Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21527 del 20/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 20/08/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 20/08/2019), n.21527

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 787-2015 proposto da:

A.R., P.I., domiciliate ope legis presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentate e difese

dall’Avvocato GIUSEPPE LONGHEU;

– ricorrenti –

contro

COOPERATIVA ESEDRA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliata ope legis presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione, rappresentata e difesa dagli Avvocati PAOLO SECHI, MARCO

FIORI;

– controricorrente –

e contro

FONDAZIONE PARTECIPATA PROMOTEA, PROMOZIONE TERRITORIO, CULTURA,

AMBIENTE & ARCHEOLOGIA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliata ope legis presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione, rappresentata e difesa dagli Avvocati PAOLO SECHI, MARCO

FIORI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 251/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 21/08/2014 R.G.N. 52/2014.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Che A.R. e P.I., con separati ricorsi poi riuniti, premesso di avere prestato attività di lavoro dipendente in favore di Tamuli s.r.l., società a capitale interamente pubblico, appaltatrice del servizio di gestione dei beni archeologici del Comune di Macomer, di essere state licenziate per la scadenza del contratto di appalto, che il servizio era poi stato affidato alla Società Cooperativa Esedra la quale aveva rifiutato di assumerle in violazione dell’art. 20 c.c.n.l. che sanciva il diritto dei dipendenti della impresa uscente a passare direttamente alle dipendenze della impresa subentrante nell’appalto, adivano il giudice del lavoro chiedendo accertarsi il loro diritto all’instaurazione di un rapporto di lavoro con la Società Cooperativa Esedra fin dal suo subentro nel servizio dapprima gestito dalla Tamuli s.r.l. e la condanna della stessa al pagamento delle retribuzioni maturate da tale data. La società convenuta si costituiva spiegando domanda riconvenzionale di risarcimento del danno, sia ai sensi dell’art. 96 c.p.c. sia per avere le lavoratrici in questione rilasciato alla stampa locale dichiarazioni diffamatorie nei confronti della cooperativa. Autorizzata la chiamata in causa della Fondazione Partecipata Promotea, Promozione Territorio Cultura, Ambiente e Archeologia, (da ora Fondazione Promotea), subentrata alla Società Cooperativa Esedra nella gestione dei beni culturali del Comune di Macomer, il Tribunale rigettava la domanda delle ricorrenti, respingeva la domanda riconvenzionale della cooperativa intesa al risarcimento del danno all’immagine e condannava le lavoratrici al risarcimento del danno per lite temeraria oltre che alla rifusione delle spese di lite;

2. che la Corte di appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza di primo grado nel resto confermata, ha dichiarato non dovuto il risarcimento del danno per lite temeraria ed ha compensato nella misura di un terzo le spese del giudizio di primo grado ponendo il residuo a carico delle ricorrenti; ha compensato per un decimo le spese del giudizio di appello e condannato le lavoratrici appellanti alla rifusione dei restanti nove decimi in favore della Società Cooperativa Esedra e della Fondazione Promotea;

2.1. che, in particolare, il giudice di appello ha ritenuto inammissibili, per difetto di interesse ad impugnare, il motivo di gravame con il quale era censurata la statuizione di integrale compensazione delle spese di lite tra le originarie ricorrenti e la Fondazione Promotea e il motivo di gravame incentrato sul fatto che il giudice di primo grado avrebbe dovuto pronunziare dapprima sulle eccezione di nullità della domanda riconvenzionale e sulle altre eccezioni in rito formulate dalle originarie ricorrenti. Ha confermato la sentenza di prime cure in punto di configurazione della condotta delle lavoratrici quale espressione di rinunzia al diritto ad essere assunte presso la Società Cooperativa Esedra. Ha respinto la domanda di condanna per lite temeraria sul rilievo che a tal fine si richiedeva la totale soccombenza delle originarie ricorrenti le quali, invece, erano risultate parzialmente vincitrici in relazione all’accoglimento solo parziale della domanda riconvenzionale di controparte. Ha ritenuto che l’esito della lite giustificava la parziale compensazione – nella misura di un terzo- delle spese di primo grado;

