Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21532 del 27/07/2021

Cassazione civile sez. III, 27/07/2021, (ud. 16/02/2021, dep. 27/07/2021), n.21532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12222-2019 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA BAINSIZZA

3, presso lo studio dell’avvocato GIANDOMENICO BARCELLONA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

Z.F., C.G., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DI S. ANSELMO 7, presso lo studio dell’avvocato MONICA MARUCCI,

che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonché contro

AURELIA 80 SPA;

– controricorrenti –

Nonché da:

AURELIA 80 SPA, domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria

della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato

EDOARDO ERRICO;

– ricorrenti incidentali –

contro

Z.F., C.G., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA SANT’ANSELMO N. 7, presso lo, studio dell’avvocato MONICA

MARUCCI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti all’incidentale –

nonché contro

P.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 784/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/02/2021 dal Consigliere Dott. PELLECCHIA ANTONELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 25 giugno 2012, Z.F. e C.G. convennero dinanzi al Tribunale di Roma, in proprio e nella qualità di genitori esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio minore C.A., l’Aurelia 80 S.p.a. (proprietaria della casa di cura Aurelia Hospital) ed il Dott. P.G., al fine di sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti dal predetto minore per l’inadeguata assistenza sanitaria ricevuta in occasione della sua nascita, avvenuta in data (OMISSIS).

Esposero che, nella notte tra il (OMISSIS), al termine di regolare gravidanza, Z.F. era giunta al Pronto Soccorso della casa di cura per rottura delle acque e ivi era stata ricoverata, in assenza di contrazioni; che il travaglio era iniziato circa un’ora dopo il ricovero ed era proseguito per l’intera giornata senza che venisse effettuato alcun monitoraggio della frequenza del battito cardiaco del feto da parte dei sanitari e del ginecologo di turno, Dott. P.G.; che solamente alle 20.30 la gestante era stata sottoposta a monitoraggio, ed essendo quest’ultimo risultato “poco rassicurante”, i sanitari avevano deciso di procedere ad un parto cesareo di urgenza; che il bambino era nato alle 21.50, di colore rosso e con le unghie nere.

Dopo alcuni anni, nel gennaio 2010, al minore, che presentava rallentamenti nella coordinazione, nel linguaggio e nell’apprendimento, venne diagnosticata una “encefalopatia ipossico ischemica di genesi neonatale con esito di ritardo mentale di grado medio caratterk ato da ritardo psicomotorio e disturbo della coordinazione motoria in difficoltà di regolazione emotiva”.

Dedussero che tale danno era da attribuirsi alla condotta negligente dei sanitari, per non aver sottoposto la gestante a tutti gli opportuni accertamenti strumentali e non aver proceduto al parto tempestivamente, tenuto conto della falsità della cartella clinica, dove venivano riportati monitoraggi mai effettuati sulla paziente.

Si costituì in giudizio la Aurelia 80 S.p.A. producendo la cartella clinica della struttura dalla quale risultavano i monitoraggi con annotazione manuale degli orari di esecuzione (a causa di problemi di taratura degli apparecchi), eccependo la infondatezza della domanda, contestando il quantum ed avanzando, in caso di condanna, domanda di regresso nei confronti del Dott. P..

Anche quest’ultimo si costituì deducendo l’assenza di ogni personale responsabilità.

Quanto alla cartella clinica prodotta dalla struttura sanitaria, nelle more del giudizio, venne instaurato dagli attori subprocedimento per querela di falso, successivamente cancellato dal ruolo per inattività delle parti.

Istruita la causa ed espletata consulenza tecnica medico-legale, il Tribunale adito, con sentenza n. 4241/2017, accolse la domanda attorea e condannò in solido l’Aurelia 80 ed il Dott. P.G. – responsabili al 50% sul piano dei rapporti interni- al risarcimento dei danni in favore dei genitori, sia nella qualità che iure proprio.

