Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21525 del 18/10/2011

Cassazione civile sez. II, 18/10/2011, (ud. 21/09/2011, dep. 18/10/2011), n.21525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.O. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA S CIPRIANO 35, presso lo studio dell’avvocato MANCINI

FERNANDO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

BERNOCCHI SILVANA, PIZZOCCARO GIOVANNI;

– ricorrente –

contro

R.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SABOTINO 2, presso lo studio dell’avvocato REVELLI

FRANCESCA LUISA, rappresentato e difeso dagli avvocati CORSINI GUIDO,

SIGNINI CLAUDIO;

Z.G. (OMISSIS), ZA.GI.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA L.

ANDRONICO 24, presso lo studio dell’avvocato ROMAGNOLI ILARIA, che li

rappresenta e difende con procura speciale n. 27922 del 1 settembre

2011, unitamente all’avvocato MEANTI VITTORIO; in sostituzione dei

precedenti difensori;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 728/2005 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 25/08/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/09/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI;

udito l’Avvocato BENOCCHI Silvana, difensore del ricorrente che si

riporta agli atti;

uditi gli Avvocati MEANTI Vittorio difensore dei resistenti; REVELLI

Francesca Luisa, con delega depositata in udienza dell’Avvocato

SIGNINI Claudio, (l’avv. REVELLI deposita controricorso notificato)

che si riportano agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 4.12.89 R.G., Z.G. e Za.Gi. premesso di essere proprietari in (OMISSIS), per quote divise del podere denominato (OMISSIS), nonchè pro indiviso di annesse aree cortilizie, citarono al giudizio del Tribunale di Crema M.O., proprietario del vicino podere (OMISSIS) (derivato al pari di quello degli attori, dalla divisione di un unico originario fondo, con atto pubblico del 25.4.41), al fine di sentir negare al medesimo alcuna servitù di passaggio, sia pedonale, che carrabile, sulla proprietà degli istanti, con conseguente inibitoria e risarcimento dei danni..

Lamentavano gli attori che il convenuto aveva preso a transitare abusivamente sul loro cortile, sul ponte: posto sulla c.d. (OMISSIS) in corrispondenza dello stesso e sulla successiva strada campestre di esclusiva proprietà degli istanti, pur essendo stata la divisione attuata in modo tale da evitare ogni interferenza e servitù tra i due poderi, prevedendosi in particolare che al cascinale della (OMISSIS) l’accesso avvenisse esclusivamente attraverso la strada denominata (OMISSIS), avente inizio dalla pubblica strada (OMISSIS).

Costituitosi il M., chiese il rigetto della domanda, sostenendo che con l’atto divisionale del 1941 o, in subordine, per successiva usucapione, era stato acquisita la servitù di passaggio, pedonale e carraia, a carico della (OMISSIS) ed a favore della (OMISSIS), per raggiungere la pubblica via suddetta, con andamento Ovest-Sud, attraverso la c.d. “strada vicinale della (OMISSIS), interessante il percorso ex adverso contestato.

Precisava al riguardo il convenuto che nel citato atto era stata prevista la costruzione, poi realizzata di un secondo ponte sulla (OMISSIS), in modo tale da consentire ai proprietari della (OMISSIS) l’accesso ai propri fondi senza più transitare, dal lato Sud, sul cortile della (OMISSIS), restando così riservato all’uso dei proprietari di quest’ultima il vecchio ponte;soggiungeva che tale situazione era rimasta invariata fino al 1978, quando le controparti avevano arbitrariamente eliminato il primo tratto della strada vicinale, compreso tra i due ponti, ed, alle rimostranze di esso M., invitato il medesimo a transitare per il cortile della (OMISSIS) e ad attraversare il nuovo ponte, per raggiungere il successivo tratto di strada vicinale e, quindi, la nuova provinciale per (OMISSIS). Su tali premesse, il M. chiese, in via riconvenzionale, anzitutto, l’accertamento della servitù di passaggio, per costituzione negoziale o comunque per usucapione, secondo il percorso originario indicato, con conseguente condanna degli attori al ripristino del tratto di strada collegante il vecchio ponte alla via vicinale, in secondo luogo, dichiararsi l’insussistenza di alcuna servitù di transito sul proprio fondo a favore di quello del convenuto; chiese inoltre dichiararsi il proprio diritto, in forza di previsione contenuta nel citato atto pubblico, alla trasformazione di due porte della propria casa in finestre prospettanti sul cortile della (OMISSIS).

