Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21521 del 20/08/2019

Cassazione civile sez. II, 20/08/2019, (ud. 12/04/2019, dep. 20/08/2019), n.21521

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10149-2015 proposto da:

L.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, C.SO

VITTORIO EMANUELE II 269, presso lo studio dell’avvocato ROMANO

VACCARELLA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

LABORATORIO CENTRO DIAGNOSTICO S CHIARA SAS IN LIQUIDAZIONE,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI MONTEVERDE 4, presso lo

studio dell’avvocato ANNITA CAMMARELLA, rappresentato e difeso dagli

avvocati GUIDO CAMMARELLA, DANIELA MAZZUCA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 115/2015 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI

TARANTO, depositata il 18/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/04/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Taranto revocava il decreto ingiuntivo con il quale al Laboratorio Centro Diagnostico S. Chiara Sas era stato ingiunto il pagamento di Euro 3.875,72 in favore dell’avvocato L.M.C., a titolo di compenso professionale per l’attività da questa svolta dinanzi al Tar di Catanzaro per un giudizio relativo all’imposizione di tetti di spesa per l’anno 2004.

Il Tribunale riteneva che l’attività difensiva svolta dall’avvocato L. fosse unica in relazione ad una pluralità di soggetti, avendo questa redatto un unico ricorso con il quale erano stati impugnati davanti al giudice amministrativo alcuni provvedimenti della Regione Calabria, compresa la redazione di un appello cautelare davanti al Consiglio di Stato. L’opposta non aveva fornito elementi probatori idonei al riscontro dell’importanza e complessità delle questioni trattate e, in caso di assistenza di più parti aventi la stessa posizione processuale, doveva applicarsi un unico onorario aumentato, ai sensi del D.M. n. 585 del 1994, art. 5, comma 4. Dunque, nella specie, era stata operata una non corretta divisione del compenso. Inoltre, la ricorrente aveva violato il principio di buona fede oggettiva, contravvenendo ai limiti stabiliti nella convenzione sottoscritta con la A.S.A. e la parcellizzazione del compenso aveva portato al prolungamento del vincolo obbligatorio e all’aggravio di spese, sicchè l’avv. L. veniva condannata ex art. 96 c.p.c. a pagare all’opponente la somma di Euro 2000 a titolo risarcitorio.

2. Avverso la suddetta sentenza l’Avvocato L.M.C. interponeva appello. La Corte d’Appello di Lecce rigettava il gravame, rilevando che, al di là del fatto che l’obbligazione a carico di plurimi clienti assistiti nel procedimento giurisdizionale amministrativo abbia natura solidale, con la conseguenza del teorico frazionamento della pretesa nei confronti degli obbligati in solido, di fatto il compenso era unico e la sua divisione attraverso distinte azioni giudiziarie violava il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali. Pertanto, appariva corretto il rilievo di improponibilità della domanda, come sostanzialmente ritenuto nella sentenza e risultavano assorbite tutte le osservazioni in tema di frazionabilità dell’obbligazione solidale tra condebitori in solido.

Peraltro, la domanda formulata non era suffragata da riscontri; non era allegata alcuna documentazione pertinente l’attività espletata e non erano indicate le specifiche voci in riferimento alle quali era stato richiesto l’onorario. Dunque, non era possibile una valutazione critica della domanda anche in relazione al parere di congruità emesso dal consiglio dell’ordine professionale. Doveva essere confermata anche la condanna risarcitoria ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1, in relazione al danno non patrimoniale connesso all’esperimento di un ingiusto processo. Infatti, la qualifica di avvocato della L. integrava certamente la prova della sua consapevolezza dell’ingiustizia del processo attivato a seguito della parcellizzazione dell’unico onorario mentre il fatto che la pronuncia del giudice di legittimità fosse intervenuta successivamente non escludeva tale responsabilità, trattandosi di principi già codificati nel sistema costituzionale.

3. L.M.C. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.

4. Il Laboratorio Centro Diagnostico S. Chiara Sas ha proposto controricorso.

5. La ricorrente in prossimità dell’udienza ha presentato memoria con la quale ha insistito nella propria richiesta di accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1314, 1292, 1311, 1175 e 1375 c.c. e artt. 88 e 103 c.p.c..

La ricorrente premette che l’obbligazione attivata con il decreto ingiuntivo opposto non è un’obbligazione solidale ma comune e naturalisticamente divisibile ex art. 1314 c.c. nella quale prevale la struttura parziaria dell’obbligazione, infatti, l’art. 5 della tariffa professionale non rende solidale l’obbligazione dei vari clienti ma costituisce solo una modalità di determinazione del compenso dovuto da dividersi pro quota. Peraltro, anche se l’obbligazione fosse stata solidale, la legge espressamente consentiva al creditore di agire pro quota contro ciascuno dei debitori e ciò era sufficiente per escludere che potessero trovare applicazione i principi stabiliti dalla Cassazione a sezioni unite con la sentenza n. 23726 del 2007.

La ricorrente ribadisce che il connotato essenziale delle obbligazioni solidali è la facoltà insindacabile del creditore di esigere l’intero da ciascun obbligato o di agire pro quota e separatamente contro ciascun obbligato.

