Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21540 del 25/10/2016


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Cassazione civile sez. II, 25/10/2016, (ud. 14/06/2016, dep. 25/10/2016), n.21540

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6118/2012 proposto da:

G.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

LUNGOTEVERE MARZIO 1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

MACARIO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.G. (OMISSIS), quale erede di S.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 180, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCO LUIGI BRASCHI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ALBERTO RONDANI;

– c/ricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

S.S. (OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALFREDO CORTESI giusta procura speciale per

Notaio dottor D.T.A. del (OMISSIS) Rep.n. (OMISSIS);

– resistente –

e contro

M.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 993/2011 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 05/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito l’Avvocato FRANCESCO MACARIO, difensore del ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato FRANCESCO LUIGI BRASCHI, difensore della Sig.ra

S., che si è riportato alle difese depositate;

udito l’Avvocato ALFEDO CORTESI, difensore del Sig. S., che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

Con ricorso depositato l’11 giugno 1999 S.S. conveniva in giudizio, ai sensi dell’art. 1168 c.c., dinanzi al Tribunale di Parma, il padre S.A., titolare dell’impresa individuale Cesap, e la moglie di quest’ultimo, M.S..

Egli riferiva che:

era stato spogliato dai resistenti del possesso di una mansarda che il padre gli aveva concesso in comodato per la durata di due anni; i resistenti nei mesi di marzo-aprile 1999 avevano sostituito la serratura della porta di ingresso del locale.

S.S. domandava, pertanto, di essere reintegrato nel possesso dell’immobile.

Era, altresì, chiamato in giudizio iussu iudicis G.P., il quale aveva acquistato, nel frattempo, il bene in questione. Instaurato il contraddittorio, veniva rigettata la richiesta di interdetto possessorio, erano escussi testimoni ed erano prodotti documenti.

Il giudice adito, con sentenza del 16 dicembre 2003, rigettava la domanda del ricorrente, condannandolo a rifondere le spese di lite.

In virtù di rituale appello interposto da S.S., il quale si doleva della decisione di prime cure, la Corte di Appello di Bologna, nella resistenza di S.G., nella qualità di erede di S.A., e di M.S., accoglieva, con la sentenza n. 993 del 2011, l’impugnazione e, per l’effetto, condannava G.P. a reintegrare l’appellante nel possesso della mansarda de qua.

A sostegno della sentenza emessa la corte territoriale evidenziava che:

– ricorreva lo spoglio contestato, il cui autore andava identificato in S.A.;

– non era stato provato che allo spoglio avesse preso parte M.S.;

– G.P. era il soggetto tenuto a reintegrare l’appellante nel possesso del bene, avendo egli acquistato l’immobile dopo l’instaurazione del giudizio possessorio;

-la domanda di risarcimento del danno doveva essere respinta.

Avverso la indicata sentenza della Corte di Appello di Bologna ha proposto ricorso per cassazione G.P., articolato su tre motivi.

S.G. ha proposto ricorso incidentale fondato su due motivi.

M.S. non ha svolto attività difensive.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Con il primo motivo del ricorso principale si censura il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 1169 c.c., e art. 111 c.p.c., in quanto la corte territoriale aveva errato nel ritenere che la reintegrazione nel possesso potesse essere domandata anche al terzo acquirente a titolo particolare, benchè non a conoscenza dell’avvenuto spoglio, qualora detto acquisto fosse avvenuto successivamente all’instaurazione del giudizio di reintegra.

In particolare, G.P. contesta l’orientamento giurisprudenziale, seguito dalla corte territoriale, in base al quale la reintegrazione nel possesso di un immobile può essere ottenuta dallo spogliato anche nei confronti del successore a titolo particolare dello spoliator che abbia comprato il bene dopo l’introduzione del giudizio di reintegrazione nel possesso.

La doglianza è infondata.

Infatti, la giurisprudenza di legittimità è ormai costante nell’affermare che, in tema di azioni possessorie, la regola indicata dall’art. 1169 c.c., il quale dispone che “La reintegrazione si può domandare anche contro chi è nel possesso in virtù di un acquisto a titolo particolare, fatto con la conoscenza dell’avvenuto spoglio”, è dettata per il caso in cui la successione nel possesso a titolo particolare nei confronti dell’autore dello spoglio avvenga prima proposizione della domanda di reintegrazione nel possesso.