Espletata consulenza tecnica di ufficio, con sentenza n. 218/94 l’adito tribunale rigettò le domande attrici ed accolse quelle proposte dal convenuto, ad eccezione della negatoria. A seguito dell’appello proposto dagli Z., resistito dal M., con proposizione di gravame incidentale, la Corte d’Appello di Brescia, dopo aver disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti del R., che aderiva all’impugnazione principale, ammesse ed espletate le prove orali richieste dalle parti, con sentenza del 18.5- 25.8, 05, in totale riforma della decisione di primo grado, accoglieva l’azione negatoria degli attori, con la conseguente inibitoria, tuttavia rigettandone la domanda risarcitoria, dichiarava estinto per prescrizione il diritto del convenuto all’apertura delle finestre, respingeva l’appello incidentale del medesimo e lo condannava al pagamento delle spese di ambo i gradi del giudizio. A tale decisione la corte bresciana – per quanto ancora rileva nella presente sede – perveniva essenzialmente sulla base di un’interpretazione dell’atto di divisione del 1941 diversa da quella fornita dal tribunale, sulla scorta della consulenza tecnica, dissentendo, in particolare, dalla premessa da cui era partito il primo giudice, secondo cui il secondo ponte la cui costruzione era stata prevista nel rogito divisionale, avrebbe dovuto assolvere, indistintamente, a finalità di accesso alla cascina e di scarico dai terreni agricoli. Ritenevano invece i giudici di appello che dalle due clausole al riguardo rilevanti dette destinazioni fossero tenute chiaramente distinte e che il secondo ponte fosse solo finalizzato allo scarico dai campi posti ad ovest; ciò coerentemente all’intenzione dei contraenti di creare due lotti del tutto indipendenti, comportante l’unicità della via di accesso alla cascina (OMISSIS), desumibile anche dalla terminologia al riguardo adoperata dal notaio rogante, in concreto costituita dalla strada ad andamento rettilineo dipartente si da quella pubblica.

Tale individuazione la corte riteneva confortata anche dalle deposizioni di due testi, non smentite dalle rimanenti risultanze orali in particolare dalla divergente testimonianza, “non indifferente”, del genero del convenuto e dal contenuto dell’interrogatorio reso dal R., ammissivo soltanto di passaggi a piedi o in bicicletta.

Quanto all’acquisto della contestata servitù, per destinazione del padre di famiglia, ritenuta dal primo giudice (con argomentazione censurata, per la diversità del titolo ravvisato, rispetto a quello dedottolo per usucapione, invocata dal convenuto, la corte, ne escludeva la configurabilità, per insussistenza del requisito dell’apparenza, tale non potendo desumersi dalla sola esistenza della stradella interna al fondo degli attori, in assenza di alcun visibile elemento di collegamento funzionale con quello, preteso dominante, del convenuto. Avverso la suddetta sentenza il M. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad otto motivi illustrati con successiva memoria. Hanno resistito con distinti controricorsi gli Z. ed il R..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso vengono dedotte “ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e/o violazione delle norme di diritto in materia contrattuale, in riferimento all’art. 1362 c.c. e segg.”, censurandosi l’interpretazione dell’atto divisionale del 1941 fornita dalla corte di merito, in quanto avulsa dalla situazione topografica sussistente all’epoca della relativa stipulazione e basata, invece, su elementi riferibili alla situazione attuale o , comunque, più recente e successiva al 1970; tanto con riferimento all’individuazione dell’unica via d’accesso alla (OMISSIS), che, correttamente indicata dal c.t.u. e dal tribunale nella strada consortile posta ad ovest, sarebbe stata invece, in secondo grado, erroneamente e stravolgendo il tenore letterale; dell’atto, individuata nel percorso a sud, all’epoca costituito da una semplice stradella campestre, inidonea ad assolvere alla suddetta comune funzione. Con il secondo motivo si censura ancora, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e per violazione degli artt. 1362, 1363 e segg. c.c., l’interpretazione del suddetto atto, nella parte in cui sono state individuate due distinte ed autonome clausole, l’una relativa agli “accessi” e l’altra agli “scarichi” escludendo che da quella prevedente la realizzazione di un nuovo ponte si potessero trarre argomenti per identificare l’effettiva strada di accesso di uso comune, senza tener conto che invece, nel contesto dell’atto, i due suddetti termini fossero adoperati indifferentemente del comportamento successivo delle parti; in particolare, non sarebbe stato considerato che i proprietari della (OMISSIS), per decenni e fino ad epoca recente, avrebbero usato quale via d’accesso solo ed esclusivamente il ponte nuovo e, dopo aver eliminato il tratto di strada già adducente al ponte vecchio, avrebbero invitato il M. a fare altrettanto.

