Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21537 del 07/10/2020

Cassazione civile sez. I, 07/10/2020, (ud. 14/07/2020, dep. 07/10/2020), n.21537

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8406/2019 proposto da:

V.N., C.M., domiciliati in Roma, Piazza

Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentati e difesi dall’avvocato Rosito Roberto, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

F.M., nella qualità di tutore del minore

V.A., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato Rubino Roberta, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

contro

Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Bari – Sezione

Famiglia e Minori;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BARI, depositato il

18/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2020 dal Cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

DE RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato Rosito Roberto che si riporta;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Mirella Mazzeo, con delega

scritta avv. Rubino, che si riporta ed insiste per il rigetto ed

inammissibilità.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto in data 18.1.2019, la Corte di appello di Bari, sezione per i minorenni, ha rigettato il gravame di C.M. e V.N. avverso il decreto che li aveva dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale sul figlio minore A., nato il (OMISSIS). La Corte ha rigettato il reclamo, ritenendolo inammissibile per difetto di specificità, ai sensi dell’art. 342 c.p.c. e comunque infondato.

Ad avviso della Corte, la pronuncia decadenziale della responsabilità genitoriale era fondata sugli esiti di approfondita istruttoria compiuta dal tribunale e sulle relazioni degli assistenti sociali, da cui risultava che i genitori avevano trascurato i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale; in particolare la madre aveva abbandonato il figlio, sia pure per accudire il marito, e il padre aveva dato fuoco allo zainetto del piccolo, le cui condizioni psico-fisiche erano molto migliorate dal momento in cui erano cessati gli incontri con i genitori.

C.M. e V.N. hanno proposto ricorso per cassazione iaffidato a due motivi e a una memoria. Il tutore, avv. F.M., ha resistito con controricorso e memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Affermata la ricorribilità ex art. 111 Cost., del provvedimento ablativo della responsabilità genitoriale, per la sua attitudine al giudicato rebus sic stantibus (Cass. SU n. 32359 del 2018), il primo motivo, col quale si denuncia la violazione di legge e l’assenza di motivazione del decreto impugnato, è infondato.

2. Occorre premettere che la Corte territoriale ha, anzitutto, ritenuto il ricorso inammissibile per genericità dei motivi, ex art. 342 c.p.c., rilevando che lo stesso non esponeva altro che una generica e gratuita aggressività verbale nei confronti degli operatori dei Servizi Sociali che si erano occupati del caso e, comunque, lo ha ritenuto infondato, evidenziando che la declaratoria di decadenza si fondava sugli esiti dell’approfondita istruttoria svolta, che dava conto del contegno della madre (classe (OMISSIS)), la quale aveva abbandonato in istituto il piccolo per “curare” il marito, circostanza che non la esimeva dai suoi doveri genitoriali, laddove il padre (classe (OMISSIS)), affetto da gravi malattie, aveva a sua volta dichiarato di non potersene occupare. La Corte ha aggiunto che entrambi i genitori sono affetti da ritardo mentale, sia pur lieve; che gli esiti sperati nel corso dell’istruttoria, a seguito dei provvedimenti provvisori adottati, erano falliti e che le condizioni del bambino erano “enormemente migliorate” da quando gli incontri coi genitori erano cessati, in ragione del fallimento dei pregressi tentativi di recupero della capacità genitoriale realizzati nei loro confronti.

3. La statuizione d’inammissibilità per genericità dei motivi non è stata impugnata dai ricorrenti, e tuttavia nella specie, non è applicabile il principio dettato dalle SU di questa Corte con la sentenza n. 3840 del 2007, secondo cui “qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnarle; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata”. Tale principio, valido nel caso in cui la Corte territoriale abbia dichiarato inammissibile l’appello ed abbia altresì in motivazione ritenuto l’appello anche non fondato con argomentazioni ad abundantiam, non vale nell’opposto caso, che ricorre nella specie, in cui la Corte del gravame abbia rigettato nel merito l’appello (come da dispositivo) per infondatezza dei motivi, svolgendo argomenti in motivazione circa l’inammissibilità dell’impugnazione per la loro genericità (in tesi cadendo in contraddizione e smentendo, nei fatti, l’affermazione circa il difetto di specificità delle censure). In tal caso, infatti, il giudice del gravame non ha inteso spogliarsi della propria potestas iudicandi, ma ha piuttosto rafforzato la propria decisione negativa per l’appellante con una ragione alternativa ad abundantiam, che tuttavia è rimasta fuori dalla decisione finale di “rigetto” nel merito dell’impugnazione (cfr., in termini, Cass. n. 30354 del 2017; n. 22782 del 2018). La statuizione d’inammissibilità è resa ad abundantiam e, dunque, contrariamente a quanto ritenuto da parte controricorrente, la relativa mancata impugnazione non comporta l’inammissibilità del ricorso per un ipotizzato passaggio in giudicato di una ratio non impugnata.

4. Nel merito, il motivo è in parte inammissibile e, in parte, infondato. Nonostante il riferimento alla violazione e falsa applicazione di plurime disposizioni di legge (artt. 330,333,147,315 bis e 316 c.c., artt. 3,24 e 111 Cost.), la censura tende, infatti, al riesame del merito, in quanto l’ipotizzata violazione delle disposizioni invocate andrebbe desunta da una diversa valutazione delle emergenze processuali: le critiche, peraltro generiche, si incentrano in sostanza nella contestazione delle valutazioni di merito compiute dalla Corte territoriale. La giurisprudenza indicata in ricorso riguarda fattispecie relative alla declaratoria dello stato di adottabilità, mentre nulla è dedotto a proposito dell’affermata inosservanza dei doveri inerenti alla responsabilità genitoriale, nè circa il miglioramento delle condizioni psico-fisiche del bambino, a seguito della sospensione dei contatti con i genitori.

5. Circa la carenza motivazionale del provvedimento impugnato, va osservato che, il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circoscrive il sindacato di legittimità alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi, qui non sussistenti, della mancanza della motivazione, della motivazione apparente, perplessa o incomprensibile; nè del resto i ricorrenti hanno indicato alcun fatto storico, in tesi pretermesso dai giudici a quibus, i quali hanno puntualmente vagliato le consulenze tecniche, bilanciato i diversi interessi in gioco e dato adeguato risalto all’interesse del minore.

6. Infine, la supposta preterizione dell’ascolto del minore oblitera del tutto di considerare che, al momento del deposito dell’impugnato provvedimento d’appello, il minore aveva appena compiuto sei anni, nè il ricorso precisa se la parte abbia presentato una specifica istanza con cui abbia indicato gli argomenti ed i temi di approfondimento, anche al fine di verificare la capacità di discernimento del minore, a norma dell’art. 336-bis c.c., comma 2 (Cass. n. 5676 del 2017).

7. Con il secondo motivo, che deduce la “violazione dell’art. 92 c.p.c., ex art. 111 Cost., o comunque in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poichè la Corte d’Appello di Bari non ha statuito la compensazione delle spese processuali”, i ricorrenti formulano una doglianza non pertinente rispetto ai parametri normativi indicati in rubrica, circa l’asserito conflitto d’interessi tra il minore e il tutore. Ciò rende il motivo inammissibile, anche perchè contrastante con il principio secondo cui la facoltà di disporre la compensazione delle spese tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione del mancato uso di tale sua facoltà con una espressa motivazione, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. n. 11329 del 2019).

8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. Trattandosi di processo esente, non trova applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna alle spese, che si liquidano in Euro 2.600,00, di cui Euro 100,00 per spese, oltre accessori.

In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone omettersi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2020

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