Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21514 del 19/09/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 21514 Anno 2013
Presidente: IANNIELLO ANTONIO
Relatore: TRIA LUCIA

ORDINANZA
sul ricorso 14642-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA

17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati LUIGI
CALIULO, SERGIO PREDEN, ANTONELLA PATTERI,
GIUSEPPINA GIANNICO, giusta procura speciale in calce al
ricorso;

– ricorrente contro
SANFICA SIMONE, SANFICA FRANCO, SANFICA
ANTONINO, SANFICA GIUSEPPE, SANFICA TANIA,

Data pubblicazione: 19/09/2013

SANFICA SARINA, SANFICA CALOGERA, nella qualità di eredi di
Mazzone Calogera;
– intimati avverso la sentenza n. 873/2010 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
05/07/2013 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA TRIA;
udito per il ricorrente l’Avvocato Antonella Patteri che si riporta agli
scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. GIULIO
ROMANO che si riporta alla relazione scritta.

Ric. 2011 n. 14642 sez. ML – ud. 05-07-2013
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MESSINA del 13.5.2010, depositata il 25/05/2010;

Sesta sezione — Sotto Sezione Lavoro
Udienza del 5 luglio 2013 – n. 52 del ruolo
RG n. 14642/11
Presidente: Ianniello – Relatore: Tua

ORDINANZA
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che la causa è stata chiamata alla adunanza in Camera di

della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:
“1.— La sentenza attualmente impugnata, confermando la decisione del
Tribunale di Patti n. 2182 del 28 novembre 2010, dichiara il diritto di
Calogera Mazzone, alla trasformazione della pensione di invalidità (di
cui godeva in base alla normativa precedente a quella della legge 12
giugno 1984, n. 222) in pensione di vecchiaia a far tempo dalla
presentazione della domanda amministrativa, avanzata in data 27 luglio
1999, in applicazione dell’art. 1, comma 10, della legge n. 222 del 1984,
con conseguente condanna dell’INPS alla liquidazione e al pagamento
delle differenze sui ratei, maggiorati di interessi legali.
2.— La Corte d’appello di Messina, per quel che qui interessa, precisa
che: 1) la controversia si incentra sulla corretta interpretazione del
comma 10 dell’art. 1 della legge n. 222 del 1984, dovendosi in
particolare verificare se tale disposizione, dettata per l’assegno di
invalidità, possa essere legittimamente invocata anche dai titolari della
pensione di invalidità prevista dal precedente regime normativo; 2) la
questione può risolversi alla luce di un consolidato orientamento
giurisprudenziale, cristallizzato dalla sentenza delle Sezioni unite della
Corte di cassazione n. 8433 del 4 maggio 2004, con la quale si è
affermato che la situazione del lavoratore titolare di pensione di
invalidità, attribuita nel precedente regime, in ragione di una parziale
riduzione della capacità lavorativa e di guadagno, non si differenzia da
quella del soggetto al quale sia attribuito l’assegno di invalidità,
Ric. 2011 n. 14642 sez. ML – ud. 05-07-2013
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consiglio del 5 luglio 2013 ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ. sulla base

destinato a trasformarsi in pensione di vecchiaia al compimento
dell’età stabilita; 3) tali considerazioni portano a concludere in favore
dell’applicabilità del disposto del citato comma 10 dell’art. 1 della legge
n. 222 del 1984 anche per il trattamento della pensione di invalidità
previsto dal precedente regime, in quanto espressivo di un principio

tale indirizzo deve essere pienamente condiviso, e non può senz’altro
considerarsi superato dalle più recenti pronunce della Sezione lavoro le
quali hanno, invece, escluso che il periodo di godimento della pensione
di invalidità possa essere utilizzato quale contribuzione figurativa per
incrementare l’anzianità contributiva utile ai fini della pensione di
vecchiaia; 5) per quanto concerne la sussistenza dell’interesse ad agire
della pensionata, contestato dall’Istituto, può richiamarsi il principio,
affermato dal Supremo Collegio con la sentenza n. 23523 del 2004,
secondo cui l’invocata trasformazione, ove contestata in sede
amministrativa, ben potrebbe essere fatta valere in giudizio,
sussistendo astrattamente l’interesse del pensionato ad affermare il
proprio diritto alla pensione di vecchiaia (legata al dato indiscutibile
dell’età anagrafica) piuttosto che alla pensione di invalidità (suscettibile
di revisione); 6) va soggiunto infine che, come per l’assegno di
invalidità, anche in caso di pensione di invalidità vale la regola della
irriducibilità del trattamento di cui all’art. 1, comma 10 della legge n.
222 del 1984.
3.— Per la cassazione della suindicata sentenza l’INPS propone ricorso
sulla base di due motivi; la Mazzone non svolge attività difensiva.
4.1.— Con il primo motivo l’Inps denuncia la violazione dell’art. 100
cod. proc. civ. e dell’art. 1 della legge 12 giugno 1984 n. 222, in
relazione all’art. 360, numeri 3 e 4, cod. proc. civ., per aver la Corte
d’appello ritenuto che la posizione del titolare di pensione di invalidità,
Ric. 2011 n. 14642 sez. ML – ud. 05-07-2013
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generale di protezione della stessa situazione generatrice di bisogno; 4)

