Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21523 del 20/08/2019

Cassazione civile sez. II, 20/08/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 20/08/2019), n.21523

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26754-2015 proposto da:

T.S., rappresentato e difeso dall’Avvocato MASSIMO

ZAMPESE ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Marcello Cardi in ROMA, VIA BRUNO BUOZZI 51;

– ricorrente –

contro

GAR.BER. s.n.c. di G. & B., in persona del legale

rappresentante pro tempore G.E., rappresentata e difesa

dall’Avvocato Paolo Polato ed elettivamente domiciliata presso lo

studio dell’Avv. Giampaolo Fantozzi, in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 28;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1743/2014 della CORTE d’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 28.07.2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/05/2019 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 2.11.2005, T.S. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1665/2005, emesso dal Tribunale di Treviso il 26.7.2005, a favore della GAR.BER. s.n.c. di G. & B., per il pagamento della somma di Euro12.829,53, quale corrispettivo a saldo per la fornitura e posa in opera di serramenti presso l’immobile in (OMISSIS).

Si costituiva la convenuta chiedendo il rigetto dell’opposizione.

Con sentenza n. 208/2010 del 4.2.2010, il Tribunale di Treviso rigettava l’opposizione e, per l’effetto, confermava il decreto ingiuntivo opposto, condannando l’opponente alle spese di lite. Osservava, in particolare, il Giudice di primo grado che la fornitura aveva riguardato due distinti appartamenti, uno occupato da T.S. e l’altro dal di lui padre, T.A. e che, tuttavia, si trattava di un unico contratto stipulato da T.S., così come riferito dal teste G.A.. Quanto ai vizi o difetti, essi erano stati solo genericamente enunciati nella missiva del 10.11.2004 e l’opponente non aveva provato la consistenza e il perdurare di essi, dato che l’opposta aveva affermato di averli eliminati. Per quanto riguardava la differenza di importo risultante dal preventivo rispetto a quello ingiunto, l’opponente non aveva contestato di aver ricevuto quanto descritto in fatture e nemmeno aveva indicato quali prestazioni o materiali non avesse ricevuto.

Contro tale sentenza proponeva appello il T., contestando (tra l’altro) la illegittima applicazione degli interessi di mora ex D.Lgs. n. 231 del 2002, non applicabili in quanto il committente non era un imprenditore commerciale.

Si costituiva l’appellata chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.

Con sentenza n. 1743/2014, depositata in data 28.7.2014, la Corte d’Appello di Venezia revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava l’opponente a pagare all’opposta la somma di Euro 12.184,67, oltre alle spese di lite nella misura onnicomprensiva di Euro 1.456,65; compensava in ragione di un sesto le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, condannando l’appellante a rifondere all’appellata le spese residue che liquidava in Euro 2.900,00 per il giudizio di primo grado e in Euro 3.100,00 per il giudizio di appello, oltre al rimborso spese forfetarie nella misura del 15% e agli accessori per entrambi i gradi di giudizio.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione T.S. sulla base di due motivi, illustrati da memoria; resiste la GAR.BER. con controricorso, depositando anch’essa memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va rigettata l’eccezione sollevata dalla controricorrente di inammissibilità del ricorso ex art. 330 c.p.c., comma 3, in quanto notificato il 16.10.2015, ossia oltre l’anno dal deposito della sentenza (28.7.2014), anche maggiorato del periodo di sospensione feriale, esclusivamente presso il procuratore, anzichè alla parte personalmente.

Da un lato, costituisce principio consolidato che, se il termine annuale di decadenza dall’impugnazione inizia a decorrere prima della sospensione per il periodo feriale, deve prolungarsi di quarantasei giorni per effetto della sospensione medesima (non dovendosi tener conto del periodo compreso tra il 1 agosto ed il 15 settembre); e se l’ultimo giorno di detta proroga venga a cadere dopo l’inizio del nuovo periodo feriale dell’anno successivo (come ridotto dal D.L. n. 132 del 2014, in vigore dal 2015) è suscettibile di un ultericire prolungamentò (Cass. 16549 del 2012; Cass. n. 2435 del 2006; Cass. 13383 del 2005).

Dall’altro lato, le Sezioni unite di questa Corte, in termini generali, hanno affermato che il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicchè i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità” (Cass. sez. un. 14916 del 2016).

