Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21518 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. III, 06/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 06/10/2020), n.21518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28916-2019 proposto da:

E.M., domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato BEATRICE RIGOTTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1357/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 29/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. PELLECCHIA ANTONELLA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. E.M., cittadino della Nigeria, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, domandando:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento della sua istanza il richiedente dedusse di esser stato costretto a fuggire dal proprio villaggio, Oheze Naka nell’Edo State, a causa delle minacce ricevute dallo zio il quale rivendicava i terreni ereditati dal ricorrente in seguito alla morte del padre. Successivamente alle minacce di morte ricevute da sicari incaricati dallo zio di ucciderlo, e dopo aver invano chiesto aiuto agli anziani del villaggio, decise di fuggire nel 2015. Giunse dapprima in Libia, dove però le condizioni di violenza lo portarono a lasciare il paese per giungere in Italia nello stesso anno.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento E.M. propose ricorso D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35, dinanzi il Tribunale di Venezia, che con ordinanza del 19 maggio 2017 rigettò il reclamo.

Il Tribunale ha ritenuto:

a) infondata la domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato, ritenendo il racconto del richiedente scarsamente attendibile;

b) infondata la domanda di protezione sussidiaria, provenendo il richiedente da una zona della Nigeria, Edo State, esente da violenza indiscriminata;

d) infondata la domanda di protezione umanitaria, non presentando il richiedente profili di vulnerabilità;

3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza n. 1357/2019 pubblicata 29 marzo 2019.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da E.M., con ricorso fondato su un tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non presenta difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

5.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “la violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nullità della sentenza per motivazione assente/nulla in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per aver la Corte d’appello emesso motivazione solo apparente (tramite il meccanismo della relatio) circa la credibilità del ricorrente”.

Il motivo è infondato. Un provvedimento giurisdizionale può dirsi nullo per mancanza di motivazione, secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, solo in quattro casi: quando vi sia “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”; quando la “motivazione sia apparente”; quando vi sia un “contrasto irriducibile tra affermazioni od infine quando la “motivazione sia perplessa ed obiettivamente incomprensibile”. Resta, invece, insindacabile in sede di legittimità il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (così Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Nel caso di specie, tuttavia, non ricorre nessuna delle suddette ipotesi di nullità. Infatti, la motivazione nel provvedimento impugnato non manca, nè è incomprensibile o contraddittoria. La Corte d’appello ha motivato la propria decisione concordando con il giudice di prima cure nel ritenere “la scarsa verosimiglianza delle allegazioni, contraddittorie e intrinsecamente illogiche”. Nè costituisce un vizio censurabile in sede di legittimità l’omesso esame, da parte del giudice di merito, di una o più argomentazioni difensive. Il giudice di merito, infatti, non ha l’obbligo di prendere in esame e confutare tutte le argomentazioni difensive svolte dalle parti, ma è sufficiente che esprima “in forma sobria e sintetica i risultati del suo apprezzamento sul complesso degli elementi di prova acquisiti al processo” (così già Sez. 3, Sentenza n. 734 del 17/04/1962, Rv. 251161 – 01; in seguito, ex nzultis, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 12123 del 17/05/2013; Sez. 1, Sentenza n. 8767 del 15/04/2011, Rv. 617976 – 01; Sez. L, Sentenza n. 5748 del 25/05/1995; Sez. 2, Sentenza n. 683 del 06/02/1982).

5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. e all’art. 132 c.p.c.. In primo luogo, la Corte d’appello avrebbe adottato una motivazione apparente ed avrebbe omesso di considerare dei documenti rilevanti (certificato INPS e certificazione medica) attestante la vulnerabilità psichica del ricorrente. In secondo luogo, la Corte avrebbe errato nel non ammettere l’istanza di esperire la CTU psicologica al fine di stabilire il disturbo post traumatico del ricorrente alla luce delle Linee Guida del Ministero della Salute del 03.04.2007, violando il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 27, comma 1 bis. Da ultimo, la Corte avrebbe omesso qualsiasi motivazione rispetto le condizioni di rimpatrio del ricorrente, persona vulnerabile, in un contesto come quello in Nigeria.

Il motivo è fondato.