Al contrario, qualora, come nella specie, la successione nel possesso a titolo particolare avvenga in epoca successiva, opera la norma di cui all’art. 111 c.p.c., in particolare il comma 4, in forza della quale la sentenza ha effetto anche nei confronti dell’avente causa, senza che assuma rilievo la sua condizione soggettiva di buona o mala fede (Cass., Sez. 3, n. 11583 del 31 maggio 2005, Rv. 582411).

Se ne ricava che la sentenza con cui si accerta che l’attore era possesso del bene e che lo spoglio lo ha indebitamente privato di possesso non obbliga solamente l’autore dello spoglio, che sia convenuto nel giudizio di reintegrazione, a restituire lo spogliato nella situazione possessoria anteriore. Infatti, l’accertamento contenuto nella sentenza fa stato ad ogni effetto anche verso gli aventi causa dell’autore dello spoglio ex art. 2909 c.c., e la sentenza di reintegrazione vale come titolo esecutivo allo stesso modo in confronto dell’autore dello spoglio, e di quanti gli siano succeduti nel possesso del bene e, ove il trasferimento sia dopo la richiesta di tutela possessoria, a prescindere dalla loro conoscenza o meno di tale spoglio (Cass., Sez. 3, n. 7365 del 13 aprile 2015, Rv. 635196; Cass., Sez. 3, n. 13377 del 27 luglio 2012, Rv. 623632).

D’altronde, questa ricostruzione, che distingue la posizione dell’avente causa dello spoliator che succeda prima dell’instaurazione del giudizio di reintegrazione nei possesso, prescrivendo che la tutela possessoria abbia effetto nei suoi confronti solo ove a conoscenza della condotta illecita del dante causa, da quella dell’acquirente in data successiva all’inizio del procedimento possessorio, il quale risponde sempre verso lo spogliato, a prescindere dalla sua buona o mala fede, si basa su un adeguato bilanciamento degli interessi in gioco e sulla oggettiva differenza fra le situazioni in esame.

Infatti, nel primo caso, non essendo stata ancora chiesta la possessoria, il terzo viene chiamato a rispondere solo ove, nella sostanza, partecipi allo spoglio o ne favorisca il perfezionamento traendone vantaggio con l’acquisto della res (Cass., Sez. 2, n. del 25 maggio 1993, Rv. 482512). Nella seconda ipotesi, invece, essendo stato adito un giudice, l’acquirente non è tutelato dalla presunzione di buona fede, in quanto la pendenza del processo al momento della cessione del bene rappresenta il fatto costitutivo dell’obbligo, a carico dell’avente causa, di effettuare la e diventa, quindi, prioritario proteggere la parte che ha già agito la difesa del suo diritto e garantire l’effettività della tutela giurisdizione (Cass., Sez. 2, n. 12347 del 29 novembre 1995, Rv. 494870; Cass., Sez. 2, n. 3254 dell’11 maggio 1983, Rv. 428151). Il motivo va, quindi, respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c., e art. 703 c.p.c., in quanto la corte territoriale aveva concesso la tutela possessoria prescindendo dalla prova dell’esistenza del contratto di comodato che, invece, risultava, in virtù di sentenza passata in giudicato, ormai scaduto.

La doglianza è priva di pregio.

Infatti, l’accertamento del perdurante diritto a godere di un bene, quale detentore qualificato, è estraneo all’oggetto del giudizio possessorio di reintegrazione, che concerne il potere di fatto esercitato, al momento dello spoglio, dal conduttore o dal comodatario, in virtù del diritto di natura personale concessogli dal proprietario.

Pertanto, la scadenza del contratto sopraggiunta nelle more preclude l’emissione dell’ordine di reintegrazione, poichè la distribuzione dell’onere della prova tra le parti nel possessorio instaurato a tutela della detenzione qualificata è diversa da quella vigente nel giudizio a tutela del possesso in senso proprio.