In particolare, il Tribunale ritenne che la difettosa e carente tenuta della cartella clinica, l’errore nella somministrazione dei farmaci, l’omissione dei monitoraggi per il periodo dalle 18.30 alle 21, nonché le risultanze della consulenza tecnica medico-legale, secondo cui i tracciati dei monitoraggi depositati dovevano considerarsi sospetti sin dalla notte del ricovero della Z., consentissero di rinvenire un diretto rapporto causale tra la condotta complessivamente tenuta dai sanitari ed i danni riportati dal minore.

2. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 784/2019, depositata il 5 febbraio 2019, ha confermato la decisione del giudice di primo grado sull’an della pretesa risarcitoria, rigettando l’appello principale proposto dall’Aurelia 80 S.p.A. e quello incidentale proposto dal Dott. P.. Sull’appello principale proposta dall’Aurelia 80 spa.

Circa le doglianze mosse alla sentenza del Tribunale dalla struttura sanitaria (e fatte proprie dal dottor P.), relative al vizio di ultrapetizione, di CTU esplorativa e di errata valutazione del nesso causale, la Corte territoriale, oltre a richiamare la motivazione del giudice di primo grado, ha ulteriormente evidenziato che, in tema di responsabilità professionale da contratto o da contatto sociale del medico, è sufficiente che il danneggiato, oltre a provare il contratto cd. “di spedalità”, alleghi un inadempimento qualificato che sia astrattamente idoneo ad inserirsi nella serie causale che ha condotto all’evento di danno, senza che sia necessario individuare specificamente un comportamento errato od imprudente del medico (l’inadempimento) sul quale solo debba poi svolgersi il contraddittorio processuale senza possibilità di alcun mutamento od adattamento determinato dalle emergenze istruttorie del giudizio.

Pertanto, l’allegazione iniziale dei signori Z. e C. non aveva subito alcuna modifica sostanziale in corso di giudizio, posto che, anche dopo l’espletamento della c.t.u, la questione controversa tra le parti rimaneva incentrata sulle omissioni ascritte ai sanitari nella fase precedente l’esecuzione del parto cesareo.

La corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado anche con riguardo al merito dell’affermata responsabilità sanitaria.

Osserva, infatti, il giudice territoriale che la consulenza tecnica aveva illustrato in modo chiaro come i tracciati cardiotocografici eseguiti si presentassero non rassicuranti in vista dell’esecuzione del parto, spiegando anche l’incidenza sulla gestazione in atto della somministrazione di farmaci facilitatori della contrazione uterina. Inoltre, il ctu aveva chiaramente indicato le ragioni del suo convincimento circa il collegamento causale tra le fasi antecedenti il parto e danno neurologico di cui era risultato affetto il piccolo C.A., evidenziando anche di non aver potuto disporre di alcuna documentazione clinica da cui risultasse l’esistenza di eventuali diverse cause del danno cerebrale.

A fronte delle inequivoche indicazioni offerte dal consulente tecnico, i giudici dell’appello hanno ritenuto le censure della società appellante del tutto generiche, in quanto si limitavano ad indicare – in forma, peraltro, soltanto dubitativa – ipotetiche ricostruzioni alternative dell’intera vicenda sanitaria, senza poi individuare elementi oggettivi e scientificamente provati in base ai quali poter considerare erronee o inesatte le valutazioni mediche del consulente.

Quanto alle ulteriori censure mosse dalla Aurelia 80, la Corte di merito ha ritenuto che non fosse applicabile la L. n. 189 del 2012, art. 3, comma 3, (c.d. legge Balduzzi), laddove prevede che la liquidazione del danno da colpa medica debba effettuarsi secondo l’art. 139 Cod. Ass., non avendo tale disposizione efficacia retroattiva – e, comunque, non risultando applicabili tabelle legali per lesioni superiori al 9%, come quella in trattazione.

Sull’appello incidentale del Dott. P..

