Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21529 del 20/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 20/08/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 20/08/2019), n.21529

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6523-2018 proposto da:

SECURITAS METRONOTTE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 20,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO SALVATORI, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PAOLO EMILIO

34, presso lo studio dell’avvocato PAOLA D’INNOCENZO, rappresentato

e difeso dall’avvocato ROSALBA PADRONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5865/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/12/2017 R.G.N. 4965/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/05/2019 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ERNESTO IANNUCCU per delega Avvocato PAOLO

SALVATORI;

udito l’Avvocato LUCA BONIFAZI per delega Avvocato ROSALBA PADRONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 18 dicembre 2017, la Corte di Appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha annullato il licenziamento disciplinare intimato in data 28 novembre 2014 a P.F. dalla Securitas Metronotte Srl ed ha condannato quest’ultima alle conseguenze previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, come novellato dalla L. n. 92 del 2012.

2. La Corte, premesso che il comportamento del lavoratore il quale, in costanza di permesso L. n. 104 del 1992, ex art. 33si avvalga dello stesso non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi dell’abuso del diritto, ha tuttavia ritenuto nella specie che, dalle deposizioni testimoniali assunte in grado d’appello nonchè dalla documentazione prodotta, risultasse come, nei giorni contestati del (OMISSIS), P.F. non avesse fatto uso improprio dei permessi richiesti, ma li avesse utilizzati per attendere a finalità assistenziali in favore della ex moglie presso la propria abitazione.

3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società con 2 motivi; P.F. ha resistito con controricorso.

La società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia: “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla L. n. 104 del 1992, art. 33 nella parte in cui (la sentenza impugnata) ha sostenuto che l’attività di assistenza del parente disabile può essere espletata, nella giornata in cui è concesso il permesso, anche in orari diversi da quelli coincidenti con il normale orario di lavoro giornaliero e nonostante la evidente prevalenza quantitativa (13 ore consecutive su 24) nell’arco della giornata del (OMISSIS) dell’attività non conforme allo scopo e conseguente integrale (o a tutto voler concedere parziale) inadempimento dell’obbligo di sicurezza”.

Si sostiene che nella specie la “mera compresenza” sotto lo stesso tetto della disabile sarebbe avvenuta in fasce orarie diverse da quelle in cui il ricorrente sarebbe stato chiamato a lavorare e tale circostanza risulterebbe provata dai turni di servizio prodotti in atti; si eccepisce che, in ogni caso, vi sarebbe stato quanto meno un indebito parziale utilizzo dei permessi in questione.

2. Il secondo motivo denuncia: “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 3, nella parte in cui la sentenza d’Appello, a fronte della mera circostanza che il ricorrente al più ha convissuto con il parente assistito nei giorni oggetto di contestazione, ha ritenuto per ciò dimostrato l’attività di assistenza e cura, obliterando la differenza tra l’elemento dell’assistenza e della mera convivenza”.

3. Il primo motivo non è meritevole di accoglimento.

3.1. Invero per pacifica giurisprudenza di questa Corte può costituire giusta causa di licenziamento l’utilizzo, da parte del lavoratore che fruisca di permessi ex lege n. 104 del 1992, in attività diverse dall’assistenza al familiare disabile, con violazione della finalità per la quale il beneficio è concesso (Cass. n. 4984 del 2014; Cass. n. 8784 del 2015; Cass. n. 5574 del 2016; Cass. n. 9749-del 2016; ancora di recente: Cass. n. 23891 del 2018 e Cass. n. 8310 del 2019).

In coerenza con la ratio del beneficio, l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile. Tanto meno la norma consente di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui la norma è preordinata: il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela. Ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi del tutto non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto (cfr. Cass. n. 17968 del 2016), o, secondo altra prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’Ente assicurativo (anche ove non si volesse seguire la figura dell’abuso di diritto che comunque è stata integrata tra i principi della Carta dei diritti dell’unione Europea (art. 54), dimostrandosi così il suo crescente rilievo nella giurisprudenza Europea: in termini v. Cass. n. 9217 del 2016).

