Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2154 del 25/01/2022
Cassazione civile sez. VI, 25/01/2022, (ud. 30/11/2021, dep. 25/01/2022), n.2154
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 36656-2019 proposto da:
I.N., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE MESSICO, 7,
presso lo studio dell’avvocato FEDERICO TEDESCHINI, rappresentata e
difesa dall’avvocato CAMILLO NABORRE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA DIFESA, (OMISSIS), MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E
DEI TRASPORTI, (OMISSIS), in persona dei rispettivi Ministri pro
tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e
difende, ope legis;
– controricorrente –
e contro
– intimati –
avverso la sentenza n. 623/2019 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,
depositata il 17/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 30/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA
PELLECCHIA.
Fatto
RILEVATO
che:
1. I.N. convenne in giudizio il Ministero della Difesa ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito della caduta sugli scalini degli alloggi di servizio presenti nella Caserma dei Carabinieri di (OMISSIS).
In particolare espose di risiedere in un alloggio di servizio della Caserma dei Carabinieri di (OMISSIS) in quanto il proprio coniuge era appuntato in servizio presso le medesime e che, in data 16 gennaio 1999, nell’uscire dalla porta d’ingresso principale dell’alloggio, scivolò su una lastra di ghiaccio formatasi sui gradini di marmo, privi di fasce antiscivolo, riportando gravi lesioni.
Il Tribunale di Potenza, con sentenza n. 1480/2013, dichiarò la responsabilità concorrente dei Ministeri convenuti e dell’attrice nella determinazione dell’evento lesivo condannando il Ministero della Difesa ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti al risarcimento del danno, in favore dell’attrice, della somma complessiva di Euro 17.175,30, nonché alla refusione del 50% delle competenze di lite e delle spese di c.t.u.
Il Tribunale ritenne i Ministeri responsabili ai sensi dell’art. 2051 c.c., in quanto, dall’esito delle prove testimoniali aveva ritenuto dimostrato il fatto della caduta nonché provato il nesso causale tra la condizione del bene e l’esito del sinistro. Non avendo i Ministeri fornito alcuna prova del caso fortuito idoneo ad interrompere il nesso causale, ne discendeva secondo il Tribunale, la loro responsabilità ai sensi dell’art. 2051, essendo sufficiente secondo tale disposto la mera sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che aveva dato luogo all’evento.
Ritenne, altresì, che la circostanza che la I. utilizzasse ordinariamente gli scalini della Caserma per accedere alla propria abitazione, rilevasse quale comportamento incidente ai sensi dell’art. 1227 c.c., quantificandolo equitativamente nella misura del 50%.
2. La Corte d’Appello, con sentenza n. 623/2019 del 17 settembre 2019, ha integralmente riformato la sentenza di primo grado, rigettando la domanda posta dall’originaria attrice. Secondo il giudice dell’appello, il comportamento della I. aveva interrotto il nesso causale tra la cosa ed il danno, escludendo la responsabilità dei Ministeri alla causazione dell’evento, essendo la situazione di evidente pericolo, facilmente superabile attraverso l’adozione di normali cautele da parte della danneggiata. Il comportamento della I., pertanto, doveva considerarsi imprudente e tale da incidere sul nesso causale con la conseguenza di liberare il custode dalla responsabilità ex art. 2051 c.c..
3. Avverso tale decisione I.N. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Il Ministero della Difesa ed il Ministero dei Trasporti resistono con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO
che:
4.1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta “omesso esame e illogicità delle motivazioni su un punto decisivo e violazione e falsa applicazione di legge con riferimento all’art. 342 c.p.c., per non aver dichiarato, accogliendo l’eccezione sollevata, l’inammissibilità dell’appello”.
Sostiene la ricorrente che l’impugnazione sarebbe stata priva di specificità, volta a provocare un novum iuditium e non una revisio pioris istantiae.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2051,2697 e 1227 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché la nullità della sentenza per vizio di motivazione ed omesso esame di un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Sostiene la ricorrente che la Corte d’Appello avrebbe ingiustamente rimesso in discussione la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di primo grado e che comunque le nuove conclusioni raggiunte in proposito, circa la responsabilità della danneggiata nella causazione dell’evento, sarebbero prive di sostegno probatorio. Osserva il ricorrente che la responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c., opererebbe in assenza della dimostrazione del caso fortuito e nella specie tale circostanza non sarebbe stata dimostrata.
5. Il ricorso è inammissibile.
5.1. Quanto al primo motivo, lamenta, come sopra detto, che il giudice di appello avrebbe erroneamente disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione del 342. Ma il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.
La ricorrente, infatti, non ha indicato lo specifico contenuto dell’atto di appello al fine di apprezzare la violazione processuale denunciata. L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato. Così come si afferma che ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. 20 settembre 2006, n. 20405; 29 settembre 2017, n. 22880), allo stesso modo, ove si denunci specularmente l’inammissibilità del motivo di appello, deve essere riportato il contenuto dell’atto nella misura necessaria ad evidenziarne il difetto di specificità. Tale onere processuale non risulta assolto dalla ricorrente, essendosi questa limitata alla generica denuncia di mancanza di specificità, nonché al generico richiamo all’atto ed al richiamo di principi di diritto.
5.2. Quanto al secondo motivo anch’esso è inammissibile.
La ricorrente denuncia che la corte territoriale avrebbe deciso ultrapetita perché la censura dell’atto di appello aveva ad oggetto solo la qualificazione del fatto e non il giudizio di fatto. Il giudice, invece, nonostante i limiti dell’impugnazione, avrebbe esercitato un nuovo giudizio di fatto.
Ebbene anche tale censura è inammissibile per violazione dell’art. 366, n. 6, perché non viene riportato il contenuto dell’atto di appello per valutarne in modo idoneo la portata, ma solo un passaggio all’inizio del secondo motivo che non consente di apprezzare quale fosse la reale volontà dell’appellante.
Ma il motivo sarebbe ugualmente inammissibile in quanto censura il giudizio di fatto della Corte d’Appello con riferimento all’eziologia della caduta ed alla rilevanza causale della condotta della ricorrente (caduta da scalino coperto di ghiaccio), che è sfera di valutazione riservata al giudice di merito.
La Corte d’Appello, richiamato l’art. 1226 c.c., ha ritenuto che, in considerazione delle condizioni climatiche esistenti al momento della caduta, l’interessata avrebbe dovuto provare non soltanto l’evento storico della caduta ma anche di aver posto in essere le opportune cautele per evitare che l’evento si verificasse: è questo un accertamento di pure fatto, rispetto al quale non sono deducibili vizi logici, e pertanto incensurabile in sede di legittimità.
Ne’ è pertinente la denuncia di violazione delle regole dell’onere della prova perché la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5) (Cass. n. 13395 del 2018).
In definitiva le censure avanzate dal ricorrente si sostanziano in una rivalutazione delle circostanze di fatto non suscettibili di essere oggetto di esame in questa sede.
6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
7. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, all’art. 13, il comma 1-quater, (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 1.800 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022