I giudici dell’appello hanno confermato la valutazione del Tribunale circa la ripartizione interna della responsabilità in misura paritaria tra la Aurelia 80 e il Dott. P.. Al riguardo, la Corte romana ha infatti ritenuto, sulla base dell’esame della relazione della consulenza tecnica di primo grado, che l’evento dannoso si fosse determinato per una serie di fattori tutti tra loro concorrenti che avevano determinato l’ipossia ischemica in danno del nascituro, senza che fosse stata evidenziata una causa prevalente ed esclusiva tale da esonerare il comportamento attribuibile ad uno dei protagonisti della vicenda. Ciò anche con riferimento alla circostanza, sicuramente rilevante, della scelta di far assumere alla partoriente una dose di Sintocinon in un orario in cui il Dott. P. non era più in servizio, avendo smontato alle 20.30.

Il quadro fattuale emerso in esito alla consulenza tecnica aveva consentito di pervenire al giudizio finale di responsabilità sia della struttura sanitaria sia del Dott. P., come medico che aveva avuto in cura la paziente durante la maggior parto del travaglio della donna, sino alle fasi immediatamente precedenti l’esecuzione del parto cesareo.

Il Dott. P., pertanto, era responsabile della gestione della partoriente durante un lasso di tempo in cui erano stati eseguiti la maggior parte dei monitoraggi, oltre ad avere l’obbligo di redigere in modo completo e corretto la cartella clinica dall’arrivo della paziente al momento in cui la stessa venne affidata al medico subentrante.

Sull’appello incidentale dei genitori di C.A..

La Corte d’appello ha invece riformato la decisione del Tribunale sul quantum del risarcimento, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dai sig.ri Z. e C., condannando la struttura ed il medico in solido al pagamento della maggior somma calcolata in base alle Tabelle di Milano in favore del minore ed alla maggior somma liquidata in via equitativa in favore dei genitori a titolo di personalizzazione del danno biologico.

3. Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione, sulla base di otto motivi, il Dott. P.G..

Aurelia 80 S.p.A. resiste con controricorso, con il quale insiste per l’accoglimento del primo, secondo, terzo, sesto e settimo motivo del ricorso principale, si oppone all’accoglimento dei restanti motivi e propone ricorso incidentale fondato su due motivi.

3.1. Z.F. e C.G. resistono al ricorso principale ed al controricorso incidentale con distinti controricorsi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

In merito al ricorso principale.

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 24 Cost., comma 2 e art. 111 Cost; dell’art. 2907 c.c. e degli art. 99,112 e 115c.p.c., e art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1; La Corte d’Appello avrebbe omesso di rilevare che il giudice di primo grado aveva inammissibilmente modificato la causa petendi del giudizio, basando la propria decisione su fatti diversi da quelli posti a fondamento della domanda.

In particolare, mentre gli attori si sarebbero limitati a fondare la propria pretesa sulla circostanza che, durante la degenza della gestante, nessun monitoraggio era stato effettuato, il Tribunale avrebbe conferito al CTU un incarico meramente esplorativo, avente ad oggetto anche l’eventuale correttezza dei monitoraggi.

Così facendo, il Tribunale prima, e la Corte d’Appello poi, avrebbero compromesso il diritto di difesa del medico e della struttura sanitaria attesa l’evidente differenza tra la difesa da spiegare avverso l’accusa di una condotta omissiva e quella, opposta, avverso la corretta esecuzione della condotta, su cui i convenuti avevano potuto prendere posizione per la prima volta solo in sede di comparsa conclusionale.

Pertanto, la Corte d’appello avrebbe erroneamente fondato la decisione su prove acquisite al di fuori del principio dispositivo.

La Corte territoriale avrebbe ulteriormente errato laddove (a pagina 7 ed 8 della sentenza impugnata) ha richiamato pronunce della Corte di Cassazione che sanciscono l’onere a carico del paziente di “allegare qualificate inadempienze del medico o della struttura sanitaria”.

