Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21522 del 27/07/2021

Cassazione civile sez. III, 27/07/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 27/07/2021), n.21522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 38478/2019 proposto da:

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI OTTAVI

9, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO SCARINGELLA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO LOSCERBO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2297/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 08/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. A.S., proveniente dal Pakistan, ricorre affidandosi a sei motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Bologna che aveva respinto l’impugnazione avverso la pronuncia del Tribunale con la quale era stata rigettata la domanda di protezione internazionale declinata in tutte le forme gradate, in ragione del diniego a lui opposto in sede amministrativa dalla competente Commissione territoriale.

1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal proprio paese in quanto il distretto di provenienza era interessato da un conflitto generalizzato, non adeguatamente contrastato dalle autorità statali, situazione che rientrava nelle previsioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; e che la Corte territoriale aveva considerato soltanto le ragioni economiche che, pure, lo avevano spinto a lasciare il Pakistan, scindendole del tutto dalle ragioni sociopolitiche che rappresentavano il motivo parimenti rilevante che lo aveva costretto ad allontanarsi dal proprio paese.

2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, con contestuale vizio di motivazione in ordine alla negativa valutazione della credibilità delle dichiarazioni da lui rese sul racconto narrato e l’omessa attivazione dei doveri informativi ufficiosi.

2. Con il secondo motivo lamenta altresì, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 17.

2.1. Assume che, diversamente da quanto indicato dalla Corte territoriale, le norme invocate prevedevano che il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria dovessero prescindere dalla credibilità della vicenda raccontata, imponendo al giudice di “valutare tutti gli elementi del caso concreto” (cfr. pag. 8 del ricorso).

3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: deduce che i giudici d’appello avevano omesso di indicare i riferimenti normativi utilizzati per la valutazione e la decisione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria.

4. Con il quarto motivo lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 8 e 14.

5. Con il quinto motivo, deduce l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia relativamente alla protezione umanitaria.

6. Con il sesto motivo si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonché della omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione al permesso di soggiorno per motivi umanitari.

7. Il primo motivo è fondato ed assorbe il secondo ed il quarto.

7.1. Il ricorrente lamenta, infatti, che il giudizio sulla attendibilità del racconto narrato era stato formulato disattendendo il paradigma valutativo predicato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5; deduce altresì l’inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria al quale la Corte territoriale avrebbe dovuto ottemperare attraverso l’acquisizione di informazioni attendibili e aggiornate sul suo paese di origine.

7.2. Assume, al riguardo, che la Corte dapprima aveva richiamato succintamente il giudizio negativo della Commissione territoriale sul racconto narrato; poi aveva riportato in motivazione che il primo giudice aveva condiviso tale valutazione, avendo precisato che il Punjab, zona di provenienza, non era afflitto da alcuna forma di conflitto armato, generatore di violenza indiscriminata nell’accezione elaborata dalle Corti Europee; infine, aveva aderito acriticamente a tale apodittica affermazione che riferiva ad “incongruenze non trascurabili e giustificabili, riguardanti circostanze fulcro della vicenda” (cfr. pag. 8, secondo, terzo e quarto cpv. della sentenza) le quali, tuttavia, non erano state né indicate né analizzate.

7.3. Il Collegio osserva che la Corte territoriale, effettivamente, non ha applicato correttamente i principi predicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, essendosi limitata ad un percorso argomentativo acritico e meramente “adesivo” a quello articolato dalla commissione territoriale e dal giudice di primo grado; a ciò si aggiunge che non risulta adempiuto il dovere di cooperazione istruttoria, necessario per dare un concreto riscontro alla negativa valutazione di attendibilità dei fatti narrati, visto che la situazione di instabilità e violenza generalizzata denunciata è stata esclusa senza alcun riferimento ad informazioni acquisite attraverso fonti attendibili ed aggiornate che, in applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 5, devono essere espressamente e specificamente richiamate dal giudice di merito.