Peraltro, la corretta qualificazione del rapporto tra il difensore e più clienti congiuntamente assistiti è quella di obbligazione divisibile ai sensi dell’art. 1314 c.c. e, in ogni caso, l’art. 5, comma 4, della tariffa lungi dall’attribuire il carattere di solidarietà all’obbligazione si limita a stabilire un criterio aritmetico per determinare il compenso dovuto in relazione al numero delle parti assistite. Tale criterio costituisce indice inequivoco della divisibilità dell’obbligazione, determinata attraverso incrementi in ragione del numero delle parti. Dunque, ciascuna parte è obbligata pro quota e il creditore ha la facoltà di convenire gli obbligati in un unico ovvero in distinti giudizi, mentre il principio dell’abusiva parcellizzazione del credito riguarda l’unico debitore nei confronti del quale è stato azionato un unico credito, determinando così un ingiustificato aggravio di spese con un abuso del processo. Nel caso di specie peraltro addirittura il Presidente del Tribunale aveva ritenuto che non vi fossero le condizioni per la riunione del giudizio con altri analoghi.

1.2 Il motivo è fondato.

La Corte d’Appello non ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte in tema di frazionamento del credito.

Il frazionamento della domanda giudiziale, nel quale questa Corte ha ravvisato un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento pone a disposizione della parte, è configurabile allorchè, in contrasto il principio di correttezza e buona fede che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase contenziosa, il creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, avanzi una pluralità di richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, la cui proposizione comporti una scissione del rapporto obbligatorio, operata dal creditore per sua esclusiva utilità e con inutile aggravamento della posizione del debitore, costretto a sopportare maggiori costi e difficoltà per la sua difesa in giudizio (cfr. Cass., Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726; Cass., Sez. VI, 9 marzo 2015. n. 4702; Cass., Sez. 111, 20 novembre 2009).

Il divieto di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, dunque, presuppone un unico rapporto obbligatorio con identità delle parti evocate in giudizio. In tal caso, infatti, si determina un aggravio della posizione del debitore mediante la scissione del contenuto dell’obbligazione da parte del creditore in violazione dei principi di correttezza e buona fede che devono improntare i rapporti tra le parti.

Nella specie, invece, la ricorrente aveva agito nei confronti di soggetti diversi nei confronti dei quali aveva espletato il mandato professionale e aveva richiesto il pagamento ad ognuno dei diversi clienti nei limiti di quanto riteneva che ognuno di essi le dovesse per la propria prestazione.

La Corte d’Appello avrebbe dovuto dare il giusto peso a tale peculiarità della vicenda piuttosto che accertare semplicisticamente che l’aver agito nei confronti di ognuno dei debitori con un distinto decreto ingiuntivo costituisse un indebito frazionamento del credito da sanzionare mediante l’improcedibilità della domanda e ciò a prescindere dalla natura solidale o meno dell’obbligazione in oggetto. A ciò si aggiunga anche l’ulteriore errore di diritto: le sezioni unite n. 4090 del 2017 hanno affermato che: “Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benchè relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183 c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101 c.p.c., comma 2” (Sez. U, Sentenza n. 4090 del 2017).

Ne consegue che, in ogni caso, il giudice del gravame avrebbe dovuto applicare l’art. 101 c.p.c. per sollecitare il contraddittorio sull’interesse dell’avvocato ad agire nei confronti dei clienti con separati ricorsi, posto che non risultava dedotta dalla parte convenuta la necessità di siffatto interesse e la sua mancanza.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 14 omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5.

La ricorrente aveva contestato che il patto di applicazione dei minimi tariffari, stipulato esclusivamente con l’associazione, valesse per tutti laboratori di analisi e, sul punto, la sentenza ha omesso ogni esame, così come rispetto all’apodittica affermazione secondo la quale la domanda non era suffragata da riscontri in quanto il parere dell’ordine aveva ad oggetto la valutazione della documentata attività con la conseguenza che tale parere non poteva essere ignorato.

In ogni caso secondo la ricorrente sarebbe pacifico in causa che l’attività professionale svolta dall’avvocato L. davanti al Tar di Catanzaro avesse ad oggetto una questione complessa relativa ai tetti di spesa e in relazione alla quale la ricorrente aveva ottenuto in accoglimento di quattro ricorsi, quattro sentenze favorevoli prodotte nel giudizio e che avevano spinto il consiglio dell’ordine a qualificare come di valore indeterminabile e di particolare importanza l’attività svolta, applicando il criterio di cui all’art. 5, comma 4 della tariffa.

2.1 Il secondo motivo è fondato.

Infatti risultava accertato e non controverso che l’avv. L. avesse proposto un ricorso giurisdizionale davanti al Tar Calabria nei confronti della Regione Calabria sulla base di un mandato conferitole tra gli altri dalla società contro ricorrente, e quindi la Corte d’Appello avrebbe dovuto considerare, comunque, lo svolgimento di un’attività difensiva. La sentenza, pertanto, va cassata anche in relazione a tale motivo.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 96 c.p.c., comma 1.

La ricorrente ritiene che la statuizione sulla condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 Cost. sia manifestamente erronea non potendosi affermare che la qualifica di avvocato dell’attore integri automaticamente una circostanza dalla quale inferire la consapevolezza dell’ingiustizia del processo attivato a seguito di parcellizzazione dell’unico onorario.

3.1 Il terzo motivo è assorbito dall’accoglimento dei primi due motivi di ricorso.

4. Il giudice di merito che si individua in altra sezione della Corte d’Appello di Lecce regolerà anche le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce che deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 12 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2019

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