Tali pronunce non sarebbero conferenti in quanto, secondo il ricorrente, l’allegazione dei genitori di A. sarebbe stata specifica, ma completamente errata, e sarebbe stata mutata su iniziativa del giudice, oltre il termine di legge entro il quale è consentita la modifica (dei fatti costitutivi) della domanda, così impedendo al ricorrente l’esercizio del diritto di difesa.

Inoltre, nel caso di specie, non si sarebbe trattato di c.t.u. percipiente, bensì meramente esplorativa, in quanto volta a ricercare fatti del tutto diversi da (ed addirittura in contrasto con) quelli prospettati dalla parte.

Ne’ sarebbe consentito, come invece ha fatto il giudice del merito, superare il divieto di modificare la domanda ricorrendo, ai fini processuali, alla sussunzione di differenti fatti nella generica macro-categoria delle omissioni, essendo prospettazioni totalmente differenti tra loro quella secondo cui i medici non avevano effettuato alcun monitoraggio e quella secondo cui essi avevano letto male i monitoraggi effettuati.

4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione di legge con riguardo all’art. 225 c.p.c., comma 2 e art. 295 c.p.c.. La Corte d’Appello avrebbe omesso di rilevare che essendosi incentrata la domanda esclusivamente sull’omissione dei monitoraggi, la querela di falso proposta dagli attori in via incidentale, proprio avverso la cartella clinica prodotta dalla struttura sanitaria, aveva carattere pregiudiziale e pertanto il giudice avrebbe dovuto sospendere il giudizio in attesa della sua definizione.

4.3. Con il terzo motivo, si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per omessa pronuncia ovvero in quanto basata su motivazione meramente apparente per aver il Giudice omesso di pronunciarsi sulle censure dedotte nel secondo motivo di appello riguardanti il nesso di causalità tra i tracciati cardiotocografici, la patologia del minore e l’operato dei sanitari nonché circa la mancanza, nella perizia, di un giudizio controfattuale idoneo ad affermare la responsabilità del medico.

4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per omessa pronuncia ovvero in quanto basata su motivazione meramente apparente con riferimento alla censura dedotta con il quarto motivo di ricorso di appello.

In particolare, lamenta che la Corte d’Appello avrebbe fornito una motivazione illogica, apodittica o comunque meramente apparente dal momento che a fronte della censura mossa in sede di appello, circa l’idoneità della condotta del Dott. M., consistente nella somministrazione del Syntocinon, ad interrompere il nesso causale, ne aveva dapprima affermato la rilevanza, per poi ritenerla solamente concorrente, insieme alle condotte del Dott. P. e dei sanitari, alla causazione dell’evento.

4.5. Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 2043 c.c. anche alla luce della L. 8 marzo 2017, n. 24, art. 7, comma 3.

Secondo il ricorrente, nel caso di specie troverebbe applicazione quanto stabilito nella c.d. Legge Gelli- Bianco, che, a conferma di un indirizzo giurisprudenziale affermatosi in seguito all’entrata in vigore del Decreto Balduzzi, ha riconosciuto la natura extracontrattuale della responsabilità del medico.

Pertanto, sarebbe stato onere degli attori dare prova, oltre che del nesso causale tra la condotta e l’evento di danno, anche della colpa del debitore.

4.6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. in collegamento con l’art. 2967 c.c. e art. 216 c.p.c. per. aver la Corte d’appello affermato la responsabilità per colpa del sanitario pur in presenza di oggettivi contrasti nella scienza medica sui limiti entro i quali qualificare i monitoraggi come “non rassicuranti”.

4.7. Con il settimo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 n. 4, un vizio di motivazione solo apparente della sentenza impugnata; in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 40 c.p. e art. 1218 c.c. con riguardo agli artt. 2967 e 116 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto ingiustamente incompleta la cartella clinica della Z..