2.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Illegittimità degli interessi di mora ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002 – Qualifica di consumatore o comunque non imprenditoriale del committente – Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. A) – Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3”. Osserva il ricorrente che la società resistente, sin dalla proposizione del ricorso per ingiunzione, aveva richiesto il pagamento dei soli interressi legali, mentre erroneamente il Tribunale di Treviso, nell’emissione del provvedimento monitorio, ingiungeva al T. di pagare la somma di Euro 12.829,53, oltre agli interessi commerciali, ex D.Lgs. n. 231 del 2002, dal dovuto al saldo. Il T. appellava la sentenza, evidenziando che gli interessi di mora ex D.Lgs. n. 231 del 2002 sono previsti invece solo nella transazioni commerciali, cioè nei contratti tra imprese. La Corte d’Appello rigettava il motivo e confermava la debenza di tali interessi; ritenendo erroneamente che essi si applicassero a ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale, non essendo necessario che entrambe le parti avessero la qualifica di imprenditori.

2.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Erroneità della sentenza impugnata – Errato ammontare della condanna alle spese in quanto il Giudice d’Appello ha tenuto conto, nel calcolo, degli interessi moratori ex D.Lgs. n. 231 del 2002 – Violazione artt. 91 e ss. c.p.c. – Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3”. Secondo il ricorrente la sentenza impugnata ha violato le disposizioni di cui all’art. 91 e ss. c.c. ponendo a carico del ricorrente la quasi totalità delle spese di lite in base al presupposto del rigetto del motivo di appello relativo agli interessi moratori. Pertanto, l’accoglimento del ricorso dovrebbe comportare una compensazione o quanto meno una riduzione delle spese di lite liquidate con rifermento ai due gradi di merito.

3. – Il primo motivo è fondato.

3.1. – Per la corte di merito, “il fatto che l’art. 2 (del D.Lgs. n. 231 del 2002) rechi la definizione dell’imprenditore quale soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione non implica che per la sussistenza di una transazione commerciale occorra che entrambe le parti abbiano la qualifica di imprenditore, non sussistendo alcuna disposizione in tal senso” (sentenza impugnata, pagina 15).

Questa Corte, viceversa, ha posto in rilievo che la disciplina contenuta nel D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, di attuazione della direttiva 2000/35/CE, trova applicazione per ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale (art. 1), per tale intendendosi “i contratti, comunque denominati, tra imprèse ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo” (art. 2), ed è volta a contrastare i “ritardi di pagamento”, ovvero “l’inosservanza dei termini di pagamento contrattuali o legali” (art. 2). La disciplina dettata in attuazione della direttiva 2000/35/CE, determina, dunque, una evoluzione tendenziale della legislazione che mira a incentivare (attraverso sanzioni automatiche, di natura monetaria) il pagamento delle somme dovute nell’ambito dei contratti tra imprese o tra imprese e pubbliche amministrazioni, relative a cessioni o consegne di merci ovvero a prestazioni di servizi, nel cui novero va incluso anche l’appalto (arg. da Cass. n. 14465 del 2004). Peraltro, la definizione adottata dall’art. 2 del D.Lgs. n. 231 del 2002, comprensiva dei contratti, comunque denominati, tra imprese che comportano, in via esclusiva o prevalente, la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo, è, invero, compatibile con la definizione dell’appalto specificata dall’art. 1655 c.c., dovendosi intendere l’espressione prestazione di servizi come riferibile a tutte le prestazioni di fare (e, quindi, anche di non fare) che trovano il loro corrispettivo in un pagamento in denaro (Cass. n. 5734 del 2019).

La inequivoca valenza letterale del citato art. 2 (lungi dall’attribuire preminente valenza alla oggettiva natura commerciale della transazione, desumibile dalla ratio e dalla essenza del concreto rapporto inter partes) si riferisce proprio alla specifica individuazione dell’ambito soggettivo di applicazione della norma, nel quale non sono in alcun modo ricompresi i privati che, in tale qualità, contrattano con i soggetti indicati, nelle materie de quibus.

Pertanto la dicitura “contratti tra imprese” non ammette altra interpretazione della medesima norma se non quella di limitare l’applicabilità di tale tipologia di contratti agli accordi tra imprese o tra imprese e Pubblica amministrazione.

3.2. – Stante la natura pregiudiziale dell’accoglimento del primo motivo, il secondo resta assorbito.

4. – Va dunque accolto il primo motivo, con assorbimento del secondo; la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Venezia, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla corte d’appello di Venezia, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2019

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