Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21513 del 10/10/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 21513 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 4508-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
2011

contro

DI BONAVENTURA ANTONELLA C.F.

DBNNNL67A57A488X,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 195,
presso lo studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che la

Data pubblicazione: 10/10/2014

_
>

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LALLI
CLAUDIO, giusta delega in atti;
– controricarrente

avverso la sentenza n. 1637/2007 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 14/02/2008 R.G.N. 935/2006;

udienza del 05/06/2014 dal Consigliere Dott. GIULIO
MAISANO;
udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
il rigetto.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 16 giugno 2005 il Tribunale di Teramo ha dichiarato
l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato da Poste
Italiane s.p.a. e Di Bonaventura Antonella stipulato con decorrenza 16
ottobre 2000 ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, ed ha

condannato Poste Italiane alla riammissione in servizio della Di
Bonaventura ed al pagamento in suo favore di tutte le retribuzioni sino alla
data dell’effettiva reintegra. La Corte d’appello di Ancona con sentenza del
13 febbraio 2008, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha
fissato al 10 febbraio 2003, data della richiesta del tentativo obbligatorio di
conciliazione, la decorrenza del pagamento delle retribuzioni kfavore della
lavoratrice, confermando, nel resto la sentenza di primo grado. La Corte
territoriale ha considerato che il contratto in questione è stato stipulato
dopo il 30 aprile 1998 termine di scadenza dell’efficacia del CCNL del
1994 che autorizzava la stipula di tali contratti. La stessa Corte ha inoltre
escluso la risoluzione del rapporto dedotto per mutuo consenso, non
essendo all’uopo sufficiente il mero decorso del tempo per affermare la
sussistenza di tale volontà risolutiva.
Poste Italiane ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza
affidato a due motivi.
Resiste la Di Bonaventura con controricorso.
Entrambe la parti hanno presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt.
1362, 1363 e seguenti cod. civ. nonché omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art.
360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. con riferimento al ragionamento del giudice 49

A

1A

dell’appello relativo all’asserito limite temporale alla previsione della
possibilità di ricorso ai contratti a termine.
Con il secondo motivo del ricorso si lamenta omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio, e nullità del procedimento con riferimento all’art. 360, nn. 3 e 5

comunque risolto per mutuo consenso stante la distanza temporale fra la
sua cessazione e la richiesta del lavoratore di dichiarazione della nullità del
termine, ed il comportamento inerte del lavoratore protrattosi per così
lungo tempo, avrebbe causato un ragionevole affidamento della società
comunque meritevole di tutela.
Il primo motivo è infondato. Osserva il Collegio che la Corte di merito ha
attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è
stato stipulato, per esigenze eccezionali ai sensi dell’art. 8 del CCNL del
1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997, in data
successiva al 30 aprile 1998 (e anteriormente alla operatività del CCNL
del 2001), in epoca cioè in cui “era venuta meno la contrattazione
autorizzatoria”. Tale considerazione, in base all’indirizzo ormai consolidato
in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente
anteriormente al CCNL del 2001 ed al d.lgs. n. 368 del 2001), è sufficiente
,
a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine
apposto al contratto de quo. Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo
2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione
collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di definire nuovi
casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230 del
1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto
delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per
i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite
della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a

L

cod. proc. civ. In particolare si sostiene che il rapporto si sarebbe

termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde,
pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento
fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di
lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti
temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad

aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n.
14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei
contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo
questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle
previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della
disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa
delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto
2006 n. 18378). In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite
temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità
della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto
2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n.
2866). In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente
affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine
di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997,
integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo
accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria,
relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente
ristrutturazione aziendale e ri modulazione degli assetti occupazionali in
corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998. Ne consegue che deve
escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile
1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore

9

O

assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063, Cass. 20

conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230″ (v., fra
le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 gennaio 2008 n. 28450;
Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass.
18378/2006 cit.). Tanto basta per respingere il motivi di ricorso in esame

delle Poste Italiane, così confermandosi la declaratoria di nullità del
termine apposto al contratto de quo.
Il secondo motivo è pure infondato. Come questa Corte ha più volte
affermato “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della
sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul
presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale
ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per
mutuo consenso, è necessario che sia accertata, sulla base del lasso di
tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché
del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative, una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di
porre definitivamente fine ad Ini rapporto lavorativo; la valutazione del
significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al
giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di
legittimità se non sussistono ‘Azi logici o errori di diritto” (v. Cass. 10
novembre 2008 n. 26935, Cass. 28 settembre 2007 n. 20390, Cass. 17
dicembre 2004 n. 23554, Cass. 11 dicembre 2001 n. 15621, nonché da
ultimo Cass. 11-3-2011 n. 5887). Tale principio va enunciato anche in
questa sede, rilevandosi, inoltre che, come pure è stato precisato, “grava sul
datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere
di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa
delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro”
(v. Cass. 2 dicembre 2002 n,17070 e fra le altre da ultimo Cass. 1 febbraio

J-,

relativo al limite temporale a cui sono subordinate le assunzioni a termini

2010 n. 2279). Orbene nella fattispecie la ricorrente non ha dedotto alcun
elemento di fatto da cui possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti
di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro, pretendendo
di dedurre o presumere dal solo trascorrere del tempo la volontà risolutiva
in questione.

P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso;
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in
C 100,00 oltre e 3.500,00 per compensi professionali.
Così deciso i Roma il 5 giugno 2014.

Le spese di giudizio, liquidate M dispositivo, seguono la soccombenza.

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