Lamenta in particolare il ricorrente che la valutazione di incompletezza sarebbe stata espressa dal perito sulla base di una valutazione soltanto personale, mentre il fatto che il Dott. M., subentrato al P. la sera del parto, avesse ritenuto i tracciati dei monitoraggi eseguiti non preoccupanti, dimostrava l’adeguatezza della cartella clinica. Diversamente opinando, andrebbe affermata la necessità di monitorare ogni partoriente continuativamente per l’intero travaglio.

4.8. Con l’ottavo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per omessa pronuncia.

La Corte d’Appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla richiesta del Dott. P. di rideterminazione della responsabilità interna, anche alla luce della condotta della struttura sanitaria che, in violazione dell’obbligo di conservazione, aveva smarrito il fondamentale elemento probatorio costituito dal monitoraggio delle 20:30.

5.1. Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile in quanto il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, non trascrive l’atto introduttivo del giudizio, nemmeno nelle sue parti salienti, con la conseguenza che a questo Collegio non è consentito verificare se effettivamente i giudici del merito abbiano deciso discostandosi dai fatti posti dagli attori alla base della domanda.

Ma anche prescindendo dal suddetto profilo di inammissibilità, il motivo appare comunque infondato.

Si deve infatti ribadire che, in ambito di responsabilità professionale sanitaria, l’accertamento demandato al giudice non è rigidamente vincolato alle iniziali prospettazioni compiute dall’attore quanto all’individuazione delle specifiche condotte costituenti la causa del danno, dovendosi invece ritenere che l’oggetto del giudizio sia costituito dall’accertamento della responsabilità dei convenuti in relazione al danno lamentato dall’attore, di tal che, entro tale cornice, possa ben pervenirsi all’accoglimento della domanda in base al concreto riscontro di profili di responsabilità diversi da quelli originariamente ipotizzati dall’attore.

Tale conclusione si impone a fronte dell’alto tasso “tecnico” che connota le controversie in materia di responsabilità sanitaria e della inesigibilità della specifica individuazione, da parte dell’attore, di elementi tecnico/scientifici che – di norma – possono acquisirsi compiutamente soltanto all’esito dell’istruttoria e con l’espletamento di una c.t.u.; invero, ove si opinasse diversamente, si finirebbe col gravare l’attore di un onere di preventiva individuazione delle cause del danno e delle condotte colpose (anziché di mera allegazione della derivazione del danno dall’inesatto adempimento dell’obbligazione) che si tradurrebbe in un limite ingiustificato all’esercizio del suo diritto di azione (Cass. civ., Sez. III, 20/03/2018, n. 6850).

Ciò che rileva, pertanto, è che il danneggiato indichi un comportamento del medico che sia stato astrattamente idoneo a cagionare il danno: in questo. e solamente questo consiste il carattere “qualificato” dell’inadempimento. Non è invece richiesto che l’attore, una volta individuato ed allegato il nesso causale tra la condotta e l’evento, debba anche circoscriverne la rilevanza a specifici e precisi caratteri, ed in ogni caso, anche qualora egli si sia spinto fino a tale grado di specificità, ciò non impedisce al giudice di estendere la valutazione al comportamento complessivamente tenuto dal medico e dalla struttura sanitaria allorquando questo sia comunque riferibile alla prestazione dedotta in giudizio.

In ogni caso, la sentenza impugnata non appare viziata nemmeno laddove ha ritenuto che l’allegazione iniziale dei signori Z. e C. non abbia subito alcuna modifica sostanziale in conseguenza dell’espletamento della ctu, considerato che, come afferma correttamente la Corte d’appello, la questione controversa tra le parti è rimasta incentrata sulle omissioni ascritte ai sanitari nella fase del travaglio, che hanno portato gli stessi a non intervenire tempestivamente con il cesareo.

Ne’ possono accogliersi le censure della ricorrente con riferimento all’asserita natura esplorativa della ctu espletata in primo grado, in quanto fondata (anche) sull’esame dei monitoraggi.