In questo ultimo caso il titolo da cui si assume avere origine il possesso non può essere fatto valere per dimostrare la esistenza dello ius possidendi, ma solo ad colorandam possessionem per rafforzare la prova dell’esistenza di atti materiali integranti il possesso.

Con riferimento alla situazione del detentore qualificato, al contrario, colui che assume di essere detentore qualificato ha l’onere di provare l’esistenza del titolo, da cui la detenzione ha avuto origine e che comporta necessariamente la trasmissione della detenzione stessa, ma non anche la persistenza della sua validità ed efficacia nel momento dello spoglio (Cass., Sez. 2, n. 2111 del 3 marzo 1994, Rv. 485570). Nella specie, la corte territoriale ha accertato, con un giudizio di merito che, in quanto motivato in maniera logica e completa, non può essere sindacato in sede di legittimità, che S.S. deteneva quale comodatario l’immobile oggetto di causa all’epoca del verificarsi dello spoglio (marzo-aprile 1999), avvenuto per mezzo della sostituzione della serratura dell’appartamento.

In particolare, la Corte di Appello di Bologna ha sottolineato che le deposizioni dei testi F.T., R.A., Ra. e S.G. confermavano l’esistenza del comodato.

Prive di rilievo sono le vicende successive al dedotto spoglio ed oggetto delle sentenze menzionate nel ricorso (peraltro, concernenti prima facie profili petitori), da cui non emerge, comunque, non avendo neppure il ricorrente nulla dedotto al riguardo, l’inesistenza del contratto di comodato all’epoca dello spoglio, ma eventualmente, il suo venire meno in data successiva.

Il motivo va, dunque, respinto.

3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta il difetto di motivazione della decisione impugnata con riferimento alla mancata decisione della domanda subordinata formulata in primo grado volta ad ottenere un indennizzo e la risoluzione o l’annullamento del contratto di compravendita versato in atti.

Si sostiene che la corte territoriale avrebbe errato nel non pronunciarsi sulla detta domanda, in quanto il giudice di appello doveva ritenersi investito di ufficio di tutte le domande e le eccezioni non esaminate dal primo giudice ma proposte davanti a quest’ ultimo dall’appellato risultato vincitore nel grado precedente e rimasto contumace nel giudizio davanti alla corte superiore.

La doglianza non è fondata.

Infatti, secondo la più recente e consolidata giurisprudenza di legittimità, il principio sancito dall’art. 346 c.p.c., che intende rinunciate e non più riesaminabili le domande ed eccezioni non accolte dalla sentenza di primo grado che non siano state espressamente riproposte in appello, trova applicazione anche nei riguardi dell’appellato rimasto contumace in sede di gravame, in coerenza con il carattere devolutivo dell’appello, così ponendo appellato e appellante su un piano di parità, senza attribuire alla parte, rimasta inattiva ed estranea alla fase di appello, un posizione sostanzialmente di maggior favore (Cass., Sez. 3, n. 28454 del 19 dicembre 2013, Rv. 628903).

Il motivo qui in esame deve, perciò, essere disatteso.

4.- Alla stregua di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto il ricorso principale va rigettato.

5.- Con il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale, che (stante la loro connessione) possono essere trattati congiuntamente, S.G. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c., e artt. 115, 116 e 703 c.p.c., nonchè l’erroneità, contraddittorietà ed illogicità della valutazione delle risultanze documentali e delle emergenze istruttorie, in quanto la corte territoriale aveva concesso la tutela possessoria prescindendo dalla prova dell’esistenza del contratto di comodato che, invece, risultava, in virtù di sentenza passata in giudicato, ormai scaduto e, comunque, a suo avviso, non aveva tenuto conto delle sentenze depositate e passate in giudicato ai fini della formazione del suo convincimento.

Entrambi i suddetti motivi sono da ritenere assorbiti nel rigetto del secondo motivo del ricorso principale, stante la sostanziale identità delle questioni.

6.- Il ricorso incidentale resta assorbito.

7.- Le spese vanno compensate in considerazione della circostanza che il pur assorbito ricorso incidentale afferisce – come innanzi già affermato – a questioni sostanzialmente identiche a quelle rigettate del ricorso principale.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2016

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