Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21521 del 15/09/2017


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Cassazione civile, sez. un., 15/09/2017, (ud. 07/02/2017, dep.15/09/2017),  n. 21521

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente di Sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. BIELLI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 27091/2015 R.G. proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE DI BRINDISI, in persona del Direttore

generale e legale rappresentante dottor P.G.,

elettivamente domiciliata in Roma, via Principessa Clotilde n. 2,

presso lo studio del professore avvocato Angelo Clarizia, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

s.r.l. MARKAS, con sede a (OMISSIS), in persona dell’amministratore

delegato e legale rappresentante dottor K.C.,

elettivamente domiciliata in Roma, corso Vittorio Emanuele II n.

284, presso lo studio del professore avvocato Carlo Malinconico che,

unitamente all’avvocato Pietro Adami, la rappresentano e difendono

giusta procura speciale a margine del controricorso.

– controricorrente –

e nei confronti di:

s.r.l. SANITASERVICE ASL BR, in persona del legale rappresentante;

– intimata –

nonchè di:

s.r.l. CHEMI PUL ITALIANA, in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa davanti al Consiglio di Stato dall’avvocato

Luigi Nilo, con domicilio eletto in Roma presso l’avvocato Pietro

Adami;

– intimata –

e di:

ASSOCIAZIONE NAZIONALE IMPRESE DI PULIZIA E SERVIZI INTEGRATI (ANIP),

in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa davanti

al Consiglio di Stato dagli avvocati Maria Stefania Masini, Damiano,

Lipani, Sergio Grillo, con domicilio eletto in Roma, via Antonio

Gramsci n. 24 presso l’avvocato Maria Stefania Masini;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2291/15 del Consiglio di Stato, sezione 3,

depositata il 7 maggio 2015, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7

febbraio 2017 dal consigliere dottor Stefano Bielli;

udito il P.M., nella persona del Procuratore generale dottor

Iacoviello Francesco Mauro, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

udito, per la ricorrente AZIENDA SANITARIA LOCALE, l’avvocato Angelo

Clarizia, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e la

cancellazione di frasi ritenute offensive dagli scritti difensivi

avversari;

udito, per la controricorrente s.r.l. MARKAS, l’avvocato Carlo

Malinconico, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità od

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Con sentenza n. 2291/15, depositata il 7 maggio 2015 e non notificata, la terza sezione del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (hinc: “CdS”), in accoglimento dell’appello proposto dalla s.r.l. MARKAS contro la resistente Azienda sanitaria locale di Brindisi (hinc: “ASL”) e nei confronti della s.r.l. SANITASERVICE ASL BR (hinc: “Sanitas”), con l’intervento ad adiuvandum (in favore dell’appellante) della s.r.l. Chemi Pul Italiana e della Associazione Nazionale Imprese di Pulizia e Servizi Integrati (ANIP), avverso la sentenza del TAR Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione 2^, n. 02986/2014, depositata il 1 dicembre 2014 (hinc: “TAR”), annullava la delibera n. 1487 del 13 agosto 2014 con cui l’ASL aveva disposto l’affidamento in house per sei anni a decorrere dal 1 ottobre 2014 (salvo rinnovo) alla Sanitas del servizio di pulizia e sanificazione di tutte le strutture della ASL in precedenza esternalizzato ed affidato alla s.r.l. MARKAS. Il giudice di appello compensava tra le parti le spese di lite ed ordinava all’Autorità amministrativa l’esecuzione della sentenza.

Il CdS osservava che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, l’impugnato provvedimento di affidamento diretto del servizio di pulizia e sanificazione: a) non era consentito dal D.L. n. 95 del 2012, art. 4 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 135 del 2012, sia perchè – nell’ambito di tale articolo – il comma 7 (ritenuta l'”unica disposizione rimasta vigente tra quelle di tale articolo volte a limitare la possibilità di ricorso all’utilizzazione delle società controllate ed aventi portata generale e non settoriale”) impone alle pubbliche amministrazioni, a decorrere dal 1 gennaio 2014, l’adozione di procedure concorrenziali, nella specie non adottate, per l’acquisizione di beni e servizi strumentali, sia perchè il successivo comma 8, con la sua previsione di deroghe a tali procedure attraverso affidamenti diretti in house (peraltro legittimi solo ove fossero stati rispettati i requisiti richiesti dalla normativa e giurisprudenza comunitarie), era stato dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 229 del 2012; b) il suddetto provvedimento amministrativo, comunque, non era riconducibile alle eccezionali ipotesi in cui lo stesso art. 4 consentiva l’affidamento diretto, anche perchè aveva ad oggetto non un servizio di interesse economico generale (SIEG), ma un servizio strumentale che poteva essere proficuamente acquisito sul mercato; c) era pertanto in contrasto con la legislazione proconcorrenziale in materia; d) non poteva giustificarsi neppure in base alla normativa dell’UE, perchè questa (in particolare, l’art. 12 della Direttiva n. 24/2014/UE, anche a volerlo considerare autoapplicativo) consente agli Stati membri di prevedere tale forma di affidamento, ma non obbliga i legislatori nazionali a disciplinarla nè impedisce loro di limitarla o escluderla in determinati ambiti.