Al riguardo, si ribadisce che – specialmente nell’ambito del sottosistema della responsabilità da malpractice sanitaria – in caso di CTU “percipiente”, all’ausiliario del giudice possono essere demandate indagini non solo per la comprensione, ma per la rilevabilità stessa di fatti i quali, per essere individuati, necessitino di specifiche cognizioni e/o strumentazioni tecniche (Cass. Sez. 3, ord. 6 luglio 2020, n. 13872).

Nel caso di specie, peraltro, i documenti esaminati dai consulenti erano stati ritualmente prodotti nel processo dalla parte convenuta, con la conseguenza che non sussiste nemmeno la lamentata violazione del principio dispositivo.

5.2. Il secondo motivo è inammissibile per carenza di interesse, considerato che il giudizio sulla querela di falso si è estinto per mancata comparizione delle parti in udienza di prima comparizione e che pertanto, anche qualora il giudice di merito avesse disposto la sospensione del processo, questo sarebbe ugualmente proseguito per la mancata coltivazione del giudizio incidentale.

Il motivo è comunque infondato.

Allorquando venga proposta querela di falso in corso di causa, la sospensione del procedimento principale in attesa della definizione di quello incidentale è subordinata alla valutazione discrezionale del giudice circa la sua essenzialità e la rilevanza ai fini della decisione. Valutazione che, oltre a dover essere contestata tempestivamente (come non risulta essere stato fatto nel caso di specie), non è sindacabile in sede di legittimità. 5.3. Il terzo, il quarto, il sesto il settimo e l’ottavo motivo di ricorso debbono trattarsi congiuntamente per la loro intrinseca connessione.

I motivi sono inammissibili sotto plurimi aspetti, e comunque infondati. Innanzitutto, tutti i suddetti motivi appaiono formulati in violazione del principio di autosufficienza del ricorso in Cassazione.

Al riguardo, si ricorda che, in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che addebita alla consulenza tecnica d’ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa (o nella sentenza che l’ha recepita) ha l’onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi, e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamenti ed alle conclusioni del consulente d’ufficio (Cass. civ., Sez. II, 13/06/2007, n. 13845, cfr. anche Cass., 3 agosto 2017, n. 19427, Cass., 3 giugno 2016, n. 11482; Cass., 17 luglio 2014, 16368.).

Nel caso di specie, invece, il ricorrente ha omesso di trascrivere le parti della consulenza oggetto di contestazione, limitandosi a riportarne alcune frasi, estrapolate dal contesto. Ne’ ha assolto all’onere di trascrivere le censure mosse alle conclusioni dei cm nella precedente fase di merito e di indicare gli atti in cui le stesse sono state formulate.

In ogni caso, le doglianze, anche laddove formalmente dirette a lamentare un vizio di violazione di legge, si risolvono in una inammissibile richiesta di rivalutazione dei fatti di causa, degli elementi istruttori e delle risultanze della perizia medico-legale.

La Corte di cassazione, invero, non è legittimata a compiere una rivalutazione degli atti processuali, dei fatti o delle prove, potendo solo controllare che la motivazione della sentenza oggetto di impugnazione sia scevra di vizi logico giuridici.

Nel caso in esame, quanto alla sussistenza del nesso di causalità tra la condotta del Dott. P. e degli altri medici della struttura e la patologia da cui è risultato affetto il minore, sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno offerto una esaustiva e completa motivazione fondata sulle risultanze delle consulenza medico-legale.

La perizia, infatti, ha individuato una pluralità di errori ed omissioni commessi dagli operatori sanitari al momento del parto ed in particolare: a) la carenza della cartella clinica imprecisa nelle allegazioni, scarna nelle indicazioni ed in parte smarrita; b) l’errore dei sanitari nella somministrazione dei farmaci; c) la lettura dei tracciati da considerarsi già poco rassicuranti dalle 20:30 alle 18; d) la ingiustificata e negligente attesa fino alle 21 per la determinazione di un parto cesareo d’urgenza in base ad un tracciato non rassicurante, non annotato e non presente in atti.

