Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21515 del 06/10/2020

Cassazione civile sez. III, 06/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 06/10/2020), n.21515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27554-2019 proposto da:

M.A., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

LORENZO TRUCCO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

PROCURA GENERALE REPUBBLICA CORTE CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 246/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 07/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. M.A. cittadino proveniente dal (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, domandando:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento della sua istanza dedusse di essere fuggito dal (OMISSIS) spinto dal timore per la propria incolumità in quanto minacciato di morte dai familiare di S.A. che lo ritenevano responsabile della morte del proprio congiunto nonostante il ricorrente era stato, in sede di processo, prosciolto per mancanza di prove.

3. La Commissione Territoriale respinse l’istanza. Avverso tale provvedimento propose opposizione ex art. 702 bis c.p.c. dinanzi al Tribunale di Torino, che con ordinanza rigettò il reclamo.

Il Tribunale ha ritenuto:

a) il richiedente asilo non credibile;

b) infondata la domanda di protezione internazionale perchè il richiedente asilo non aveva dedotto a sostegno di essa alcun fatto di persecuzione;

c) infondata la domanda di protezione sussidiaria perchè nella regione di provenienza del richiedente asilo non era in atto un conflitto armato;

d) infondata la domanda di protezione umanitaria poichè l’istante non aveva nè allegato, nè provato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quelle poste a fondamento delle domande di protezione “maggiore” (e ritenute inveritiere), di per sè dimostrativa d’una situazione di vulnerabilità.

3.1. La Corte d’Appello di Torino con sentenza n. 246 del 7 febbraio 2019, ha confermato la statuizione di primo grado.

4. Avverso tale pronuncia I.A. ricorre per cassazione con un motivo. Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o erronea applicazione ex art. 360 c.p.c., nn. 1 e 3 del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e 19 ed in relazione all’art. 10 Cost., comma 3, anche in relazione alla mancata disposizione di CTU sulle condizioni psico fisiche del ricorrente come richiesto nell’atto di impugnazione e alla totale assenza di motivazione sul punto.

Lamenta che la Corte territoriale avrebbe errato laddove per la negazione della protezione umanitaria “non ha effettuato il giudizio comparativo tra la situazione del ricorrente nel paese di provenienza e quella nel territorio nazionale”.

Il motivo è inammissibile.

Innanzitutto va chiarito che in tema di protezione umanitaria, alla luce dell’insegnamento di cui a Cass. S.U. 29459/2019, i presupposti necessari ad ottenerne il riconoscimento devono essere esaminati del tutto autonomamente rispetto a quelli previsti per le due protezioni maggiori (Cass. 1104/2020; Cass. 8819/2020), non essendo le due valutazioni in alcun modo sovrapponibili, di tal chè i fatti funzionali ad un positivo giudizio sulla condizione di vulnerabilità ben potrebbero essere gli stessi già allegati per le protezioni maggiori (confra, non condivisibilmente Cass. 21123/2019 e Cass. 7622/2020), e senza che, in tale valutazione, incida, condizionandola ovvero impedendola, il giudizio negativo sulla credibilità del richiedente asilo, alla luce del recente insegnamento delle sezioni unite di questa corte (cui il collegio è vincolato ex lege), a mente del quale la valutazione della vulnerabilità del medesimo postula, esclusivamente, un giudizio di comparazione tra la situazione del paese di provenienza, al fine di accertare il livello di tutela ivi garantito ai diritti umani incomprimibili, ed il livello di integrazione raggiunto in Italia;

Il livello di integrazione in particolare, non può ragionevolmente intendersi come necessità di un pieno, il reversibile e radicale inserimento nel contesto sociale e culturale del paese bensì come ogni apprezzabile sforzo di inserimento della realtà locale di riferimento, attraverso la produzione di attestati di frequenza e di apprendimento della lingua italiana, di partecipazione ad attività di volontariato, di contratti di lavoro anche a tempo determinato.

Il giudizio in ordine ai presupposti richiesti per il riconoscimento della protezione umanitaria va condotto anche alla luce di valutazioni soggettive ed individuali, condotte caso per caso, onde impedire che il giudice del merito si risolva a declinare apodittiche e ripetitive valutazioni di tipo seriale, improntate a criteri opinabili e/o seriali incompatibili con valori tutelati dalla Carta costituzionale e dal diritto dell’Unione.

Il giudizio di bilanciamento funzionale al riconoscimento della protezione umanitaria, come scolpito dalle Sezioni Unite di questa Corte, che ne sottolineano il rilievo centrale, ha, pertanto, testualmente ad oggetto la valutazione comparativa tra il grado di integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, sub specie della mancata tutela, in loco, del nucleo essenziale dei diritti fondamentali della persona, al di là ed a prescindere da qualsivoglia valutazione della credibilità del richiedente asilo.

In tema di protezione umanitaria, quanto più risulti accertata in giudizio una situazione di particolare o eccezionale vulnerabilità, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il predetto secondum comparationis, costituito dalla situazione oggettiva del paese di rimpatrio, onde la conseguente attenuazione dei criteri rappresentati dalla privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale (principio affermato, con riferimento ad una peculiare fattispecie di eccezionale vulnerabilità, da cass. 1104/2020). Ed in questo senso occorre correggere i principi enunciati dalla sentenza della Corte d’Appello.

Ma il motivo di ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6. Infatti il giudice del merito ha motivato la sua decisione affermando che il ricorrente non ha prospettato delle particolari ragioni di vulnerabilità, idonee a giustificare la concessione della protezione umanitaria e il ricorrente non solo non ha indicato quali sarebbero ma neppure ha indicato gli atti o i documenti dove tali questioni sarebbero state allegate nei precedenti gradi di giudizio. Nè può essere preso in considerazione il certificato medico dove risulterebbero problemi psicofisici del ricorrente perchè la data di detto documento è successiva alla data della sentenza impugnata.

6. Le spese seguono la soccombenza.

6.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), a condizione che esso sia dovuto: condizione che non spetta a questa Corte stabilire. La suddetta norma, infatti, impone all’organo giudicante il compito unicamente di rilevare dal punto di vista oggettivo che l’impugnazione ha avuto un esito infruttuoso per chi l’ha proposta.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020

 

 

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