2.- Avverso la sentenza di appello l’ASL ha proposto ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8 prospettando un unico motivo e chiedendo, unitamente alla cassazione della sentenza, la statuizione che l’affidamento in house oggetto del giudizio era legittimo, in quanto rispettoso delle condizioni richieste dall’ordinamento comunitario e/o dal D.L. n. 95 del 2012, art. 4, comma 8. Il ricorso risulta notificato con plico postale spedito il 10 novembre 2015 alla s.r.l. MARKAS, alla s.r.l. Chemi Pul Italiana e all’ANIP.

3.- Resiste la s.r.l. MARKAS con controricorso notificato il 18-28 dicembre 2015 all’ASL, il 18-24 dicembre 2015 alla s.r.l. Chemi Pul Italiana ed il 18-22 dicembre 2015 all’ANIP.

4.- La ricorrente e la controricorrente illustrano la loro posizione depositando memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con un unico, complesso motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8 la ricorrente ASL deduce che il CdS, con la sentenza impugnata, ha superato i limiti esterni della sua giurisdizione per aver disapplicato del D.L. n. 95 del 2012, art. 4, i commi 7 e 8 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 135 del 2012, eccedendo inammissibilmente una mera attività interpretativa, sotto i due seguenti profili.

1.1.- Il denunciato eccesso, sotto un primo profilo, si sarebbe realizzato in quanto, contrariamente alle affermazioni della sentenza di appello: a) la norma nazionale recante il divieto di affidamento di servizi in house, evocata dal CdS, è inesistente; b) in particolare, del D.L. n. 95 del 2012, art. 4, il comma 7 riguarda solo i casi in cui l’ente intenda rivolgersi al mercato per acquisire beni e servizi, senza vietare o limitare l’affidamento diretto in house; c) è erroneo affermare che del medesimo art. 4, il comma 8 (comma che riconosce senza limitazioni la possibilità di un affidamento in house) è stato oggetto di “abrogazione” od oggetto di “totale” declaratoria di illegittimità costituzionale (la pronuncia della Corte costituzionale esclude l’operatività della norma solo nella misura in cui limita l’autonomia organizzativa delle Regioni ordinarie); d) il diritto comunitario (nei “considerando” n. 5 e art. 12 della Direttiva settori ordinari n. 2014/24/UE; “considerando” n. 7 e art. 28 della Direttiva settori speciali n. 2015/25/UE; “considerando” n. 7, art. 2, paragrafo 1, e art. 17 della Direttiva concessioni n. 2014/23/UE) e la giurisprudenza comunitaria (CGCE 9 giugno 2009 in causa C480/06; CGCE 8 aprile 2008 in causa C-337/08; CGCE 13 ottobre 2005 in causa C-458/03; CGCE 11 maggio 2006 in causa C-340/04; CGCE 19 novembre 1999, Teckal, in causa C-107/98) non impongono alle autorità pubbliche di ricorrere ad una particolare forma giuridica per acquisire beni o servizi o per assicurare in comune le loro funzioni di servizio pubblico.

1.2.- Sotto il secondo profilo, l’eccesso di potere giurisdizionale deriverebbe dall’affermazione del CdS secondo cui l’affidamento diretto potrebbe essere concesso solo alle società in house aventi le caratteristiche del D.L. n. 95 del 2012, art. 4, commi 1 e 3; caratteristiche ritenute insussistenti per la Sanitas, non esercente un SIEG. Il vizio dedotto conseguirebbe: a) dall’inesistenza di un divieto normativo di costituire società in house diverse da quelle previste nell’indicato art. 4, commi 1 e 3 (si sottolinea che detti commi erano stati già abrogati al momento dell’affidamento diretto alla Sanitas); b) dal comma 8 del medesimo art. 4, che riconosce l’affidamento in house con il solo limite del rispetto dei principi comunitari.

2.- Il ricorso è inammissibile sotto entrambi i profili (come correttamente eccepito dalla controricorrente), perchè non prospetta, in realtà, alcuna violazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo.

2.1.- Con il ricorso, la parte ricorrente deduce, come visto, che il CdS ha superato i limiti esterni della propria giurisdizione, perchè si è posto in contrasto sia con il diritto unionale, quale interpretato dalla giurisprudenza della CGUE, sia con la disciplina posta dal D.L. n. 95 del 2012, art. 4 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 135 del 2012.