Avendo il ctu escluso la sussistenza di fattori alternativi causali della patologia, la cui prova incombeva al professionista e alla struttura sanitaria, correttamente i giudici del merito hanno ritenuto che tutti questi errori, complessivamente considerati, costituissero antecedenti causali del danno subito dal minore e ciò “senza che fosse stata (in alcun modo) evidenziata una causa prevalente ed esclusiva che potesse esonerare il comportamento/causa attribuibile ad uno dei protagonisti della vicenda clinica in esame”: e questo anche con riferimento alla circostanza (sicuramente rilevante) della scelta di far assumere alla partoriente una dose di Sintocin in un’ora in cui il ricorrente non era più in servizio (cfr pag. 11 sentenza impugnata).

5.4 Il quinto motivo è infondato.

Deve, innanzitutto, escludersi l’applicabilità, nel caso di specie, tanto della L. n. 189 del 2012, quanto della L. 24 del 2017, poiché queste non hanno portata retroattiva e, conformemente all’art. 11 preleggi, regolano unicamente fattispecie verificatesi successivamente alla loro entrata in vigore.

Al riguardo deve essere ribadito il principio, espresso da questa Corte con la sentenza n. 28994 del 2019, secondo cui: “le norme sostanziali contenute nella 1. 189 del 2012, al pari di quelle di cui alla L. n. 24 del 2017, non hanno portata retroattiva, e non possono applicarsi per fatti avvenuti in epoca precedente alla loro entrata in vigore, a differenza di quelle che, richiamando gli artt. 138 e 139 codice delle assicurazioni private in punto di liquidazione del danno, sono di immediata applicazione anche ai fatti pregressi” (Cass. civ. Sez. III. n. 28994 dell’11 novembre 2019).

Nel caso di specie, i fatti per i quali è stata ritenuta la responsabilità risarcitoria del P. risalgono al 2007. Deve pertanto escludersi che essi possano essere regolati, sul piano del diritto sostanziale, dalla legge intervenuta nel 2012 – né appare, per altro verso, predicabile il principio secondo il quale l’entrata in vigore della L. n. 189 del 2012 avrebbe modificato ò la natura contrattuale della responsabilità dell’operatore sanitario, come definitivamente chiarito da questa Corte con la sentenza n. 8940 del 2014.

In meritò al ricorso incidentale.

6.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale la società controricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 138.

La Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere non applicabile al caso in esame la L. n. 189 del 2012, art. 3, comma 3, che, invece avrebbe carattere retroattivo.

Sostiene che l’adozione, da parte del Codice delle Assicurazioni private, di criteri di determinazione dei danni micropermanenti inferiori rispetto a quelli recati dalle tabelle di Milano, dimostrerebbe l’eccessività dei criteri contenuti nelle tabelle per i danni di entità superiore (come quelle di Milano) e dunque la necessità di un intervento giurisprudenziale volto ad unificare i criteri risarcitori.

Chiede pertanto che la sentenza sia cassata con remissione alla Corte d’Appello affinché ridetermini il danno in base a criteri armonizzati con il D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139.

Il motivo è infondato e la sentenza merita di essere confermata seppure con diversa motivazione.

Non può invero condividersi quanto sostenuto dalla corte d’Appello, circa l’inapplicabilità dell’art. 3 comma 3 della c.d. Legge Balduzzi.

Questa Corte è difatti intervenuta a fare chiarezza sul punto con la sentenza n. 28990 del 2019 con la quale ha affermato che tale disposizione, non intervenendo a modificare con efficacia retroattiva gli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile, trova invece diretta applicazione anche per i casi in cui la condotta illecita sia stata commessa, ed il danno si sia prodotto, anteriormente all’entrata in vigore della legge (Cass. civ. sez. III n. 28990 del 11 novembre 2019).