Con il terzo motivo viene ulteriormente censurata, per vizi analoghi a quelli sopra dedotti, l’esclusione, del “principio interpretativo”, che sarebbe stato invece correttamente adottato nella sentenza di primo grado, secondo cui il termine “strada” sarebbe riferibile logicamente e ragionevolmente solo alla “strada vicinale” e non anche ad altre vie minori, all’epoca denominate “stradelle”, pervenendo ad opposta conclusione sulla base di fallace argomento desunto dalla circostanza che il notaio rogante avesse omesso di indicare il nome della strada di accesso, così trascurando che nell’atto era stata invece individuata la via di accesso comune come “strada di accesso alla (OMISSIS) dalla Comunale per (OMISSIS), con inequivoco riferimento a quella consorziale, l’unica vera strada all’epoca esistente, oltre alle “stradelle” campestri.

Con il quarto motivo si censura per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e malgoverno delle norme interpretative di cui all’art. 1362 c.c. e segg., l’argomentazione con la quale la corte di merito ha ritenuto inconferente il ragionamento del tribunale basato sulla costituzione della servitù, per destinazione del padre di famiglia, a favore del M..

L’errore sarebbe costituito da una inversione di ordine logico, con la quale la tesi (la negazione della servitù attraverso il ponte vecchio) sarebbe usata come ipotesi, sostenendo che, poichè non vi era servitù attraverso il ponte vecchio, ma la servitù doveva esercitarsi in altro luogo, non vi erano i presupposti per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia in occasione della divisione dei due fondi; tanto senza tener conto che dall’atto risulterebbe evidente che il vecchio ponte in muratura, prima della divisione del 1941, serviva tutta la (OMISSIS), che il nuovo ponte avrebbe dovuto essere costruito al servizio della sola (OMISSIS), in modo tale da lasciare il vecchio esclusivamente a servizio della (OMISSIS).

I suesposti motivi d’impugnazione, tutti attinenti all’interpretazione dell’atto di divisione del 1941 e, pertanto da esaminare congiuntamente per la stretta connessione, vanno respinti.

Le pur diffuse doglianze, accomunate dalla palese finalità di accreditare una diversa valutazione delle risultanze processuali e da ripetuta inosservanza del principio dell’autosufficienza – laddove criticano l’operazione ermeneutica compiuta dai giudici di appello, senza riportare nella loro interezza, quanto meno nei passi salienti, il testo dell’atto interpretato – si palesano inammissibili, quali censure di puro merito, non evidenzianti alcuna effettiva violazione dei canoni di cui all’art. 1362 c.c. e segg., – tra i quali, invero, non figura quello predicato nel primo motivo – nè effettive, lacune o vizi logici dei moduli argomentativi adottati dal giudice a quo; il tutto sulla base di circostanze di fatto, segnatamente relative ai mutamenti che, nel tempo, la situazione dei luoghi avrebbe subito per effetto di comportamenti delle parti, in particolare di quella avversa asseritamente posta in essere nel 1978, ed alle assunte modalità di esercizio del passaggio da parte dell’una e dell’altra, che si assumono pacifiche o provate, senza tuttavia indicare quali sarebbero le ammissioni al riguardo rese dagli avversari o le specifiche risultanze di prova corroboranti l’assunto.

