tema di legge elettorale politica sono necessariamente ed automaticamente trasferibili ad ogni tipo di procedimento elettorale (nella specie, al regolamento elettorale forense recato dal D.M. n. 170 del 2014) e non solo che gli effetti temporali della riscontrata illegittimità di un atto di normazione secondaria sono intrinsecamente diversi dagli effetti temporali della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge (regolati dall’art. 136 Cost.), ma anche (e soprattutto) che la stessa previsione normativa di una specifica impugnazione dei risultati delle elezioni forensi impedisce che, una volta intervenuta tale tempestiva impugnazione, la proclamazione degli eletti comporti l’invocato esaurimento degli effetti. Decisiva sul punto è l’osservazione che il termine per il reclamo davanti al CNF avverso i risultati elettorali del COA decorre proprio dalla proclamazione degli eletti (ex plurimis,Cass., Sezioni Unite, n. 9069 del 2003).

2.3.- Il punto centrale della questione da affrontarsi nella sentenza impugnata era, dunque, l’accertamento della dedotta violazione della legge elettorale e della conseguente l’illegittimità del regolamento elettorale, nella parte in cui questo consentiva a ciascun elettore, in contrasto con la legge, di votare per un numero di candidati pari al numero complessivo dei componenti del Consiglio da eleggere.

Come già osservato, detta illegittimità del regolamento nella specie applicato non solo non è negata dal CNF (il quale ha motivato la sua sentenza sulla base delle due infondate rationes decidendi sopra esaminate), ma è stata accertata con giudicato amministrativo (efficace erga omnes). In proposito è qui sufficiente richiamare, per brevità, le suddette sentenze di queste Sezioni Unite n. 2614 e n. 2481 del 2017, secondo le quali:

A) “il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza con la quale il TAR Lazio (sentenza n. 8333 del 2015) ha dichiarato l’illegittimità degli “artt. 7 e 9 del regolamento ministeriale sulle modalità di elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi (D.M. Giustizia 10 novembre 2014, n. 170), nella parte in cui: a) consentono a ciascun elettore di esprimere un numero di preferenze pari al numero di candidati da eleggere; b) consentono la presentazione di liste che contengano un numero di candidati pari a quello dei consiglieri complessivamente da eleggere e c) prevedono che le schede elettorali contengano un numero di righe pari a quello dei componenti complessivi del consiglio da eleggere”. In particolare, il giudicato concerne la dichiarazione che le norme contenute nel D.M. n. 170 del 2014, artt. 7 e 9, sono in contrasto con il quadro normativo emergente dalla L. n. 247 del 2012, art. 28, commi 2 (“il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo dei consiglieri eletti”) e 3 (“ciascun elettore può esprimere un numero di voti non superiori ai due terzi dei consiglieri da eleggere, arrotondati per difetto”)”;

B) “Per quel che concerne l’art. 14, comma 7 stesso Regolamento n. 170 del 2014 (il quale imponeva un intervento a valle del procedimento elettorale in modo da assicurare in ogni caso la quota di un terzo degli eletti per il genere meno rappresentato), il T.A.R. ha ritenuto la disposizione in contrasto con la disposizione di cui all’art. 28, comma 2, interpretata in senso conforme alla Costituzione, nella misura in cui legittimava un’alterazione ex post del risultato elettorale al fine di ristabilire l’equilibrio fra i generi.”.

2.4.- Nè poteva negarsi, nella specie, la possibilità per il CNF di accertare incidentalmente l’illegittimità del suddetto regolamento e, conseguentemente, di disapplicarlo, invalidando le operazioni elettorali ad esso conseguenti. E’ qui sufficiente ricordare che al giudice speciale non è inibito di disapplicare il regolamento illegittimo, perchè tale potere trova il suo fondamento normativo nel sistema della gerarchia delle fonti (di regola, una fonte secondaria di natura non legislativa non ha efficacia modificativa di una fonte normativa primaria legislativa) e della separazione dei poteri, nonchè nell’art. 101 Cost., comma 2, in combinato con il principio di legalità dell’amministrazione di cui all’art. 4 preleggi, comma 4 (“I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi”), tanto che rappresentano espressione particolare del suddetto principio generale sia la L. n. 2248 del 1865, all. E, artt. 4 e 5 (in relazione al potere disapplicativo dell’atto amministrativo da parte del giudice ordinario, nei giudizi in cui non sia parte la P.A. e quando l’atto illegittimo venga in rilievo, non già come fondamento del diritto dedotto in giudizio, bensì come mero antecedente logico), sia oil D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5, (in relazione al potere disapplicativo da parte del giudice tributario), sia l’art. 34, comma 3 codice del processo amministrativo (in relazione al potere incidentale di accertamento dell’illegittimità dell’atto amministrativo, da parte del giudice amministrativo, ai fini della pronuncia sulle richieste risarcitorie).

