Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21516 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. III, 06/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 06/10/2020), n.21516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28185-2019 proposto da:

O.A., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ELISABETTA

COSTA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3211/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 30/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. O.A., cittadino della (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, domandando:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento della sua istanza il richiedente dedusse quanto segue. Raccontò di aver avuto un incidente stradale, nel quale rimase vittima una donna, ragione per cui dovette far fronte al risarcimento richiesto dalla famiglia della vittima. Il datore di lavoro trattenne una parte dello stipendio per darla alla famiglia della donna, proponendo però al ricorrente di estinguere totalmente il debito se avesse deciso di entrare a far parte della setta degli (OMISSIS). Rifiutò tale proposta e da allora iniziò una caccia all’uomo che costrinse il richiedente alla fuga, prima in Libia, poi in Italia.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento O.A. propose ricorso D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, ex art. 35 dinanzi il Tribunale di Venezia, che con ordinanza del 24 giugno 2017 rigettò il reclamo.

Il Tribunale ritenne che:

a) la versione raccontata dal richiedente non fosse credibile;

b) la domanda di protezione umanitaria fosse infondata, non presentando il richiedente profili di vulnerabilità;

3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza n. 3211/2019, pubblicata il 30 luglio 2019.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da O.A., con ricorso fondato su un tre motivi.

Il Ministero dell’Interno presenta controricorso, chiedendo l’inammissibilità del ricorso principale, il quale, pur catalogando i motivi come violazione di legge, in realtà chiederebbe una diversa valutazione della ricostruzione dei fatti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “la carenza di motivazione relativamente alla valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente”. La Corte avrebbe genericamente indicato l’assenza di credibilità, senza confutare le critiche mosse dal ricorrente.

Il motivo è inammissibile anche se occorre correggere la motivazione della sentenza a pag. 5. Infatti non risulta conforme a diritto l’affermazione secondo cui le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di credibilità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedano, in nessun caso, alcun approfondimento istruttorio officioso (in tal senso, invece, non condivisibilmente, Cass. n. 16925/2018; Cass. n. 7333/2015), come di recente affermato, tra le altre, dalle più recenti pronunce di cui a Cass. 2954/2020 e Cass. 8819/2020. Nella fase di giudizio volta ad acquisire le dichiarazioni del richiedente asilo la valutazione di credibilità dovrà limitarsi alle affermazioni circa il paese di provenienza rese dal ricorrente (cosicchè, ove queste risultassero false, si disattiverà ebbe immediatamente l’obbligo di cooperazione). Il dovere di cooperazione da parte del giudice si sostanza nell’acquisizione di Coi pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa a prossima), da richiedersi agli enti a ciò preposti. E’ pertanto fatto obbligo al giudice di merito acquisire ex officio le necessarie informazioni relative ai paesi d’origine del richiedente che risultino complete, affidabili ed aggiornate.

Nel caso di specie la Corte d’appello ha adeguatamente motivato l’assenza di credibilità nonchè l’assenza dei presupposti – fatti o atti persecutori – per riconoscere lo statu di rifugiato, con motivazione non censurabile in questa sede. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c): tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito.

5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta “la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c) e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3”. La Corte non avrebbe considerato adeguatamente la situazione socio politica presente in (OMISSIS).

Il motivo è inammissibile anche se occorre correggere la motivazione a pag. 11 della sentenza della Corte territoriale là dove afferma che la protezione umanitaria incontra un ostacolo insuperabile nella valutazione di non credibilità della narrazione.

Infatti in tema di protezione umanitaria, alla luce dell’insegnamento di cui a Cass. S.U. 29459/2019, i presupposti necessari ad ottenerne il riconoscimento devono essere esaminati del tutto autonomamente rispetto a quelli previsti per le due protezioni maggiori (Cass. 1104/2020; Cass. 8819/2020), non essendo le due valutazioni in alcun modo sovrapponibili, di tal chè i fatti funzionali ad un positivo giudizio sulla condizione di vulnerabilità ben potrebbero essere gli stessi già allegati per le protezioni maggiori (contra, non condivisibilmente Cass. 21123/2019 e Cass. 7622/2020), e senza che, in tale valutazione, incida, condizionandola ovvero impedendola, il giudizio negativo sulla credibilità del richiedente asilo, alla luce del recente insegnamento delle sezioni unite di questa corte (cui il collegio è vincolato ex lege), a mente del quale la valutazione della vulnerabilità del medesimo postula, esclusivamente, un giudizio di comparazione tra la situazione del paese di provenienza, al fine di accertare il livello di tutela ivi garantito ai diritti umani incomprimibili, ed il livello di integrazione raggiunto in Italia.

Nel caso di specie l’inammissibilità del motivo deriva dalla sua genericità. Inoltre come sopra detto il dovere di cooperazione istruttoria nasce sempre, a prescindere dalla inattendibilità del racconto del richiedente. Questo dovere si sostanzia nell’acquisizione di fonti affidabili, aggiornate e attuali al momento della decisione. Ebbene il giudice di merito ha rispettato questi principi, valutando la specifica zona di provenienza del ricorrente tramite COI che rispondono ai requisiti richiamati.

6. Le spese seguono la soccombenza.

6.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), a condizione che esso sia dovuto: condizione che non spetta a questa Corte stabilire. La suddetta norma, infatti, impone all’organo giudicante il compito unicamente di rilevare dal punto di vista oggettivo che l’impugnazione ha avuto un esito infruttuoso per chi l’ha proposta.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre a esborsi e spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

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