Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21515 del 18/10/2011

Cassazione civile sez. II, 18/10/2011, (ud. 05/07/2011, dep. 18/10/2011), n.21515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO INTERNO in persona del Ministro pro tempore, UFF.

TERRITORIALE GOVERNO POTENZA in persona del Prefetto pro tempore,

MINISTERO DIFESA in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

N.S.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 7/2005 del GIUDICE DI PACE di GENZANO DI

LUCANIA (PZ), depositata il 18/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

I ministeri della difesa e dell’interno e l’UTG di Potenza propongono ricorso per cassazione contro N.S.F., che non svolge difese, avverso la sentenza del Giudice di pace di Genzano di Lucania n. 7/05. che ha accolto l’opposizione a verbale n. (OMISSIS) del 16.5.2004 dei cC di Venosa, elevato perchè l’opponente non faceva uso della cintura di sicurezza, opposizione accolta sulla base di certificato medico datato 8.5.2004, dal quale risultava che la patologia descritta esonera dal l’indossare la cintura.

Si denunziano: 1) violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 ultrapetita. Il GP ha accolto l’opposizione per un motivo non dedotto, perchè nell’atto introduttivo si era rilevata l’impossibilità di indossare la cintura a causa di un forte dolore alla schiena, ossia una sorta di stato di necessità, eccezionale e transeunte; 2) violazione dell’art. 172 C.d.S., comma 3 lett. f ed omissione di motivazione perchè sono esentate dall’indossare le cinture le persone che risultino, sulla base di certificazione dell’usi o di competenti autorità delle comunità Europee, affette da patologie particolari e, nella specie, al momento della contestazione neppure si era dichiarato il possesso della documentazione ma si era addotta una giustificazione diversa (“avevo mal di schiena e stavo andando presso il medico di guardia”).

Le censure sono fondate.

Premesso che il ricorso per cassazione proposto dal ministero unitamente al Prefetto comporta la ratifica della condotta di quest’ultimo e sana il difetto di legittimazione dell’ufficio periferico e l’attività difensiva da esso svolta nel merito (Cass. n. 2819/2006), è da osservare che il GP, pur riportando la deduzione a verbale al momento della contestazione ed il successivo atto di opposizione da cui risultava che, nel momento in cui era stato fermato il N. si stava recando presso il medico di guardia per un forte dolore alla schiena che gli impediva qualsiasi movimento, ha accolto l’opposizione per un motivo diverso.

Invero, la sentenza ha fondato il proprio convincimento su un certificato medico di data apparente precedente al verbale, non invocato immediatamente, prodotto in corso di causa, redatto da un medico privato e riportato genericamente, il tutto con motivazione sintetica e non convincente, senza considerare che le dichiarazioni rese e l’atto introduttivo ipotizzavano uno stato di necessità, inesistente alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ripetutamente affermato che, ai fini dell’accertamento della sussistenza o meno delle cause di esclusione della responsabilità in tema di sanzioni amministrative, previste dalla L. n. 689 del 1981, art. 4 in mancanza di ulteriori precisazioni, occorre fare riferimento alle disposizioni che disciplinano i medesimi istituti nel diritto penale e, segnatamente, per quanto concerne lo stato di necessità, all’art. 54 c.p. (Cass. 24 marzo 2004 n. 5877, 5 marzo 2003 n. 3524, 12 luglio 2000 n. 9254, etc.); si è, altresì, ritenuto che sia idonea ad escludere la responsabilità anche la semplice supposizione erronea degli elementi concretizzanti lo stato di necessità, cioè di una situazione concreta che, ove esistesse realmente, integrerebbe il modello legale dello stato di necessità, in quanto la L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 2 esclude la responsabilità quando la violazione è commessa per errore sul fatto, ipotesi questa nella quale rientra anche il semplice convincimento della sussistenza di una causa di giustificazione, il cui onere probatorio, tuttavia, grava su colui che invochi l’errore (Cass. 12 maggio 1999 n. 4710, la quale fa discendere l’ammissibilità, anche in tema di illecito amministrativo, delle esimenti putative dall’art. 59 c.p., a norma del quale “se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui”;

Cass. 25 maggio 1993 n. 5866, Cass. 20 novembre 1985 n. 4710).

Puntualizzando, peraltro, in sede penale, che, ove l’imputato deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di una esimente reale o putativa, è su di lui che incombe l’onere di provarne la sussistenza, non essendo sufficiente una mera asserzione sfornita di qualsiasi sussidio, e l’allegazione da parte dell’imputato dell’erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi, non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, bensì su dati di fatto concreti, i quali siano tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo all’imputato di trovarsi in tale stato (Cass. pen. 1 luglio 2003 n. 28325).

Nella specie è del tutto evidente che non ricorresse alcuna necessità di salvare sè o altri dal pericolo attuale ed immediato di un danno grave alla persona con l’unico mezzo della commissione dell’illecito, non specificando il ricorrente concretamente l’urgenza dell’intervento.

Peraltro l’opposizione introduce un giudizio disciplinato dalle regole proprie del processo civile di cognizione, i cui limiti sono segnati dai motivi di opposizione che costituiscono la “causa petendi”.

L’opponente ha la facoltà di modificare l’originaria domanda nei limiti consentiti dagli artt. 183 e 184 c.p.c. ma non può introdurre una domanda nuova, cioè prospettare ragioni di impugnazione diverse da quelle introdotte con l’atto di opposizione, potendo solo precisare queste ultime all’udienza di prima comparizione ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 4.

Detta norma, nella vigente formulazione, consente all’attore di proporre nella prima udienza di trattazione domande diverse rispetto a quelle originariamente proposte solo ove trovino giustificazione nella domanda riconvenzionale o nelle eccezioni proposte dal convenuto.

Donde la cassazione della sentenza e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la decisione nel merito ed il rigetto dell’opposizione, con condanna alle sole spese del giudizio di legittimità, in mancanza di difesa tecnica dell’amministrazione nella precedente fase.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione e condanna l’opponente alle spese del giudizio del giudizio di legittimità in Euro 500 per onorari, oltre le eventuali prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2011

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