Il CNF, pertanto, avrebbe dovuto pronunciarsi sulla disapplicazione, come del resto già stabilito da questa Corte in situazioni analoghe, ed accogliere l’eccezione della parte ricorrente (vedi tra le altre, sul punto, le sentenze di queste Sezioni Unite n. 2614 del 2017, riguardante le elezioni del COA di Latina, e n. 2481 del 2017, riguardante le elezioni del COA di Bari, entrambe in ordine al medesimo regolamento elettorale qui in discussione; n. 13445 del 2005, riguardante le elezioni del COA di Catania; nonchè n. 9431 del 1997, che ha equiparato il giudice speciale costituito dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri in sede di giudizio disciplinare, all’autorità giudiziaria ordinaria, con conseguente applicazione della L. n. 2248 del 1865, all. E, art. 5).

Occorre precisare che non sono pertinenti al caso in esame le decisioni invocate dalla difesa dei controricorrenti, emesse dalla Corte costituzionale e da questa Corte di cassazione sul punto del principio della disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi. La Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 525 del 2002 e con la sentenza n. 275 del 2001, in linea con le sue precedenti ordinanze n. 140 e n. 165 del 2001, ha bensí affermato che “il principio della disapplicazione, desunto dal giudice a quo dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 5 sul contenzioso amministrativo, ed il relativo limite ai poteri del giudice ordinario di fronte ad un atto amministrativo illegittimo non costituiscono una regola di valore costituzionale, che il legislatore ordinario sarebbe tenuto ad osservare in ogni caso”. Anche questa Corte ha piú volte ripetuto la medesima affermazione della Corte costituzionale (Sezioni Unite: n. 10995 del 2002, n. 1128, n. 1807, n. 7621, n. 13919 del 2003, n. 14260 del 2005, n. 5078 del 2008, n. 9185 del 2012; Sezioni semplici: n. 22990 e n. 22996 del 2004). Tuttavia tali pronunce hanno un significato diverso da quello prospettato dai controricorrenti nel presente giudizio, perchè mirano, in relazione alle fattispecie oggetto dei relativi giudizi, non già a vietare al giudice speciale la disapplicazione di un regolamento o atto amministrativo illegittimo, ma solo ad escludere l’esistenza di un principio costituzionale che impedisca al legislatore di attribuire all’autorità giudiziaria ordinaria il potere di incidere sugli atti amministrativi illegittimi in modo più ampio rispetto a quello della mera disapplicazione di cui alla L. n. 2248 del 1865, all. E, art. 5 (che tiene fermo il divieto per il giudice ordinario di modificare o revocare l’atto amministrativo, come stabilito dalla indicata L. n. 2248 del 1865, art. 4). Il senso della suddetta affermazione della Corte costituzionale e delle correlative menzionate decisioni di questa Corte, infatti, è quello non di imporre al giudice di applicare un regolamento contra legem ove non sia espressamente previsto un potere disapplicativo, ma di consentire al legislatore di ampliare i poteri del giudice ordinario, in coerenza con l’art. 113 Cost., anche nel senso di modificare o revocare (in alcune materie) atti amministrativi illegittimi. In questi termini, in particolare, si è espressa (ex plurimis) Cass., Sezioni Unite, n. 9185 del 2012, la quale, richiamando le suddette pronunzie della Corte costituzionale, sottolinea che: “resta rimesso alla valutazione del legislatore ordinario il conferimento ad un giudice, ordinario o amministrativo, del potere di conoscere ed eventualmente annullare un atto della pubblica amministrazione o di incidere sui rapporti sottostanti)”; e ciò “secondo le diverse tipologie di intervento giurisdizionale previste (art. 113 Cost., comma 3) nel perseguimento dell’obiettivo di rafforzare l’effettività della tutela giurisdizionale e concentrarla presso un unico giudice in determinate materie”.

Non è pertinente neppure il richiamo dei controricorrenti alla sentenza di queste Sezioni Unite n. 27184 del 2007, la cui essenziale ratio decidendi va individuata nel rilievo che il COA, nel sindacare il mancato rilascio del certificato di compiuta pratica forense, espleta funzioni amministrative e non giurisdizionali, con conseguente inesistenza del potere di disapplicare l’atto amministrativo presupposto costituito dalla delibera generale del locale Ordine degli Avvocati di determinazione delle modalità di espletamento della pratica medesima, delibera impugnabile davanti al giudice amministrativo.