Pur ritenendosi che il criterio tabellare previsto dalla L. 189 del 2012, art. 3, comma, abbia carattere retroattivo, la mancata adozione della tabella ministeriale prevista dall’art. 138 per le c.d. lesioni macropermanenti (menomazioni dell’integrità psico-fisica comprese tra 10 e 100 punti) rende impossibile procedere, nel caso concreto, alla liquidazione del danno secondo un criterio legale (allo stato applicabile solo alle c.d. lesioni micropermanenti previste dalla tabella adottata ex art. 139) non potendosi il giudice di legittimità sostituirsi, in parte qua, al legislatore.

Deve, pertanto, ritenersi corretta (salvo quanto di qui a poco si dirà, nell’esaminare il secondo motivo del ricorso incidentale) la liquidazione, operata dalla Corte d’Appello, in base ai criteri stabiliti dalle Tabelle del Tribunale di Milano (Cass. 12408/2011).

6.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la controricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 1223 c.c.. Si censura la sentenza della Corte d’appello di Roma per aver riconosciuto un aumento del 25% del danno tabellare riconosciuto ad C.A., in assenza di prova specifica circa la sussistenza di circostanze specifiche ed eccezionali in grado di giustificare detto adeguamento.

Il motivo è fondato.

Come da tempo affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, in presenza di un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali ed affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerum queaccidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano invece alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento (cfr. Cass. 28988/2019, Cass. n. 7513/2018, Cass. n. 10912/2018, Cass. n. 23469/2018, Cass. n. 27482/2018, Cass. 25164/2020).

Non è pertanto sufficiente, ai fini del riconoscimento della cd. “personalizzazione”, che le conseguenze di una gravissima menomazione incidano con altrettanta gravità sulla vita quotidiana e sugli aspetti “dinamico-relazionali” del danneggiato se tale incidenza è quella, normale e inevitabile, che subisca chiunque abbia riportato lo stesso tipo di lesione, poiché in questo caso la valutazione della gravità delle conseguenze dannose dell’illecito è già compresa nella liquidazione tabellare.

Soltanto qualora si tratti di conseguenze specifiche, straordinarie e del tutto eccezionali patite altrettanto specificamente ed eccezionalmente da quel singolo danneggiato a causa della sua peculiare situazione, non essendo queste comprese nella liquidazione tabellare che tiene conto solo dell’id quod plerumque accidit, il danno ulteriore va liquidato attraverso la personalizzazione.

Nella fattispecie, la sentenza impugnata, pur essendo pervenuta ad una corretta liquidazione sul piano della morfologia del danno liquidato (avendone correttamente considerato le due distinte componenti, morale e relazionale), non ha poi applicato, altrettanto correttamente, i suddetti principi nella parte in cui ha ritenuto di poter incrementare la misura del risarcimento in considerazione di circostanze che costituiscono “ordinarie” conseguenze delle gravissime lesioni subite da C.A. -conseguenze che qualsiasi soggetto, della stessa età e nel medesimo stato di salute, avrebbe subito.

7. In conclusione, vanno respinti il ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale.

Va invece accolto il secondo motivo del ricorso incidentale, con la conseguenza che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito in relazione al motivo accolto, con esclusione della personalizzazione del danno del 25%.

7.1. Le spese processuali seguono la soccombenza nei rapporti tra il ricorrente principale e i signori C. e Z.. Nei rapporti tra questi ultimi e la ricorrente incidentale, in considerazione della reciproca soccombenza, devono essere compensate.

PQM

la Corte respinge il ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale. Accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, cassa in relazione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, esclude, dall’importo della somma liquidata, l’aumento del 25%.

Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 7.000 di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Spese compensate tra il ricorrente incidentale ed i controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, dà parte del solo ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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