Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21533 del 18/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 18/10/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 18/10/2011), n.21533

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 21300/2009 proposto da:

M.C. (OMISSIS), L.R.B.M.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CANINA 6,

presso lo studio dell’avvocato PICCAROZZI BRUNO, che li rappresenta e

difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS) in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 29/2009 della Commissione Tributaria Regionale

di FIRENZE del 15.4.08, depositata il 28/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/09/2011 dal Consigliere Relatore Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito per i ricorrenti l’Avvocato Bruno Piccarozzi che si riporta

agli scritti;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. TOMMASO

BASILE che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Nella causa indicata in premessa è stata depositata in cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al P.M. e notificata agli avvocati delle parti costituite:

” L.R.B.M. e M.C. propongono ricorso per cassazione, con quattro motivi avverso la sentenza n. 29-16-89 in data 15-4-2008 depositata in data 28-4-2009 della Commissione Tributaria Regionale della Toscana confermativa della sentenza della CTP di Firenze che aveva respinto il ricorso dei contribuenti avverso l’avviso di liquidazione con il quale l’Ufficio aveva recuperato le maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale relative all’acquisto di un immobile con il beneficio della prima casa avendo revocato la agevolazione a seguito della constatazione che l’immobile presentava una superficie utile di mq 255, superiore quindi al limite di mq 240 per la applicazione del beneficio. La Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, e della L. n. 289 del 2002, art. 11, commi 1 e 1 bis, in C relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Sostengono che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione Regionale nella impugnata sentenza, la proroga biennale rispetto all’ordinario termine triennale di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, per la rettifica e liquidazione delle maggiori imposte di registro, ipotecarie e catastali, nonchè dell’INVIM, prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 11, comma 1, con riferimento alla ipotesi di condono ivi prevista, si applica alla sola ipotesi di accertamento di maggior valore di cui al comma 1, e non alla ipotesi di agevolazioni tributarie (tra cui quelle di cui si discute) previste dal comma 1 bis della stessa norma di legge. Ciò sostanzialmente perchè la proroga non è menzionata nel comma 1 bis, e per il carattere di specialità di tale diposizione questa non può intendersi come estensibile a casi ulteriori rispetto a quelli letteralmente previsti dalla legge, per il principio di stretta interpretazione che vige in questa materia. Con il secondo motivo deducono violazione di legge in relazione alla normativa in materia di accatastamento in quanto i locali che determinavano l’eccedenza di superficie utile erano qualificati catastalmente come cantine e pertanto dovevano essere esclusi da detto computo; con il terzo violazione del regolamento edilizio del comune di Firenze in quanto le cantine non erano considerate come vani abitabili; con il quarto violazione del D.Lgs. del 1992, art. 53, per il caso in cui la sentenza dovesse interpretarsi come affermativa della inammissibilità dell’appello dei contribuenti per genericità. Il primo motivo non pare fondato.

Questa Corte ha già ripetutamente espresso il principio della applicabilità della proroga alle ipotesi di violazione della normativa regolante le agevolazioni tributarie, tra cui rientra la fattispecie in oggetto, ritenendo manifestamente infondata la tesi opposta (ord. n. 4321 del 2009; ord. n. 12069 del 2010).

Deve infatti osservarsi che il comma 1 bis con la dizione le violazioni relative alla applicazione, con agevolazioni tributarie, delle imposte su atti, scritture, denunce e dichiarazioni di cui al comma 1, possono essere definite.. esprime testualmente il concetto che le violazioni delle disposizioni agevolative sono del tutto assimilate alle violazioni relative alla enunciazione del valore degli immobili di cui al comma che precede. Da ciò si deduce che la proroga prevista nel primo comma per le violazioni in esso contenute si applica anche a quelle di cui al comma 1 bis, senza necessità di un esplicito richiamo. D’altro canto, la previsione in entrambi i commi di un condono per le violazioni previste, impone tale conclusione, essendo del tutto incongruo che ipotesi assolutamente equivalenti abbiano trattamento diverso.

Il secondo ed il terzo motivo paiono inammissibili perchè in sentenza si nega espressamente che i locali possano definirsi cantine in quanto aventi la stessa consistenza edilizia degli altri vani, e le argomentazioni dei ricorrenti da un lato sono di mero fatto e pertanto non ammissibili in questa sede in relazione a supposte violazioni di legge, e dall’altro in relazione alla rappresentazione catastale dei vani, a prescindere dal rilievo specifico del dato, il secondo mezzo manca di autosufficienza per carenza di prova documentale della asserzione.

Il quarto motivo è ultroneo in quanto la sentenza non ha dichiarato inammissibile l’appello, limitandosi ad un obiter dictum privo di pratiche conseguenze”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che nulla di sostanziale aggiunge la memoria depositata dai ricorrenti e ribadita in sede di discussione, in quanto, fermo restando il difetto di autosufficienza riscontrato, a fronte della precisa asserzione della CTR che i vani indicati come cantine sono posti allo stesso livello degli altri ed hanno la medesima altezza (quindi ex se utili) appare ininfluente la normativa sull’accatastamento, in quanto l’accertamento di fatto della non corrispondenza alla realtà del dato catastale ne elimina la rilevanza; essendo onere della parte non assolto in sede di merito (nè dedotto come motivo di impugnazione) la dimostrazione concreta, tramite idonea documentazione tecnica, che i vani in questione non erano utilizzabili a scopo abitativo;

che pertanto, riaffermati i principi sopra richiamati, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido alle spese, che liquida in Euro 2.500, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2011

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