conseguita nel regime anteriore all’entrata in vigore della legge n. 222
del 1984 (ai sensi dell’art. 10, r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636), potesse
essere sostanzialmente assimilabile con quella del titolare dell’assegno
ordinario di invalidità conseguito nella vigenza della predetta legge.
In particolare, l’Istituto ricorrente sostiene che la Corte messinese

invalidità la disciplina di cui all’art. 1, comma 10 della legge 222 del
1984, nella parte in cui prevede che l’importo della pensione di
vecchiaia non potrebbe comunque essere inferiore a quello
dell’assegno di invalidità in godimento al compimento dell’età
pensionabile.
4.2.— Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 1, legge
n. 222 del 1984, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per aver la
Corte territoriale ritenuto che il requisito contributivo utile ai fini
dell’accesso al trattamento pensionistico possa essere perfezionato, in
virtù dell’applicazione analogica del citato art. 1, comma 10, della legge
n. 222 del 1984, prendendo in considerazione i periodi di fruizione
della pensione di invalidità nel corso dei quali non era stata prestata
attività lavorativa.
5.— Il ricorso, le cui censure è opportuno trattare congiuntamente,
appare fondato.
5.1.— La più recente giurisprudenza di questa Corte, infatti, esclude
l’applicabilità dell’art. 1, comma 10, della legge n. 222 del 1984,
espressamente riferito all’assegno di invalidità, anche ai titolari di
pensione di invalidità acquisita nel regime del r.d.l. n. 636 del 1939, sia
nella parte in cui consente di incrementare i contributi effettivamente
versati con quelli figurativamente accreditati, sia nella parte in cui
stabilisce che la trasformazione dell’assegno in pensione di vecchiaia
opera automaticamente, in presenza dei requisiti di assicurazione e di
Ric. 2011 n. 14642 sez. ML – ud. 05-07-2013
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abbia erroneamente ritenuto estensibile- ai titolari della pensione di

contribuzione prescritti e in coincidenza del compimento dell’età
stabilita per il diritto alla fruizione della relativa pensione.
Più specificamente, superando l’orientamento espresso nella sentenza
delle Sezioni unite n. 8433 del 2004, richiamata dalla Corte territoriale a
fondamento della propria decisione, le più recenti pronunce di questa

2012, n. 10780; 27 dicembre 2011, n. 29015; 17 febbraio 2011, n. 3855)
hanno affermato che deve escludersi la possibilità di applicare alla
pensione di invalidità la regola — prevista dal citato art. 1, comma 10,
della legge n. 222 del 1984 in riferimento all’assegno di invalidità,
secondo la quale i periodi di godimento di tale assegno si considerano
utili ai fini del diritto al conseguimento della pensione di vecchiaia —
giacché ostano a tale interpretazione la mancanza di ogni previsione in
tal senso nella normativa relativa alla pensione di invalidità, il carattere
eccezionale delle previsioni che nell’ordinamento previdenziale
attribuiscono il medesimo incremento in mancanza di prestazione di
attività lavorativa e di versamento contributivo, nonché le differenze
esistenti tra la disciplina relativa alla pensione di invalidità e a quella di
vecchiaia.
5.2.— Ne deriva l’erroneità dell’affermazione del giudice del merito nel
senso che, in ipotesi di conversione, in ogni caso l’importo della
pensione di vecchiaia non possa essere inferiore a quello del
trattamento di invalidità in godimento, trattandosi, anche in questo
caso, di previsione valida solo nel regime della trasformazione della
prestazione da assegno ordinario di invalidità in pensione di vecchiaia
(vedi, tra le innumerevoli, Cass. 27 giugno 2012, n. 10780 cit.; 27 luglio
2010, n. 17474).

Ric. 2011 n. 14642 sez. ML – ud. 05-07-2013
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Corte (ex plurimis, Cass. 31 gennaio 2013, n. 2267; Cass. 27 giugno

6.— In conclusione, per le suesposte ragioni, si propone la trattazione
del ricorso in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380

bis e 375 cod. proc. civ., per esservi accolto”;
che sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta
relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in

che l’INPS ha depositato una memoria nella quale ha manifestato la
propria totale adesione alla soluzione prospettata nella relazione.
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione
contenuta nella relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ.;
che, pertanto, il ricorso deve essere accolto perché fondato e la
sentenza impugnata va cassata;
che, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può
essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda introduttiva del
giudizio;
che la descritta evoluzione del quadro giurisprudenziale di riferimento,
giustifica la compensazione, tra le parti, delle spese giudiziali dei due
gradi di merito;
che, invece, gli attuali intimati vanno, invece, condannati al pagamento,
in favore dell’INPS, delle spese del presente giudizio di cassazione,
liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P. Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo
la causa nel merito, respinge la domanda introduttiva del giudizio.
Compensa, tra le parti, alle spese giudiziali dei due gradi di merito e
condanna gli attuali intimati al pagamento, in favore dell’INPS, delle
spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 50,00

Ric. 2011 n. 14642 sez. ML – ud. 05-07-2013
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Camera di consiglio;

(cinquanta/00) per esborsi, euro 1500,00 (millecinquecento/00) per
compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione

civile, il 5 luglio 2013.

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