Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21532 del 20/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 20/08/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 20/08/2019), n.21532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4492-2014 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CESARE BECCARIA 29 presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, LELIO

MARITATO;

– ricorrente –

contro

AMIACQUE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 24, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO ANDREOZZI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DOMENICO ROCCISANO;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA NORD S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 456/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 12/02/2013 R.G.N. 588/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/05/2019 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ANTONINO SGROI;

udito l’Avvocato FABIO CUTULI per delega verbale Avvocato DOMENICO

ROCCISANO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Milano, per quello che in questa sede ancora rileva, riteneva non dovuti i contributi per CIGO, CIGS e mobilità richiesti dall’Inps ad Amiacque srl con cartella esattoriale per gli anni 2005, 2007 e 2008, oltre sanzioni e somme aggiuntive.

2. La Corte condivideva la valutazione del giudice di primo grado secondo la quale per la gestione dei servizi idrici operata da Amiacque s.r.l. dovesse applicarsi l’esenzione prevista dal D.Lgs.CPS 12 agosto 1947, n. 869, art. 3, comma 1 come modificato dalla L. n. 270 del 1988, art. 4 individuandone il motivo nella natura di impresa industriale di un ente pubblico della società, il cui capitale è detenuto totalitariamente da enti locali. Riferiva in fatto che era documentalmente provato che il capitale sociale di Amiacque srl, società incorporante CAP Gestione spa, è interamente posseduto da enti locali (comuni e province): in particolare, dal dicembre 2002 il 98% delle azioni è detenuto dalla neocostituita CAP Holding spa, a sua volta interamente posseduta dagli enti locali facenti parte della compagine di CAP Gestione e per la quota restante dai Comuni di Milano, Trezzano sul Naviglio e Somaglia. Evidenziava inoltre il dato rappresentato dall’influenza degli enti sulla direzione della società, facendo riferimento al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 3, comma 28.

3. Per la cassazione della sentenza l’INPS ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui ha resistito con controricorso Amiacque s.r.l..

Equitalia Nord s.p.a. è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. L’INPS deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs.C.P.S. 12 agosto 1947, n. 869, artt. 1 e 3 ratificato dalla L. 21 maggio 1951, n. 498, della L. n. 270 del 1988, art. 4, della L. n. 223 del 1991, art. 116, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 33 del 2003, art. 2, comma 1, lett. B, dell’art. 2903 c.c., della L. n. 142 del 1990, art. 22, della L. n. 498 del 1992, del D.P.R. n. 533 del 1996, del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 113 come modificato dal D.L. n. 269 del 2009, art. 14 conv. nella L. n. 326 del 2003 e della L.n. 308 del 2004, art. 1.

5. Lamenta che sia stato ritenuto l’esonero dal pagamento dei contributi per CIGO, CIGS e mobilità, dovendo Amiacque s.r.l. essere considerata impresa pubblica, mentre una quota delle sue azioni (il 97,93%, cioè la quasi totalità) è di proprietà di un’impresa privata, la CAP Holding spa. Sostiene che non possa assimilarsi alle imprese industriali degli enti pubblici una società, costituita secondo le regole del diritto privato, anche se a partecipazione pubblica. Ciò sulla base del rilievo che si tratta di società di natura privata nella quale l’amministrazione pubblica, pur presente, esercita il controllo attraverso gli strumenti del diritto privato e non già attraverso quelli propri del diritto pubblico.

6. Il ricorso è in primo luogo ammissibile, in quanto risulta chiaramente illustrato l’esame, attinente ad una questione di diritto, che ivi viene devoluto a questa Corte.

7. Il ricorso è altresì fondato, così come ritenuto da questa Corte in precedente arresto avente ad oggetto la medesima società (Cass. n. 13020 del 15/5/2019).

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (v., Cass. n. 20818 del 11/09/2013, n. 27513 del 10/12/2013 e molte altre successive conformi, tra cui da ultimo Cass. n. 25354 del 11/10/2018) in tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la partecipazione da parte dell’ente pubblico.

8. Occorre poi aggiungere – dandosi continuità a quanto già ritenuto da questa Corte nell’ordinanza n. 5429 del 25/02/2019 che la soluzione non muta nel caso in cui la partecipazione pubblica sia totalitaria (come nel caso in esame è stato accertato dal giudice di merito) e non solo maggioritaria.

9. E’ stato infatti precisato che la forma societaria di diritto privato è per l’ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge (com’è confermato dal D.Lgs. n. 175 del 2016, art. 4), e prescelta dall’ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato dall’accettazione delle regole del diritto privato e che la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo invece rilevanza determinante, in ordine all’obbligo contributivo, la gestione dei rapporti di lavoro secondo le regole privatistiche.