3.2. Tutto ciò premesso la verifica in concreto, sulla base dell’accertamento in fatto della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio, dell’esercizio con modalità abusive difformi da quelle richieste dalla natura e dalla finalità per cui il congedo è consentito appartiene alla competenza ed all’apprezzamento del giudice di merito (in termini: Cass. n. 509 del 2018; v. anche Cass. n. 29062 del 2017; Cass. n. 30676 del 2018).

3.3. Pertanto va rilevato che fa Corte romana non ha in diritto violato o falsamente applicato norme di legge, anzi si è esplicitamente uniformata ai principi già espressi da questa S.C. affermando che il “lavoratore il quale, in costanza di permesso L. n. 104 del 1992, ex art. 33 si avvalga dello stesso non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi dell’abuso del diritto”; ogni ulteriore sindacato circa la ricostruzione dei fatti ed il grado di sviamento della condotta concreta rispetto al legittimo esercizio del congedo, è precluso in sede di legittimità, tanto più nel vigore dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 novellato, trattandosi di apprezzamento appartenente al dominio dei giudici del merito cui è istituzionalmente riservato.

In particolare la Corte territoriale ha ritenuto nella specie che, dall’esame delle deposizioni testimoniali assunte con specifica istruttoria in grado d’appello nonchè dalla documentazione prodotta, risultasse come, nei giorni del (OMISSIS), P.F. si occupasse “di assistere l’ex moglie, con lui in quei giorni convivente (ndr. perchè la figlia era stata sottoposta a due interventi chirurgici che le impedivano l’assistenza della madre), in particolar modo nelle ore serali, ossia quelle più pericolose per lo stato di salute” della disabile (ndr. più volte trasportata al pronto soccorso per tentativi di suicidio in ore notturne); che “vi è una sostanziale coincidenza fra turno di lavoro (che sarebbe stato svolto in mancanza del permesso) ed assistenza prestata all’ex moglie durante il permesso”; che “è possibile affermare che P.F. non ha fatto un uso improprio dei permessi ex lege n. 104 del 1992, ma li ha utilizzati per finalità assistenziali e non per attendere ad altra attività di proprio esclusivo interesse”.

Si tratta evidentemente di una ricostruzione della vicenda fattuale che non può essere rimessa in discussione innanzi a questa Corte di legittimità.

In particolare non giova a parte ricorrente l’assunto secondo cui vi sarebbe stato quanto meno un “inadempimento parziale” del P. perchè una parte della giornata in cui ha fruito del permesso non sarebbe stata dedicata all’assistenza al disabile.

Ribadito che il grado di sviamento della condotta concreta rispetto al legittimo esercizio del congedo spetta al giudice del merito, la prospettiva di parte ricorrente denuncia una visione meramente quantitativa dell’assistenza rispetto alla quale occorre invece che risultino complessivamente salvaguardati i connotati essenziali di un intervento assistenziale (v. Cass. n. 29062/2017 cit.) che deve avere carattere permanente e globale nella sfera individuale e di relazione del disabile, tenuto altresì conto dei valori di rilievo costituzionale coinvolti dalla disciplina in esame che postulano una peculiare e rafforzata tutela degli interessi regolati (v. Corte Cost. n. 232 del 2018).

4. Il secondo motivo è inammissibile in quanto sotto la veste solo formale della denuncia dell’error in iudicando invece, nella sostanza, lamenta quello che, a dire del ricorrente, sarebbe un errato apprezzamento dei fatti ad opera della Corte territoriale in ordine alla circostanza che il P., rientrato a casa, effettivamente assistesse la disabile.

In presenza di una tale quaestio facti ogni margine di sindacato è precluso a questa Corte dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite civili (sent. nn. 8053 e 8054 del 2014).

5. Conclusivamente il ricorso va respinto, con le spese liquidate in dispositivo secondo soccombenza.

Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2019

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