Circa il primo aspetto ovvero la mancata considerazione della documentazione medica presentata dal ricorrente, i giudici di merito hanno preso in considerazione il certificato dell’INPS con il quale si accertava un ritardo mentale di grado lieve-moderato con accertamento della incapacità lavorativa pari al 35 %, ma hanno ritenuto tale documentazione non rilevante ai fini di una condizione di vulnerabilità, motivandolo come segue: “non risulta che il richiedente abbia in essere un percorso terapeutico, ne che siano previsti ulteriori accertamenti e dunque, specie a fronte della documentazione prodotta, non appare necessario dar corso alla CHI richiesta, dovendosi escludere che le condizioni di salute in cui versa l’appellante possano essere ricondotte al concetto di vulnerabilità”.

Nel caso di specie la Corte d’appello ha errato perchè ha si preso in considerazione la documentazione presentata, non ritenendola però idonea e sufficiente per il riconoscimento di una condizione di vulnerabilità tale da giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria, dandone una incompleta motivazione. Ed in quest’ultimo senso il giudice del merito è incorso nella violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, che prevede che “Ove necessario ai fini dell’esame della domanda, la Commissione territoriale può consultare esperti su aspetti particolari come quelli di ordine sanitario, culturale, religioso, di genere o inerenti ai minori. La Commissione, sulla base degli elementi forniti dal richiedente, può altresì disporre, previo consenso del richiedente, visite mediche dirette ad accertare gli esiti di persecuzioni o danni gravi subiti effettuate secondo le linee guida di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 27, comma 1-bis e successive modificazioni”.

Nel caso di specie la motivazione della Corte deve ritenersi viziata per aver omesso l’analisi complessiva della condizione plico-fisica de) ricorrente, certificata dall’Inps, comparandola con la situazione nel paese di origine in relazione ai parametri indicati dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 comma 3 bis.

Infatti il giudice del merito non ha analizzato adeguatamente la condizione di vulnerabilità del ricorrente e la condizione di vita in Italia dello stesso, omettendo di effettuare una adeguata comparazione necessaria per il riconoscimento della protezione umanitaria (Cfr. Cass. 1104/2020).

5.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta “la violazione ex art. 360, comma 1, n. 5, in violazione dei criteri legali di valutazione degli elementi di prova con riferimento ai riscontri esterni di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per aver omesso la Corte di esaminare fatti decisivi prospettati dalla parte ricorrente circa la condizione di violenza e insicurezza in Nigeria, nonchè i rapporti sulla Libia”. La Corte avrebbe esaminato la situazione del paese di provenienza sulla base di fonti non attuali, risalenti al 2016, per escludere una violenza generalizzata.

Il motivo è fondato.

Nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente.

Nei giudizi aventi ad oggetto domande di protezione internazionale e di accertamento del diritto al permesso per motivi umanitari, la verifica delle condizioni sociopolitiche del paese di origine non può fondarsi su informazioni risalenti ma deve essere svolta, anche mediante integrazione istruttoria ufficiosa, all’attualità (cass. 28990/2018).

Nel caso di specie il giudice del merito ha utilizzato Coi risalenti al 2016, non ha effettuato la comparazione con le informazioni documentate dal ricorrente e, infine, non ha neanche preso in considerazione il periodo di prigionia in Libia del ricorrente e le violenze da esso subite nel paese di transito. In tal senso Cass. n. 1104/2020 secondo cui “Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, ove sia ritenuta credibile la situazione di particolare o eccezionale – vulnerabilità esposta dalla richiedente, il confronto tra il grado di integrazione effettiva raggiunto nel nostro paese e la situazione oggettiva del paese di origine deve essere effettuato secondo il principio di “comparazione attenuata”, nel senso che quanto più intensa è la vulnerabilità accertata in giudizio, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis, non potendo, in particolare, escludersi il rilievo preminente della gravità della condizione accertata solo perchè determinatasi durante la permanenza nel paese di transito. (Nella specie la Corte, accogliendo il ricorso, ha ritenuto che la violenza sessuale e l’induzione alla prostituzione subite in Libia dalla ricorrente fossero indice di una situazione di così grave vulnerabilità da rendere intollerabile l’abbandono forzato del paese di accoglienza.

6. La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e terzo, cassa la sentenza impugnata come in motivazione, e rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e terzo, cassa la sentenza impugnata come in motivazione, e rinvia anche per le spese di questo giudizio alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

 

 

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