2.2.- Tuttavia va in contrario rilevato che, con la sentenza impugnata, il CdS ha proceduto solo ad individuare e ricostruire il complesso di norme concernenti l’affidamento in house di servizi strumentali all’attività di una amministrazione pubblica nell’ambito della Regione Puglia. A tal fine ha rilevato le norme succedutesi nel tempo in materia e l’incidenza su di esse delle pronunce della Corte costituzionale (n. 199 del 2012; n. 229 del 2013) nonchè della normativa e della giurisprudenza dell’UE. In tal modo ha esercitato un’attività interpretativa sul materiale normativo raccolto. Identificata la regula iuris ritenuta applicabile alla fattispecie sottoposta al suo esame (affidamento in house alla Sanitas del servizio di pulizia e sanificazione di tutte le strutture della ASL; servizio strumentale ritenuto non integrante un SIEG) ha poi deciso la causa. Il CdS, pertanto, non ha proceduto ad arbitrarie “disapplicazioni” di norme nè ha creato norme prima inesistenti fuoriuscendo dal quadro normativo della materia: dunque non ha esorbitato dal suo potere/dovere di individuare ed interpretare le disposizioni ritenute pertinenti al caso.

2.2.- In proposito va qui ribadita la costante giurisprudenza di queste Sezioni Unite (ex plurimis, decisioni n. 18079 del 2015, n. 2403 del 2014, n. 27847 e n. 7929 del 2013, n. 8882 del 2005) secondo cui il ricorso per cassazione dinanzi alle medesime Sezioni Unite avverso le pronunce del CdS è consentito solo per motivi inerenti alla giurisdizione (art. 111 Cost., comma 5; ma vedi anche l’art. 362 cod. proc. civ. e l’art. 110 cod. proc. amm., approvato con il D.Lgs. n. 104 del 2010) e, quindi: a) nell’ipotesi in cui la sentenza abbia violato l’ambito della giurisdizione in generale (esercitando la giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa oppure negando la giurisdizione sull’erroneo presupposto che la domanda non potesse costituire in modo assoluto oggetto di esame giurisdizionale); b) nell’ipotesi di violazione dei cosiddetti limiti esterni della propria giurisdizione (giudicando in materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, oppure negando la propria giurisdizione sull’erroneo presupposto che questa spetti ad altro giudice, oppure esercitando un sindacato di merito in materia attribuita esclusivamente alla propria giurisdizione di legittimità degli atti amministrativi).

Nella specie, la ricorrente si è limitata a prospettare un percorso interpretativo diverso da quello seguito dal CdS, giungendo alla formulazione di una diversa regula iuris ritenuta applicabile alla fattispecie (lamentando così, sostanzialmente, un error in iudicando). Ne consegue l’inammissibilità del ricorso che, come quello in esame, denunci in realtà solo un cattivo esercizio da parte del CdS della propria giurisdizione, cioè un vizio che attiene all’esplicazione interna del potere giurisdizionale conferito dalla legge a detto giudice. Ciò, ovviamente, prescinde da ogni esame della correttezza delle opposte interpretazioni fornite dalle parti della normativa in tema di affidamenti in house.

3.- L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna della ricorrente alle spese di lite in favore della controricorrente, con liquidazione come da dispositivo.

4.- La controricorrente ha chiesto la condanna dell’ASL al “risarcimento dei danni” ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1, in considerazione della pretestuosità dell’impugnazione, proposta a fini dilatori, al fine di sostenere la non definitività del giudizio e continuare con gli illegittimi affidamenti in tutta la Regione Puglia (pagg. 42 e 43 del controricorso).

4.1.- La domanda va rigettata.

Non solo, infatti, non v’è prova della malafede o della colpa grave della ricorrente (che ha erroneamente ritenuto – senza evidente consapevolezza della infondatezza della prospettazione o ignoranza gravemente colpevole di tale infondatezza – che l’interpretazione fornita dal CdS della normativa sugli affidamenti in house esorbitasse dai limiti posti alla giurisdizione del giudice amministrativo), ma la controricorrente non ha neppure fornito alcun elemento probatorio sulla concreta ed effettiva esistenza di un danno (diverso ed ulteriore rispetto alle spese processuali affrontate), essendosi limitata a deduzioni generiche e tenuto conto che il proposto ricorso per cassazione non ha avuto effetti sospensivi della decisione di merito.

5.- Simmetricamente, deve essere rigettata la richiesta avanzata dalla ricorrente (pag. 3 della memoria) ai sensi dell’art. 89 cod. proc. civ. di cancellare le espressioni, contenute nel controricorso e ritenute “sconvenienti”, relative alla “pretestuosità” dell’impugnazione ed ai suoi fini “dilatori” per continuare con gli illegittimi affidamenti. Tali espressioni infatti, da un lato, costituiscono le ragioni della richiesta risarcitoria proposta ai sensi ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1, e rientrano, perciò nella libertas convicii necessaria alla difesa in giudizio; dall’altro, non travalicano, neppure nella forma, i limiti della difesa giudiziale.

6.- Ricorrono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

 

La Corte, pronunciando a sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso; rigetta la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla controricorrente ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ.; rigetta la domanda di cancellazione proposta dalla ricorrente ai sensi dell’art. 89 cod. proc. civ.; condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 5.000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per spese ed oltre accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle sezioni unite civili, il 7 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2017

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