3. che per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso sulla base di quattro motivi A.R. e P.I.; le società intimate hanno resistito ciascuna con tempestivo controricorso; la Società Cooperativa Esedra ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Che con il primo motivo di ricorso A.R. e P.I., denunziando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dell’art. 100 c.p.c. e dell’art. 276 c.p.c., comma 2, censurano la sentenza di primo grado per avere dichiarato il difetto di interesse ad impugnare in relazione al terzo motivo di appello con il quale le lavoratrici si erano dolute, in sintesi, del rigetto nel merito della domanda riconvenzionale con la quale la Società Cooperativa Esedra aveva chiesto il risarcimento del danno all’immagine derivato dalle dichiarazioni asseritamente diffamatorie rilasciate ad organi di stampa locale dalle originarie ricorrenti. Sostengono che la statuizione di prime cure solo in apparenza si presentava loro favorevole posto che il giudice di primo grado, con la pronunzia nel merito, aveva accertato implicitamente la riconducibilità delle dichiarazioni in oggetto alla A. ed alla P.; il formarsi del giudicato interno sul punto sarebbe stato idoneo a riflettersi negativamente sulla loro posizione processuale potendo l’articolo di stampa essere interpretato, seppure con qualche sforzo ermeneutico, come una rinunzia alla riassunzione. Proprio per questa ragione in causa avevano decisamente contestato di avere mai rilasciato qualsiasi dichiarazione alla stampa. Dati questi presupposti assumono che il giudice di primo grado avrebbe dovuto procedere nella trattazione della domanda secondo l’ordine di cui all’art. 276 c.p.c., comma 2, esaminando per prima le eccezioni pregiudiziali e poi quelle di merito e, quindi, nello specifico: a) la eccezione di nullità della domanda riconvenzionale ex art. 163 c.p.c., n. 4; b) l’eccezione di nullità della stessa domanda ex art. 36 c.p.c.; c) l’eccezione di incompetenza del Giudice del Lavoro.

Solo in caso di rigetto di tali eccezioni il giudice di prime cure avrebbe dovuto delibare in ordine alla riconducibilità alle lavoratrici delle dichiarazioni rilasciate agli organi di stampa.

Denunziano, inoltre, contraddittorietà ed illogicità di motivazione per avere la sentenza impugnata ritenuto le dichiarazioni rese alla stampa per un verso irrilevanti al fine di escludere la rinunzia al diritto alla riassunzione e per un altro verso rilevanti al fine di poter affermare l’efficacia della rinunzia insieme ad altri comportamenti. Assumono che l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. andava considerato con riguardo alla domanda proposta in giudizio e nell’ambito dello stesso con riferimento al vantaggio che l’istante si era ripromesso nel riproporre la domanda. Tale interesse andava considerato anche con rifermento all’eliminazione di una statuizione idonea a costituire giudicato interno sulla riferibilità o meno delle dichiarazione riportate negli articoli di stampa alle due lavoratrici;

2. che con il secondo motivo deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 20 ter c.c.n.l. Federculture nonchè degli artt. 1324, 1326 e 1334 c.c.. Censurano la sentenza impugnata perchè pur riconoscendo la sussistenza dell’obbligo contrattuale della cooperativa subentrante di assumere i dipendenti della Tamuli s.r.l. aveva ritenuto dirimente il rifiuto alla riassunzione espresso dalle lavoratrici non direttamente alla società Esedra ma nel corso della riunione con il liquidatore della società Tamuli il quale aveva inviato il relativo verbale alla prima società;

3. che con il terzo motivo di ricorso deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 2113,1344e 1418 c.c.. Premesso che il diritto ad essere riassunte dalla società subentrata nell’appalto derivava dall’inderogabile disposto dell’art. 20 c.c.n.l., assumono che la rinunzia a tale diritto, espressa dapprima al sindaco di Macomer e, quindi, al liquidatore di Tamuli s.r.l. nonchè agli organi di stampa, come ricostruito dalla sentenza impugnata, era invalida in quanto viziata da nullità assoluta ai sensi dell’art. 2113 c.c. per difetto di attualità e determinatezza del relativo diritto, posto che all’epoca il licenziamento dei dipendenti della società Tamuli non era stato ancora intimato e pendevano ancora trattative con il Comune di Macomer per evitarlo; inoltre, il contratto di appalto con la Società Cooperativa Esedra non era stato ancora stipulato;