10. Non incide quindi sulla problematica oggetto di causa la definizione di impresa pubblica valorizzata dal giudice di merito e accolta dal D.Lgs. 12 aporile 2006, n. 163, recante il codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (attuativo delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) per il quale “imprese pubbliche sono le imprese su cui le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante o perchè ne sono proprietarie, o perchè vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle norme che disciplinano dette imprese”, e “l’influenza dominante è presunta quando le amministrazioni aggiudicatrici, direttamente o indirettamente, riguardo all’impresa, alternativamente o cumulativamente: a) detengono la maggioranza del capitale sottoscritto; b) controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall’impresa; c) hanno il diritto di nominare più della metà dei membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa” (art. 3, comma 28). Il D.Lgs. n. 103 del 2006, infatti, non è la fonte dello statuto dell’impresa pubblica, ma è una disposizione che, in attuazione del dettato comunitario, enuclea una nozione convenzionale da adottare nel suo campo di azione, che è quello della disciplina dei contratti delle stazioni appaltanti, degli enti aggiudicatori e dei soggetti aggiudicatori, aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori ed opere (art. 1, comma 1, v. Cass. n. 20818 del 11/09/2013).

11. Resta da aggiungere che le suesposte conclusioni non possono essere scalfite nè dal D.Lgs. n. 148 del 2015, art. 10 il quale – per quanto qui interessa – ha espressamente previsto l’assoggettamento alla cassa integrazione (e alla relativa contribuzione) delle imprese industriali aventi ad oggetto la “produzione e distribuzione dell’energia, acqua e gas”, dal momento che la sua natura innovativa rispetto al quadro ordinamentale già esistente è già stata espressamente disconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. in tal senso Cass. nn. 9816 del 2016, 26016 e 26202 del 2015), nè a fortiori dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 309, il quale, nel far salvo dal novero delle abrogazioni previste dal D.Lgs. n. 148 del 2015, art. 46, il D.L.C.p.S. n. 869 del 1947, art. 3 (a norma del quale “sono escluse dall’applicazione delle norme sulla integrazione dei guadagni degli operai dell’industria (…) le imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato”), ha semmai confermato la voluntas legis di escludere dall’area di operatività delle disposizioni concernenti l’integrazione salariale soltanto quei soggetti che possano qualificarsi come “imprese industriali dello Stato o di altri enti pubblici”, tra le quali, per le ragioni anzidette, non possono figurare le imprese gestite in forma di società a partecipazione pubblica (così Cass. nn. 7332 e 8704 del 2017, dove il richiamo a Cass. S.U. nn. 26283 del 2013 e 5491 del 2014).

12. A ciò si aggiunga che Cass. S.U. n. 28606/09, nello statuire che spetta al giudice ordinario la giurisdizione in tema di azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti, ha affermato che non è configurabile, avuto riguardo all’autonoma personalità giuridica della società, nè un rapporto di servizio tra l’agente e l’ente pubblico titolare della partecipazione nè un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti; che tale principio è stato adottato da tutta la giurisprudenza successiva delle Sezioni Unite anche in relazione a società per azioni a partecipazione pubblica maggioritaria o totalitaria, anche se sottoposte a penetranti poteri di controllo dell’ente pubblico e anche ove la S.p.A. gestisca un servizio pubblico essenziale (cfr. Cass. S.U. n. 20940/11; Cass. S.U. n. 14957/11; Cass. S.U. n. 14655/11); in altre parole, non costituiscono indici della natura pubblica dell’ente nè il controllo della Corte dei Conti (considerato il denaro pubblico utilizzato) nè i vincoli di finanza pubblica (atteso che l’impegno di capitale pubblico impone comunque il rispetto dei principi di imparzialità, di economicità e di buon andamento della pubblica amministrazione); in breve, la giurisprudenza di questa S.C., anche a livello di S.U., ha ripetutamente affermato che la scelta della pubblica amministrazione di acquisire partecipazioni in società private implica l’assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta (v. da ultimo, per l’assoggettabilità a fallimento della società di capitali con partecipazione in tutto o in parte pubblica, Cass. n. 5346 del 22/02/2019, ed in coerenza con tale impostazione il D.Lgs. n. 175 del 2016, art. 14).

13. L’evoluzione in senso privatistico della disciplina delle società a partecipazione pubblica ha, inoltre, trovato conferma legislativa ad opera del recente D.Lgs. n. 175 del 2016, emanato in attuazione della delega contenuta nella L. n. 124 del 2015, artt. 16 e 18, che ha previsto espressamente all’art. 19 che ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico si applicano le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi.

14. Segue l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto ed il rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, che dovrà rivalutare la causa alla luce del principio di diritto come sopra individuato, in relazione alla contribuzione per CIGO, CIGS e mobilità.

15. Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente vittorioso, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per la regolamentazione della spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2019

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