Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21539 del 27/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/07/2021, (ud. 20/11/2020, dep. 27/07/2021), n.21539

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34613-2018 proposto da:

R.V. & FIGLI SRL, R.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA VINCENZO UGO TABY n. 19, presso lo studio

dell’avvocato PIETRO PERNARELLA, rappresentati e difesi

dall’avvocato WALTER TAMMETTA;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4877/2018 della COMM. TRIB. REG. LAZIO

SEZ.DIST. di LATINA, depositata il 10/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/11/2020 dal Consigliere Dott. CATELLO PANDOLFI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La società R.V. & Figli s.r.l. in persona del legale amministratore Z.A. e R.A., in proprio e quale ex amministratore ed ex socio della società medesima, hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 4877/18/18 depositata il 10 luglio 2018.

La vicenda trae origine dalla notifica dell’avviso di accertamento (OMISSIS) per l’anno d’imposta 2010, scaturito dall’accertamento del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, in base al quale era stata recuperata a tassazione la somma di Euro 1.886.271,00.

La CTP di Latina ha accolto il ricorso dei contribuenti sul presupposto che l’Ufficio non avesse prodotto la documentazione provante la regolarità della delega di firma al funzionario che aveva sottoscritto l’atto impositivo ed aveva perciò annullato l’avviso di accertamento.

La CTR, ritenuta invece la regolarità della delega, aveva accolto anche nel merito l’appello dell’Ufficio.

I ricorrenti deducono tre motivi di impugnativa.

Resiste l’Ufficio con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo, i ricorrenti eccepiscono, in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3, e del D.Lgs n. 165 del 2001, art. 17-bis, che la delega del direttore dell’Ufficio al funzionario che ha sottoscritto l’avviso di accertamento opposto non conterrebbe: a) l’indicazione del nominativo del funzionario; b) la durata temporale della delega; c) le ragioni per le quali il titolare dell’Ufficio l’avesse adottata. Da tali mancanze discenderebbe la nullità dell’atto impositivo.

La censura non è fondata. Infatti, questa stessa Corte (come gli stessi ricorrenti ricordano per dissentirne), ha affermato che “La delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 42, ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa. (Sez. 5 -, 19/04/2019, n. 11013).

La decisione va qui ribadita dal momento che, al fine della trasparenza dell’azione ammnistrativa ed a tutela del contribuente, ciò che rileva è che l’atto impositivo sia affidato ad un funzionario che rivesta la qualifica richiesta (l’appartenenza alla III area cioè alla ex carriere direttiva), a garanzia del livello di professionalità ritenuto adeguato alla rilevanza dell’atto. L’indicazione nominativa, tra i funzionari necessariamente in possesso di quelle qualifiche normativamente fissate, riflette una scelta organizzativa interna – adottabile anche mediante ordini di servizio, e non necessariamente con una delega relativa al singolo atto – demandata alla responsabilità del titolare, che valuterà le contingenti esigenze di funzionalità dell’Ufficio, oltre che la momentanea consistenza dell’organico. Ordine di servizio la cui vigenza temporale, se non prefissata, permarrà sino alla sostituzione con altro. Il possesso della necessaria qualifica da parte del funzionario, al momento della sottoscrizione dell’atto – unico requisito testualmente richiesto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1 – potrà essere verificata dal destinatario ed eventualmente eccepito se mancante.

Appare poi improprio il riferimento al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17, comma 1-bis, invocato dai ricorrenti a sostegno della censura, che non attiene alla delega della sola firma di atti di specifica tipologia, ma si riferisce alla eventuale delega di “funzioni”, dettata dalla esigenza che il dirigente affidi ad altri componenti dell’Ufficio, interi settori in cui esso è articolato. E dunque, nel caso di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, l’atto firmato dal delegato risale pur sempre al delegante, in quanto il primo agisce “per” il secondo, mentre nell’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17, comma 1-bis, il funzionario incaricato, sia pure entro i limiti di tempo e contenuto della delega, esercita una funzione sua propria.

Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano che la CTR non si sia “minimamente” pronunciata sulle eccezioni relative all’omessa formale richiesta della documentazione contabile con conseguente difetto dei presupposti perché l’Amministrazione si avvalesse dell’accertamento induttivo. Nel ricorso, in particolare, si legge “che la sentenza impugnata non consente…di individuar le ragioni della decisione..” La decisione, invero, per quanto succinta, ha motivato – in merito alla legittimità del ricorso all’accertamento induttivo ed alla eccezione della parte che l’Amministrazione non avesse inoltrato una formale richiesta di consegna della documentazione contabile – affermando che “i verificatori hanno constatato la mancata tenuta delle scritture (in quanto) non rinvenute presso la sede della società”. In tal modo, il giudice regionale aveva ritenuto che il mancato rinvenimento della documentazione in occasione degli accessi giustificasse la presunzione che essa non esistesse o fosse stata occultata o comunque non recuperabile. Di qui la implicita valutazione che, per ciò stesso, l’accertamento induttivo fosse legittimo. Conclusione, quella maturata dalla Commissione d’appello, pure indotta dalla mancanza di indicazioni, da parte di R.A., su come e dove altrimenti rinvenire le scritture. A lui si erano, comprensibilmente, rivolti i verificatori per essere stato amministratore della società sino a pochi giorni prima dell’inizio dell’accertamento per aver voluto essere, e lo era stato, presente durante l’attività accertativa. Il convincimento del Giudice regionale trovava ragione anche nella anomala assenza del nuovo amministratore Z.A., risultato introvabile malgrado gli infruttuosi e molteplici tentativi degli operatori per raggiungerlo, enunciati nel processo verbale di constatazione e richiamati dall’Ufficio nelle controdeduzioni relative al presente giudizio (a pag. 6). Lo stesso p.v.c., peraltro, era stato (com’e’ pacifico) notificato alla società con il rito degli irreperibili ad ulteriore conferma della densa cortina incontrata dagli operanti nell’attività di verifica, non altrimenti penetrabile se non in via induttiva.

Con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza in merito alla mancata (asserita) deduzione, nel verbale di accertamento in parola, dei costi in misura rapportata ai maggiori ricavi accertati, in violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109.

Il motivo appare generico perché non precisa quale sarebbe stato il corretto ammontare delle deduzioni dei costi a fronte di quello (ritenuto errato) applicato dall’Amministrazione, al fine di consentire al Collegio di prendere cognizione dello scarto tra le due entità e verificare l’erroneità censurata.

Per l’infondatezza dei motivi, il ricorso va, pertanto, rigettato. Segue la condanna alle spese del giudizio e alla rifusione di quelle prenotate a debito. Ricorrono i presupposti per il versamento del c.d. doppio contributo.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di lite he liquida in Euro 9.000,00 e di quelle prenotate a debito.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti, di cui al D.P.R. n. 113 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello fissato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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