4. che con il quarto motivo, deducendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 329 e 342 c.p.c., censurano la sentenza impugnata per avere, nell’accogliere il motivo di gravame con le quali esse appellanti, avevano impugnato la statuizione di integrale condanna alle spese di lite in favore della società Esedra, parzialmente soccombente in relazione alla spiegata domanda riconvenzionale, rideterminato l’importo dovuto all’esito della disposta parziale compensazione delle spese, in misura superiore a quella stabilita dal giudice di primo grado con la statuizione riformata;

5. che il primo motivo di ricorso è infondato. Secondo quanto risultante dallo storico di lite della sentenza impugnata (v. in particolare pag. 3, terzo cpv.) il giudice di primo grado ha respinto nel merito la domanda riconvenzionale con la quale la cooperativa Esedra aveva chiesto il risarcimento del danno (all’immagine) per le dichiarazioni rilasciate dalle due lavoratrici alla stampa locale, argomentando dall’assenza di offensività del relativo contenuto. Tanto premesso, come già osservato dal giudice di appello, le lavoratrici odierne ricorrenti non avevano alcun interesse giuridicamente apprezzabile ad impugnare tale capo per avere il giudice di primo grado pronunziato direttamente nel merito della domanda riconvenzionale, senza esaminare le preliminari eccezioni in rito formulate dalle originarie ricorrenti. Come ripetutamente chiarito da questa Corte l’interesse ad impugnare va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone (Cass. n. 1236 del 2012, Cass. n. 594 del 2016) e tale risultato utile non può che essere verificato con riferimento alla domanda ed allo specifico petitum della stessa e non con riferimento ad un segmento dell’accertamento – in ipotesi sfavorevole – alla base della statuizione di rigetto della stessa ed utilizzabile nell’ambito della delibazione di una diversa domanda seppure trattata nell’ambito del medesimo giudizio;

6. che il secondo ed il terzo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente per connessione, sono infondati;

6.1 che, infatti, il giudice di appello, sulla base di un’articolata ricostruzione fattuale, ha ritenuto configurabile nella complessiva condotta tenuta delle lavoratrici una manifestazione di rifiuto a passare alle dipendenze della Società Cooperativa Esedra. In particolare, con riferimento alla riunione del 23 dicembre con il liquidatore della Tamuli, il giudice d’appello ha osservato che dal relativo verbale, sottoscritto anche dalla A. e dalla Peschina, emergeva che il liquidatore non si era affatto limitato a proporre ai dipendenti le dimissioni ma, dato atto che la Tamuli era sul punto di cessare ogni attività e che il Comune di Macomer intendeva affidare la gestione dei siti archeologici alla società Esedra, aveva testualmente proposto loro il passaggio alle dipendenze di quest’ultima società ricevendone un rifiuto da parte dei dipendenti della Tamuli comprese le odierne ricorrenti; ciò posto non vi era ragione di ritenere che l’obbligo (pacifico) di assunzione a carico della Esedra, in conformità della previsione collettiva, non potesse essere assolto anche per il tramite della Tamuli di talchè nulla ostava a che il liqutlatore della stessa, oltre a comunicare alla Esedra l’elenco dei dipendenti in forza alla data di cessazione dell’appalto, come previsto dalla norma collettiva, trasmettesse, quale nuncius, anche le dichiarazioni di rinunzia debitamente firmate dagli interessati. Il giudice di appello ha ulteriormente osservato che le lavoratrici non avevano neppure dedotto per quale motivo la loro volontà sarebbe stata diversa se fossero state direttamente interpellate dalla Esedra; ha evidenziato che, per come pacifico, le stesse avevano espresso in un colloquio precedente con il Sindaco il proprio rifiuto a passare alle dipendenze di Esedra; nè risultava che al cambio di appalto avessero manifestato ad Esedra la volontà di avvalersi del diritto alla riassunzione rivendicando tale diritto solo dopo un anno e mezzo. Analogamente si erano espresse con la stampa locale nel senso della irricevibilità della proposta del Comune di proseguire il lavoro alle dipendenze della cooperativa Esedra. Ha quindi ritenuto che l’insieme di tali comportamenti integrava una espressa rinunzia al diritto fatto valere;