7.4. Al riguardo, questa Corte ha condivisibilmente affermato che “funzione del procedimento giurisdizionale di protezione internazionale deve ritenersi quella – del tutto autonoma rispetto alla precedente procedura amministrativa, della quale esso non costituisce in alcun modo prosecuzione impugnatoria – di accertare, secondo criteri legislativamente predeterminati, la sussistenza o meno del diritto al riconoscimento di una delle tre forme di asilo, onde il compito del giudice chiamato alla tutela di diritti fondamentali della persona appare funzionale anche al di là ed a prescindere da quanto accaduto dinanzi alla Commissione territoriale – alla complessiva, accurata raccolta delle predette informazioni, nel corso della quale dissonanze e incongruenze, di per se non decisive ai fini del giudizio finale, andranno opportunamente valutate in una dimensione di senso e di significato complessivamente inteso, secondo un criterio di unitarietà e non di reiterato frazionamento, come confermato dal disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. e), a mente del quale, nella valutazione di credibilità, si deve verificare anche se il richiedente e’, in generale, attendibile” (cfr. Cass. 8819/2020).

7.3. La prima censura, pertanto, è fondata ed, in ragione della valenza pregiudiziale assegnata dalla giurisprudenza di questa Corte alla valutazione di credibilità rispetto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ed allo status di rifugiato (cfr. Cass. 10286/2020; Cass. 19224/2020), il secondo ed il quarto motivo, contenenti censure su entrambe le fattispecie, devono ritenersi logicamente assorbiti.

8. Il terzo ed il quinto motivo, invece, sono inammissibili, non essendo più consentito criticare la motivazione della sentenza d’appello per insufficienza e contraddittorietà, a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 134 del 2012, che ha modificato la formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. SU 8053/2014).

9. Infine, il sesto motivo, riguardante la violazione del D.LGS. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, sulla protezione umanitaria e l’omessa motivazione sulla specifica fattispecie, è fondato.

9.1. Deve premettersi che questa Corte, attraverso una lunga costruzione ermeneutica, è giunta ad affermare che “in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (cfr. Cass. 4455/2018).

9.2. Il principio è stato successivamente confermato da numerosissimi arresti (cfr. ex multis Cass. SU 29459/2019) ed impone al giudice di merito un ruolo attivo nel giudizio di comparazione che si deve estrinsecare attraverso l’esame degli elementi da raffrontare (integrazione nel paese ospitante e vulnerabilità derivante dalla complessiva storia vissuta) allegati dal ricorrente, alla luce di un approfondito accertamento sulle condizioni di rispetto e di tutela dei diritti fondamentali nel paese di origine, mediante l’acquisizione di fonti informative attendibili ed aggiornate alla data della decisione che rappresenta l’estrinsecazione del dovere di cooperazione istruttoria del giudice.

9.3. In buona sostanza, la condizione di “vulnerabilità” della persona – la cui tutela rappresenta la principale finalità della protezione umanitaria – deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della vita privata del richiedente in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale il richiedente asilo si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, oltre che a quella vissuta nel paese di transito, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione” (cfr. Cass. 13079/2019; Cass. 8571/2020; Cass. 20642/2020; Cass. 198/2021).

9.4. La Corte territoriale – che ha dubitato anche, senza alcun collegamento con altri elementi della motivazione, che il ricorrente provenisse dal Punjab (cfr. pag. 8 ultimo cpv. della sentenza impugnata) – non ha osservato i principi di diritto sopra richiamati che escludono anche che la credibilità del racconto abbia rilevanza centrale nell’esame dei presupposti della fattispecie umanitaria che è una misura individualizzata, ma atipica e residuale rispetto alle altre forme di protezione previste dalla legge: i giudici d’appello, infatti, si sono limitati a rigettare apoditticamente la fattispecie invocata attraverso il mero richiamo del principio di diritto portato da Cass. 4455/2018, senza alcun collegamento con le allegazioni del ricorrente e con le emergenze istruttorie. Ne’ sono state acquisite informazioni sulle condizioni di tutela dei diritti fondamentali nel paese di origine alla luce di fonti attendibili ed aggiornate, secondo quanto predicato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

9.5. La sentenza, pertanto, deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, per il riesame della controversia, in relazione ai motivi accolti alla luce dei principi di diritto sopra evidenziati e di quelli che seguono:

a. “in materia di protezione internazionale, il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di violazione di legge”;

b. “il riferimento alle fonti ufficiali aggiornate, attendibili e specifiche rispetto alla situazione individuale dedotta configura un dovere del giudice per ogni domanda di protezione internazionale che giammai potrà determinare una inversione, a carico del richiedente, dell’onere postulato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3”.

10. La Corte di rinvio dovrà altresì decidere anche sulle spese giudizio legittimità.

P.Q.M.

La Corte;

accoglie il primo ed il sesto motivo di ricorso; dichiara assorbiti il secondo ed il quarto ed inammissibili il terzo ed il quinto.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione per il riesame della controversia e per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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