Deve, infine, notarsi che (contrariamente a quanto accennato nelle sopra menzionate sentenze di queste Sezioni Unite n. 2614 e n. 2481 del 2017) il potere del CNF di disapplicare il regolamento elettorale forense perchè in contrasto con la L. n. 247 del 2012 non può essere giustificato con la possibilità per lo stesso CNF, in sede di impugnazione dei risultati elettorali, di sollevare questione di legittimità costituzionale. Infatti, la proposizione di una questione di legittimità costituzionale da parte del giudice a quo costituisce esercizio di un potere radicalmente diverso da quello di disapplicare un atto regolamentare (o amministrativo in genere). Il potere disapplicativo non è ricompreso in quello di rimettere alla Corte costituzionale questioni di costituzionalità, perchè: a) la questione di legittimità costituzionale può avere ad oggetto solo una norma di legge o di un atto avente forza di legge e non può riguardare un regolamento quale quello in esame; b) la possibilità di sollevare una questione di legittimità costituzionale presuppone proprio l’impossibilità di disapplicare la norma (pena l’irrilevanza della questione, come nei casi in cui la norma possa essere non applicata dal giudice per contrasto con l’ordinamento unionale). Ne deriva che il potere per il CNF di disapplicare il regolamento elettorale forense si fonda sul principio generale sopra evidenziato e che, nella specie, il regolamento elettorale (in quanto illegittimo) andava disapplicato dallo stesso CNF, senza che tale disapplicazione potesse essere ostacolata dalla pendenza del giudizio amministrativo o impedita dalla mancata impugnazione del regolamento davanti al giudice amministrativo (vedi, in termini, le citate sentenze di queste Sezioni Unite n. 2614 e n. 2481 del 2017).

2.5.- Poichè è pacifico che le operazioni elettorali si sono svolte, nella specie, in applicazione delle suddette norme regolamentari illegittime (in particolare, con la presentazione di liste tutte recanti un numero di candidati pari a quello dei componenti del nuovo COA, una delle quali ha riportato un numero di eletti superiore al limite massimo, previsto dalla legge, dei due terzi degli eligendi), la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, può essere decisa nel merito, con l’annullamento delle predette operazioni elettorali.

3.- Il quarto motivo di ricorso principale è assorbito dall’accoglimento dei primi tre. Con detto motivo, infatti, i ricorrenti denunciano – “anche” in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e art. 112 c.p.c. – la violazione della L. n. 247 del 2012, art. 28, comma 12, laddove il CNF, nel dichiarare assorbita nella sopra ricordata dichiarazione di inammissibilità ogni altra doglianza, non aveva considerato che il reclamanti avevano agito anche come avvocati iscritti all’albo (e non solo come candidati), con la duplice conseguenza che: a) il loro interesse alla generale legittimità delle elezioni non era influenzato dalla loro candidatura secondo le norme del censurato regolamento elettorale; b) il CNF avrebbe comunque dovuto pronunciare sulle censure prospettate.

4.- I controricorrenti hanno proposto ricorso incidentale articolato su motivi:

a) con il primo, deducono che il CNF non ha il potere di disapplicare il regolamento elettorale illegittimo (pagg. 8 e 9, punto 3.3., del ricorso incidentale), perchè il potere disapplicativo è previsto dal legislatore come eccezionale e tassativo, secondo quanto risulterebbe da varie pronunce (Consiglio di Stato, 4, n. 619 del 2004, Cass., Sezioni Unite n. 27184 del 2007, Corte cost. n. 140 e n 165 del 2001);

b) con il secondo motivo (pag. 10, punto 5., del ricorso incidentale), deducono che gli avvocati P.S. e V.M.B. hanno prestato “acquiescenza” all’applicazione del regolamento elettorale, avendo a suo tempo votato (quali componenti del precedente Consiglio) per lo svolgimento delle operazioni di voto secondo il suddetto regolamento.

I due motivi sono inammissibili:

a) il primo, perchè attiene ad un aspetto ritenuto assorbito dal CNF con la sentenza impugnata (nella quale viene esclusa la rilevanza della illegittimità del regolamento, sia perchè i reclamanti avevano fatto “acquiescenza” all’applicazione del regolamento, sia perchè con la proclamazione degli eletti il rapporto era ormai esaurito ed insensibile ad ogni dichiarazione di invalidità del regolamento) e ripreso dai primi motivi del ricorso principale, che denunciano appunto anche la mancata disapplicazione del regolamento illegittimo: la questione, pertanto, costituisce mera difesa dei controricorrenti, che è stata già esaminata e dichiarata infondata, nella discussione dei primi tre motivi di ricorso principale, al punto 2.4;

b) il secondo, perchè è conforme ad una delle due rationes decidendi della impugnata sentenza (manca perciò la soccombenza) ed è sostanzialmente oggetto dei motivi di ricorso principale: anche detta questione, pertanto, costituisce mera difesa dei controricorrenti ed è stata proposta (in parte) anche come eccezione di inammissibilità del ricorso principale (già respinta per le ragioni esposte ai punti 1.1. e 2.2.1.).

5.- Le spese dell’intero giudizio vanno integralmente compensate tra tutte le parti per la novità della questione decisa.

L’esito del ricorso incidentale comporta la sussistenza a carico dei ricorrenti incidentali delle condizioni per il versamento della maggiorazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte, a sezioni unite, accoglie il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso, assorbito il quarto; dichiara inammissibili i motivi di ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, annulla tutti gli atti relativi al procedimento elettorale per l’elezione dei componenti del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari per il quadriennio 2015-2018. Spese compensate.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle sezioni unite civili, il 21 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2017

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