Irrilevante, infine, è il profilo di censura, per illogicità, attinente alla ritenuta inconferenza, da parte di giudici di appello, dell’argomento connesso alla destinazione del padre di famiglia, attenendo ad una considerazione non essenziale ai fini della questione della sussistenza o meno di un titolo negoziale legittimante l’esercizio della controversa servitù, e che la corte di merito ha esposto soltanto con finalità rafforzative di quelle, di per sè sufficienti e logiche, desunte ex art. 1362 c.c. dal tenore letterale delle clausole e dal loro insieme, al fine di individuare le intenzioni dei condividenti in relazione alle modalità di accesso, previste per l’una e dell’altra parte del fondo diviso, al riferimento alla relativa strada ed alla destinazione del costruendo secondo ponte; tale irrilevanza non attiene, invece, alla diversa questione dell’acquisizione a titolo originario del diritto reale medesimo, oggetto dei successivi motivi. Con il quinto motivo si censura, per omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punto decisivo e per malgoverno degli artt. 1031, 1061, 1158 c.c., l’esclusione del requisito della servitù, ai fini della relativa acquisizione per destinazione del padre di famiglia, ravvisata dal primo giudice, o per usucapione, come dedotto a fondamento della domanda riconvenzionale; si sostiene la sussistenza del “raccordo funzionale” tra l’opera ed il fondo dominante, erroneamente negata dalla corte di merito, nella specie riscontrabile nella esistenza del vecchio ponte in muratura, che congiungeva detto fondo con quello servente ed immetteva nella (OMISSIS) attraverso la strada consortile vicinale proveniente dalla Comunale di (OMISSIS), insistendo sui mappali di proprietà Z., rientranti nel complesso della (OMISSIS); tale strada, esistente fin dal 1941, sarebbe stata sempre utilizzata ed asservita alla (OMISSIS), quanto meno fino al 1978; il fatto che all’attualità tale ultimo tratto di strada, già integrante il requisito dell’apparenza, non fosse più sussistente sarebbe privo di rilevanza, sia agli effetti della destinazione del padre di famiglia, ma a quelli dell’usucapione, che comunque si sarebbe maturata, con effetto acquisitivo retroattivo; per di più, la corte sarebbe incorsa in contraddizione, nel negare detto requisito, pur avendo dato atto che i testi avevano riferito dell’esistenza di un residuo tracciato percorribile a piedi o in bicicletta.

Con il sesto motivo si censura, per carenza e contraddittorietà di motivazione e malgoverno dell’art. 112 c.p.c., il rilievo della corte di merito secondo cui il primo giudice avrebbe indebitamente ritenuta sussistente la servitù sulla base di un titolo acquisitivo, la destinazione del padre di famiglia, diverso da quello, l’usucapione, dedotto dal convenuto a sostegno della domanda riconvenzionale; al riguardo si richiama la giurisprudenza di legittimità, secondo cui i diritti reali “si identificano in sè e non in base alla loro fonte”, con la conseguente possibilità del giudice di accogliere la domanda o eccezione che li abbia dedotti, anche per un titolo diverso, senza incorrere in violazione del principio della domanda.

