Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21512 del 15/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 15/09/2017, (ud. 03/05/2017, dep.15/09/2017),  n. 21512

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28745-2011 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocato ELISABETTA LANZETTA, MASSIMILIANO MORELLI, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

P.B. C.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

CORSO TRIESTE 85, presso lo studio dell’avvocato BREZZA DI ROCCO,

rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNI PREVITI, SERGIO

ARCIDIACONO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 460/2011 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 06/06/2011 R.G.N. 969/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/05/2017 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CARUSO SEBASTIANO per delega verbale Avvocato

LANZETTA ELISABETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il giudice del lavoro del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto accolse la domanda di P.B., ex dipendente dell’Inps dal 1957 all’1.12.1991, volta alla corretta liquidazione dell’equo indennizzo riconosciutole con determina dell’Inps n. 478 del 1992 per un importo di Euro 30.492,54, e condannò quest’ultimo al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 20.073,73, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal 10/4/1987 (data dell’evento invalidante riconducibile a causa di servizio) al soddisfo.

La Corte d’appello di Messina, investita dall’impugnazione principale dell’Inps e da quella incidentale dell’assicurata, ha rigettato entrambe le impugnative dopo aver rilevato che correttamente il primo giudice aveva ritenuto che il diritto all’equo indennizzo era maturato dalla data della domanda amministrativa e che la fattispecie era regolata dalla normativa dell’epoca, sicchè la base di riferimento era rappresentata dall’ammontare di due annualità del trattamento economico di quel periodo e sull’importo così ottenuto competevano gli interessi legali e la rivalutazione monetaria a decorrere dall’insorgenza della malattia per causa di servizio.

Per la cassazione della sentenza ricorre l’Inps con tre motivi.

Resiste con controricorso la P..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo l’Inps denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 68, del D.P.R. n. 686 del 1957, artt. 36 e 51, del D.P.R. n. 411 del 1976, art. 32, art. 50 e del D.P.R. n. 509 del 1979, all. 5, artt. 31,57 e 58 e all. 4 nonchè il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, dolendosi della adesione della Corte d’appello alla decisione del primo giudice di tener conto della retribuzione – che doveva fungere da parametro per la quantificazione dell’equo indennizzo – in godimento al momento dell’evento invalidante, anzichè di quella spettante all’epoca della liquidazione della prestazione in esame. Secondo l’Inps la Corte d’appello di Messina non avrebbe considerato che, ai fini della individuazione della retribuzione costituente il parametro di riferimento per la determinazione dell’equo indennizzo, non poteva aversi riguardo alla domanda amministrativa del 10.4.1987, volta al riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio e rilevante al solo fine della individuazione della normativa “ratione temporis” applicabile, bensì a quella successiva del 23.3.2000, contenente la richiesta di concessione dell’equo indennizzo, espressamente menzionata nella Det. n. 478 del 2002 del 30.4.2002, oggetto del ricorso della P., con la conseguenza ulteriore che gli interessi legali potevano essere computati dalla data dell’atto concessorio della prestazione in cui il credito era divenuto liquido ed esigibile, e non dal 10.4.1987.

2. Col secondo motivo, dedotto per vizio di motivazione, il ricorrente si duole dell’omessa considerazione nell’impugnata sentenza di quanto già corrisposto alla P. a titolo di equo indennizzo, vale a dire l’importo di Euro 30.429,54 già liquidato con la Det. n. 478 del 2002.

3. Col terzo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione della L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6 e dell’art. 429 c.p.c., nonchè per vizio di motivazione, il ricorrente contesta la condanna al pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria in cumulo tra loro, assumendo l’erroneità della decisione di equiparazione del credito in esame a quelli di natura retributiva, mentre la Corte di merito avrebbe dovuto tener conto del divieto di cumulo degli accessori di legge previsto per i crediti retributivi dei dipendenti degli enti pubblici non economici (quale nella specie l’Inps) maturati successivamente all’1.1.1995.

