Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21529 del 15/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 15/09/2017, (ud. 08/06/2017, dep.15/09/2017),  n. 21529

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4645/2016 proposto da:

P.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati MARIO PERANTONI e PIETRO LUIGI SAU;

– ricorrente –

contro

B.U.M.H., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LOMBARDIA 23/C, presso lo studio dell’avvocato ENRICO GUIDI, che la

rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato MARIO

CORDELLA;

– controricorrente –

e contro

S.W.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 322/2015 della CORTE D’APPELLO DI SASSARI,

depositata il 17/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’8/06/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA

BARRECA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

con la sentenza impugnata, pubblicata il 17 luglio 2015, la Corte di Appello di Sassari ha accolto l’appello proposto da B.U., in proprio e quale erede di S.W., nei confronti di P.N., contro la sentenza del Tribunale di Tempio Pausania, che aveva dichiarato risolto per grave inadempimento di B.U. e S.W. il contratto dagli stessi stipulato con P.N. in data 6.11.1980 ed aveva condannato i predetti al risarcimento dei danni in favore dell’attore Pasqualini, liquidati in Euro 169.101,00, oltre accessori e spese di lite;

la Corte d’appello, riformando la decisione di primo grado, ha ritenuto che il contratto stipulato tra le parti il 6 novembre 1980 fosse un contratto atipico, e ne ha escluso la nullità per difetto di causa; ha disatteso perciò questa eccezione, nonchè l’eccezione di prescrizione sollevate dall’appellante, rigettando i corrispondenti due motivi di gravame; ha invece accolto il terzo, dopo aver esaminato il contenuto del contratto ed il materiale probatorio;

in particolare, ha ritenuto che il contratto prevedesse l’espletamento da parte del P. di un’attività funzionale alla regolarizzazione degli immobili di proprietà delle controparti ed alla conseguente concessione dell’abitabilità per la Casa-Albergo sita in (OMISSIS), di proprietà dei coniugi; che il corrispettivo, consistente nella cessione di due unità (contrassegnate con i numeri 31 e 32) ubicate nell’immobile, fosse previsto per il rilascio dell’abitabilità, e per il compimento dell’attività necessaria allo scopo (“peraltro non materiale, ma di acquisizione di consulenze, pareri legali e “pratiche simili”” cfr. pag. 4 della sentenza); che l’attore, poi appellato, non avesse dato prova di questa attività, non essendo sufficienti i documenti prodotti (e ritenuti, invece, erroneamente decisivi da parte del primo giudice); che, anzi, i documenti prodotti dai convenuti, poi appellanti, inducevano a ritenere che “la certificazione di abitabilità (e la regolarizzazione della situazione urbanistica che ne era a monte) sia stata conseguita indipendentemente dall’opera del P. e per effetto di attività intrapresa direttamente dai B. – S. per il tramite dell’architetto Pi.” (altro tecnico cui i convenuti, sin dal primo grado, avevano sostenuto di essersi rivolti, in luogo del P., rimasto inerte per lungo tempo); all’accoglimento dell’appello, la Corte ha fatto seguire la condanna dell’appellato al pagamento delle spese dei due gradi;

il ricorso è proposto da P.N. con un solo motivo, articolato in più censure;

B.U.M.H., in proprio e quale erede di S.W., si difende con controricorso;

ricorrendo uno dei casi previsti dall’art. 375, comma , su proposta del relatore della sezione sesta, il presidente ha fissato con decreto l’adunanza della Corte, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

il decreto è stato notificato come per legge;

parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

con l’unico motivo di ricorso il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1365,1366,2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”;

tutta la prima parte dell’illustrazione del motivo è volta a sostenere la violazione dei canoni di interpretazione del contratto di cui alle norme indicate in rubrica, quanto alla connessione causale che la Corte di merito ha posto tra le spese e le pratiche demandate al P. ed il conseguimento del certificato di abitabilità. Il ricorrente interpreta il contratto (del quale riporta il contenuto alla pag. 6 del ricorso) nel senso che egli fosse obbligato (e non soltanto “autorizzato” come ritenuto dal giudice) a compiere dette spese ed attività (senza poteri rappresentativi e/o di spendita del nome dei coniugi residenti in Germania), ma non necessariamente o soltanto al fine di conseguire l’abitabilità bensì anche allo scopo di disbrigare tutte le pratiche “connesse alla gestione del fabbricato” – di modo che si sarebbero dovute considerare rilevanti tutta una serie di attività “seppure non direttamente connesse al rilascio del certificato di abitabilità” (elencate alla pagina 9 del ricorso), del compimento delle quali da parte del ricorrente vi sarebbe stata la prova in atti;

orbene, il tenore letterale dell’accordo e la connessione delle singole clausole (in particolare quanto alla locuzione “pratiche simili” ed al suo collegamento con le previsioni contrattuali precedenti) sono stati esaminati dal giudice, sicchè la diversa interpretazione della parte si traduce in una censura inammissibile in sede di legittimità;

nè l’interpretazione letterale del giudice è smentita dall’applicazione di altri canoni interpretativi – di cui questi non si sarebbe avvalso o che questi avrebbe mal applicato – quale in particolare il comportamento delle parti, poichè anche questo è stato adeguatamente valutato in sede di merito;

d’altronde, il ricorrente nemmeno individua in modo preciso come i canoni interpretativi del contratto sarebbero stati violati nel caso di specie (cfr., tra le altre, n. 3772/2004, per la necessità che siano indicati, in modo specifico, i criteri in concreto non osservati dal giudice di merito e, soprattutto, il modo in cui questi si sia da essi discostato, non essendo, all’uopo, sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante; nello stesso senso anche Cass. n. 22979/ 2004);

ogni altra censura – specificamente quelle svolte nella seconda parte dell’illustrazione del motivo, concernenti la valutazione della prova documentale e testimoniale, anche in riferimento all’attività eseguita dall’arch. Pi. – non attiene certo alla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., (cfr., per l’ambito di applicazione di queste norme, Cass. n. 11892/16, anche per l’affermazione che è inammissibile il motivo che, denunciando violazione dell’art. 2697 c.c., non censura l’erronea applicazione delle regole di riparto dell’onere della prova, ma si limita a criticare l’esito della valutazione delle risultanze probatorie; confermata da Cass. S.U. n. 16598/16, in motivazione); essa attiene piuttosto all’accertamento dei fatti, riservato al giudice di merito;

riguardo a questo accertamento, è oggi consentita esclusivamente la censura di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, peraltro nemmeno prospettata con l’unico articolato motivo di ricorso;

in conclusione, questo va dichiarato inammissibile;

le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.300,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 8 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2017

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