Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2154 del 29/01/2010

Cassazione civile sez. I, 29/01/2010, (ud. 12/11/2009, dep. 29/01/2010), n.2154

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.A.M., con domicilio eletto in Roma, viale

Giulio Cesare n. 14, presso l’Avv. Pafundi Gabriele che lo

rappresenta e difende unitamente all’Avv. Daniele Granara, come da

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente-

contro

S.G. e S.C., con domicilio eletto in Roma,

via Trionfale n. 5697, presso l’Avv. DOMENICO BATTISTA che li

rappresenta e difende unitamente all’Avv. Stefania Bignone, come da

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Genova n.

213/2005 depositata il 2 marzo 2005;

Udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

giorno 12 novembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. ZANICHELLI

Vittorio;

sentito l’Avv. Pafundi per il ricorrente;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. LECCISI Giampaolo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

T.A.M., sulla premessa di averne assunto la veste di socio e di amministratore unico, ha convenuto, in giudizio avanti al Tribunale di Chiavari la “ALFA.CO di Tandurella Marco C. in persona dei soci S.C. e S.G.” (cosi’, tra virgolette, la sentenza gravata) impugnando la deliberazione con la quale l’assemblea sociale lo aveva escluso dalla societa’ e chiedendo che fosse accertata l’insussistenza dei presupposti previsti dall’art. 2286 c.c. per l’esclusione de socio e di conseguenza disposta la reintegrazione nella qualita’ di amministratore. Si sono costituiti in giudizio S.C. e S.G. i quali, come nota l’impugnata decisione, “senza spendita del nome della societa’ ALFA.Co. s.n.c., in nome proprio” hanno resistito alle pretese dell’attore, proponendo altresi’ domanda riconvenzionale per la restituzione di somme di spettanza della societa’ di cui asseritamente il medesimo si sarebbe appropriato. In sede di precisazione delle conclusioni l’attore, oltre a confermare quelle formulate in citazione, ha chiesto altresi’ la condanna della controparte alla liquidazione della quota cosi’ come determinata dal C.T.U. nominato in corso di causa.

Con sentenza 4 settembre – 14 ottobre 2003 il Tribunale in composizione monocratica ha rigettato la domanda di annullamento della deliberazione assembleare di esclusione del socio mentre ha accolto quella di liquidazione della quota sociale che ha determinato in Euro 15.493,71 condannando al pagamento i due soci S.G. e S.C. in solido tra loro.

Sull’impugnazione di questi ultimi la Corte d’appello, dopo aver preso atto che secondo la valutazione operata dal primo giudice la controparte nei cui confronti l’attore, in sede di precisazione delle conclusioni, aveva proposto la domanda di liquidazione della quota sociale erano le persone fisiche dei due soci S.C. e S. G. e non la societa’ ALFA.CO s.n.c. convenuta in giudizio e aver rammentato la giurisprudenza della Corte a Sezioni Unite (sentenza n. 291/2000) secondo cui la legittimazione passiva in tema di richiesta di liquidazione della quota sociale appartiene alla societa’ e non ai soci singolarmente, ha rilevato d’ufficio il difetto di legittimazione passiva dei medesimi e, in riforma della sentenza impugnata, ha rigettato la domanda del T. avente ad oggetto la liquidazione della quota.

Ricorre quest’ultimo per Cassazione proponendo due motivi con i quali ci si duole, rispettivamente, della contraddittorieta’ della motivazione della sentenza d’appello e della violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato per avere la Corte, dopo avere ritenuto che la domanda dovesse essere proposta nei confronti della societa’ convenuta e aver preso atto che la stessa era stata effettivamente evocata in giudizio, rigettato la medesima sul presupposto che fosse stata proposta unicamente nei confronti dei soci personalmente, nonche’ dell’omessa pronuncia in ordine alla richiesta di liquidazione della quota benche’ la domanda fosse stata ritenuta ritualmente proposta in primo grado.

Resistono gli intimati con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo con cui si deduce la contraddittorieta’ della motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello perche’, pur avendo ritenuto che la domanda di liquidazione della quota dovesse essere formulata nei confronti della societa’ e non dei soci personalmente, ha riformato la sentenza che tale liquidazione aveva operato condannando la societa’ al pagamento, e’ infondato.

Come emerge chiaramente dalla motivazione, la Corte territoriale ha preso atto dell’interpretazione che della domanda di liquidazione della quota proposta solo in sede di precisazione della conclusioni aveva fatto il Tribunale ritenendo che il giudice di primo grado avesse attribuito all’attore la volonta’ di richiedere la condanna in proprio dei soci presenti in giudizio e non della societa’ o degli stessi quali rappresentanti dell’ente collettivo e avesse provveduto di conseguenza condannandoli in tale veste al pagamento. Conseguenza logica di tale interpretazione e’ stata, secondo l’iter argomentativo della sentenza, la declaratoria di carenza di legittimazione passiva, ad avviso del giudice del gravame rilevabile d’ufficio, in capo ai condannati in relazione alla domanda proposta e quindi la riforma della sentenza impugnata.

Premesso che non e’ dato rilevare alcun difetto di contraddittorio nel giudizio di appello nella mancata partecipazione al giudizio della societa’ ALFA.CO in quanto non si versa in ipotesi di cause inscindibili laddove, come nella fattispecie, il giudice di primo grado tra piu’ soggetti in causa abbia individuato l’unico responsabile (Cass. 24 gennaio 2002 n. 837) e che nessuna delle enunciazioni su cui si basa la decisione della Corte d’appello e’ stata oggetto di esplicita censura da parte del ricorrente ne’ per quanto attiene alla effettiva portata della sentenza di primo grado e quindi all’interpretazione che della stessa ha fornito la Corte di merito ne’ in relazione alla rilevabilita’ d’ufficio del difetto di legittimazione, la decisione non puo’ che essere ritenuta esente dalla censura proposta dal momento che la stessa e’ pienamente conseguente sotto il profilo logico al presupposto interpretativo non contestato su cui e’ fondata.

Infondato e’ anche il secondo motivo con cui ci si duole che la Corte non abbia pronunciato sulla domanda di liquidazione della quota pur avendo ritenuto che legittimata passiva fosse la societa’ evocata nel giudizio in quanto, una volta accertato che il tribunale ha omesso di pronunciarsi nei confronti della medesima, avendo ritenuto che la domanda fosse rivolta ai soli soci presenti in proprio nel giudizio, e assodato che tale punto della decisione non e’ stato oggetto di appello da parte dell’attore, nessuna omissione di pronuncia puo’ ascriversi alla Corte che non poteva certo pronunciarsi su questione coperta dal giudicato interno.

Il ricorso deve dunque essere rigettato con le conseguenze di legge in ordine alle spese.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in complessivi Euro 2.000,00, di cui Euro 1.800,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2010

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