4. Per ragioni di connessione i tre motivi possono essere esaminati congiuntamente.

Ebbene, il ricorso è fondato nei termini appresso esposti.

Anzitutto, va chiarito che non è corretta la tesi dell’Inps in base alla quale, ai fini della individuazione della retribuzione costituente il parametro di riferimento per la determinazione dell’equo indennizzo, deve aversi riguardo a quella dell’epoca di liquidazione della prestazione, anzichè a quella in godimento al momento della domanda di riconoscimento della causa di servizio coincidente col periodo in cui si verificò l’evento invalidante.

Si è, infatti, affermato (Cass. Sez. 6 L, Ord. n. 3800 del 9.3.2012) che “la liquidazione dell’equo indennizzo dev’essere effettuata con riferimento allo stipendio percepito dal dipendente al momento della presentazione della domanda (o dell’avvio del procedimento, se d’ufficio) e non a quello dell’effettiva liquidazione, in applicazione del disposto della L. 11 luglio 1980 n. 312, art. 154, comma 3, e, successivamente, della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 22, comma 27, dovendosi, in caso di ritardata erogazione degli importi spettanti, individuare in altre modalità i rimedi civilistici a tutela dell’interessato”.

5. In effetti, la legge che lo regola, ossia la L. 11 luglio 1980, n. 312, art. 154, comma 3 dispone che per la liquidazione dell’equo indennizzo si fa riferimento in ogni caso al trattamento economico da considerare nell’ambito della qualifica funzionale o del livello retributivo di appartenenza del dipendente al momento di presentazione della domanda. Parimenti dispone la successiva L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 27, che, pur avendo abrogato il testo del 1980 stabilisce che nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, per la determinazione dell’equo indennizzo spettante per la perdita dell’integrità fisica ai sensi del testo unico approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 68 si considera l’importo dello stipendio tabellare in godimento alla data di presentazione della domanda o dell’avvio del procedimento d’ufficio.

6. Tanto precisato si osserva, tuttavia, che è fondato il rilievo attraverso il quale l’Inps evidenzia la contraddittorietà della motivazione in quanto, una volta accertato che la domanda amministrativa finalizzata alla richiesta di concessione dell’equo indennizzo, richiamata nella Det. 30 aprile 2002, n. 478 oggetto di contestazione da parte della P., era quella del 23.3.2000, i giudici del merito non avrebbero potuto riconoscere gli interessi legali a decorrere dal momento dell’evento invalidante risalente al 10.4.1987, posto che a quell’epoca il credito non era ancora divenuto liquido ed esigile.

7. E’ altresì fondato il rilievo sulla necessità di individuazione del capitale che ancora compete all’assistita, posto che dalla motivazione della sentenza, che sul punto si è limitata a confermare le statuizioni del primo giudice, non emerge se si sia tenuto conto o meno dell’iniziale importo già versato a titolo di equo indennizzo alla P..

8. Coglie, infine, nel segno l’ultima censura concernente la questione del cumulo degli accessori di legge, posto che, trattandosi di ulteriore ristoro erogato da un ente gestore di forma di previdenza obbligatoria, vigeva la regola del divieto di cumulo di cui alla L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6.

Si è, infatti, ribadito (Cass. sez. lav. n. 535 del 10.1.2013) che la pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale n. 459 del 2000, per la quale il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi non opera per i crediti retributivi dei dipendenti privati, ancorchè maturati dopo il 31 dicembre 1994, non può trovare applicazione per i dipendenti privati di enti pubblici non economici, per i quali ricorrono, ancorchè i rapporti di lavoro risultino privatizzati, le “ragioni di contenimento della spesa pubblica” che sono alla base della disciplina differenziata secondo la “ratio decidendi” prospettata dal Giudice delle leggi.

9. In definitiva il ricorso va accolto e l’impugnata sentenza va cassata, con rinvio del procedimento, anche per le spese, alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione che, nel pronunziarsi sulla determinazione del capitale ancora spettante alla P. e sul computo degli interessi legali, si atterrà ai principi sopra illustrati.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2017

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