6.2. che tale accertamento non risulta incrinato dalle generiche deduzioni formulate con il secondo motivo intese a prospettare una diversa ricostruzione dei fatti al di fuori dei limiti nei quali è consentito in sede di legittimità il controllo della motivazione. Parte ricorrente, invero, non deduce, alcun omesso esame di fatto storico decisivo oggetto di discussione tra le parti che avrebbe determinato una diversa configurazione della condotta delle lavoratrici. Quanto alla doglianza relativa alla inosservanza della procedura di passaggio prevista dal c.c.n. L. Federculture, questione non specificamente affrontata dal giudice d’appello, la stessa risulta inammissibile non avendo le odierne ricorrenti dimostrato di averla ritualmente sollevata nella fase di merito, come prescritto al fine della valida censura della decisione (Cass. n. 20694 del 2018, Cass. n. 1435 del 2013, Cass. n. 20518 del 2008, Cass. n. 22540 del 2006). Tale questione risulta, comunque, superata dall’accertamento relativo alla volontà delle lavoratrici di non passare alle dipendenze della società subentrante nella gestione dell’appalto;

6.3. che il ruolo di nuncius della società Esedra riconosciuto al liquidatore della Tamuli consente di ritenere superate le questioni connesse alla prospettata necessità che le dichiarazioni di rifiuto ad essere assunte pervenissero all’indirizzo della cooperativa subentrante;

6.4. che la questione del difetto di attualità del diritto rinunziato, così come del carattere imperativo delle norme collettive, sollevata con il terzo motivo, non è stata specificamente affrontata dalla sentenza impugnata di talchè le ricorrenti dovevano allegare e dimostrare in termini autosufficienti di averla ritualmente dedotta nei gradi di merito anche in relazione alle circostanze di fatto rappresentate (v. giurisprudenza citata sub paragrafo 6.2), onere in concreto non assolto;

7. che il quarto motivo è fondato. La sentenza impugnata, in accoglimento del motivo di gravame delle lavoratrici, ha compensato le spese di primo grado tra le odierne ricorrenti e la Società Cooperativa Esedra nella misura di 1/3 ponendo il residuo a carico delle originarie ricorrenti. Tale operazione è stata effettuata procedendo alla rideterminazione dell’intero sulla base di un importo superiore a quello stabilito dal giudice di prime cure. Sussiste quindi il denunziato vizio di ultrapetizione posto che il giudice di appello, in assenza di specifica censura sul quantum, non poteva procedere a siffatta rideterminazione ma era tenuto ad operare la compensazione sull’importo originariamente stabilito;

7.1. che a tanto consegue, in accoglimento del motivo in esame, la cassazione della sentenza impugnata in relazione alla misura delle spese di lite di primo grado sulle quali operare la compensazione e la decisione nel merito della questione non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto;

8. che il regolamento delle spese di lite di secondo grado è confermato;

9. che atteso l’accoglimento parziale del ricorso per cassazione le spese di lite sono compensate nella misura di un quarto ed i residui 3/4, liquidati come da dispositivo, posti, in solido, a carico delle odierne ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento in favore della Società Cooperativa Esedra a r.L. dei due terzi delle spese di primo grado liquidate per l’intero nella misura già determinata dalla sentenza di primo grado. Conferma il regolamento delle spese di lite del giudizio di appello. Condanna le ricorrenti, in solido,al pagamento dei tre quarti delle spese del giudizio di legittimità liquidati, in favore di ciascuna controricorrente in Euro 3.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge, compensato il residuo quarto.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2019

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