I mezzi d’impugnazione appena esposti da esaminare congiuntamente per l’evidente connessione, sono fondati nei limiti di seguito esposti e da accogliere per quanto di ragione. Fondata è, anzitutto, la censura contenuta nel sesto motivo, tenuto conto del connotato della c.d. “autodeterminazione”, che per principio costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte caratterizza i diritti reali, i quali, in quanto di per sè integranti la causa petendi della domanda o eccezione a cui fondamento siano stati dedotti, possono essere dal giudice accertati anche alla stregua di un titolo, comunque risultante dagli atti, diverso da quello invocato dal deducente, che al riguardo non risulta vincolante ai fini della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato divieto della mutatio libelli o di domande nuove in grado di appello (.v., tra le tante, Cass. nn.23851/10, 22598/10, 12607/10, 15915/07, 24702/06). Consegue da quanto precede che, nel caso di specie, pur avendo il convenuto dedotto, al fine di contrastare la domanda principale, negatoria, ed a fondamento della propria riconvenzionale, confessoria servitutis, in via subordinata rispetto alla tesi principale della fonte negoziale del diritto reale in questione, quella del suo acquisto per usucapione ex art. 1158 c.c., ben avrebbe potuto il giudice di merito ravvisare, anche di ufficiosi diverso titolo acquisitivo costituito dalla destinazione del padre di famiglia, in cospetto delle relative condizioni risultanti dagli atti, costituite dalla sussistenza dei requisiti dell’apparenza della relativa servitù e della sussistenza, all’epoca del frazionamento del fondo originariamente appartenuto ad un unico proprietario, di una relazione di fatto comportante l’asservimento di una parte dello stesso ad altra.

Ed a tal riguardo l’indagine compiuta dalla corte di merito, nonostante la citazione di pertinenti decisioni di legittimità (Cass. nn. 8039/04, 1454/95), risulta superficiale e contraddittoria, in quanto limitata ad una laconica argomentazione, secondo cui il M. non avrebbe provato e neppure allegato l’esistenza di segni di raccordo funzionale tra i due fondi, già parti di quello unico preesistente, senza tener conto dell’esistenza, pacifica e confermata dalla consulenza tecnica, di un ponte, quello “vecchio”, opera visibile e permanente che ab origine consentiva il passaggio dall’una all’altra, in corrispondenza di una via d’accesso comune, della cui prosecuzione sui terreni, oggi appartenenti agli attori, è la stessa corte a dare atto, riferendo – e peraltro ingiustificatamente minimizzando – la circostanza che dalle dichiarazioni dei testi e delle parti rese in sede di interrogatorio formale, sarebbe emersa la sussistenza idi un “passaggio a piedi o in bicicletta “. Tale circostanza, di per sè idonea ad integrare il requisito dell’apparenza (che per costante giurisprudenza può desumersi anche dalle tracce di calpestio), quanto meno di un sentiero atto a consentire il passaggio con dette elementari modalità, avrebbe dovuto indurre i giudici di merito non solo a valutare la sussistenza degli estremi per l’acquisizione a titolo originario del corrispondente diritto reale, ma anche, segnatamente ai fini dell’accertamento degli estremi di cui all’art. 1062 c.c., ad un approfondimento dell’indagine onde stabilire se detto minimale tracciato costituisse il residuo di uno preesistente, di maggiore ampiezza, corrispondente a quella del varco di accesso costituito dal suddetto ponte ed ancora sussistente all’atto della divisione.

Restano conseguentemente assorbiti il settimo motivo, con il quale si censura la valutazione delle risultanze testimoniali relative all’individuazione dell’effettiva originaria strada di accesso ai fondi menzionata nel titolo e l’ottavo, con il quale si lamenta il mancato accoglimento dell’appello incidentale del M., relativo alla negatoria della servitù di passaggio a favore dei fondi della (OMISSIS), attraverso quelli di proprietà del suddetto, di cui ai mappali 108, 62, 66 e 71, domanda la cui sorte dipende dall’esito delle rimanenti, reciprocamente proposte dalle parti, in ordine alle quali dovrà svolgersi la nuova indagine di merito.

La sentenza impugnata va, conclusivamente, cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio ad altra sezione della corte di provenienza, cui si demanda anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi quattro motivi, accoglie il quinto, nei limiti di cui in motivazione, ed il sesto, dichiara assorbiti i rimanenti, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Brescia.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2011

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