Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21510 del 19/09/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 21510 Anno 2013
Presidente: IANNIELLO ANTONIO
Relatore: TRIA LUCIA

ORDINANZA
sul ricorso 26942-2010 proposto da:
PALMISANO PALMA PLMPLM43E50E986I, elettivamente
domiciliat’a in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentata e difesa dall’avv. GOFFREDO LEONARDO, giusta
delega a margine del ricorso;

– ricorrente Contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO
RICCI, ANTONELLA PATTERI, CLEMENTINA PULLI,
SERGIO PREDEN, giusta procura speciale in calce al controricorso;

6353

Data pubblicazione: 19/09/2013

- con troricorrente avverso la sentenza n. 2792/2009 della CORTE D’APPELLO di
BARI del 21.9.09, depositata il 10/10/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

udito per il controricorrente l’Avvocato Antonella Patteri che si riporta
agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. GIULIO
ROMANO che si riporta alla relazione scritta.

Ric. 2010 n. 26942 sez. ML – ud. 05-07-2013
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05/07/2013 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA TRIA;

Sesta sezione — Sotto Sezione Lavoro
Udienza del 5 luglio 2013 – n. 48 del ruolo
RG n. 26942/10
Presidente: Ianniello – Relatore: Tria

ORDINANZA
FATTO E DIRITTO

consiglio del 5 luglio 2013 ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ. sulla base
della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:
“1.— Con ricorso al Tribunale di Bari Palma Palmisano, operaia
agricola a tempo determinato, titolare di pensione INPS, lamentava
che l’Istituto avesse calcolato detta prestazione in misura inferiore
rispetto al dovuto, perché, applicando erroneamente l’art. 28 del d.P.R.
n. 488 del 1968, aveva fatto riferimento, per la determinazione della
retribuzione pensionabile di ciascun anno, al salario medio pubblicato
con i decreti del Ministero del lavoro, i quali determinavano il salario
medio convenzionale non già dell’anno in cui il lavoro era stato
prestato, ma dell’anno immediatamente precedente; ciò premesso
chiedeva lut la condanna dell’Istituto alla riliquidazione della pensione
da calcolarsi sulla base del salario convenzionale del d.P.R. pubblicato
nell’anno successivo.
Nel contraddittorio tra le parti, il Tribunale adito accoglieva la
domanda e la statuizione veniva riformata dalla Corte d’appello di Bari
che, con la sentenza impugnata, la rigettava.
2.— Avverso detta sentenza la parte soccombente ha proposto ricorso
per cassazione, deducendo violazione degli artt. 5 e 28 del d.P.R. n.
488 del 1968, dell’art. 3 della legge n. 457 del 1972, dell’art. 45, comma
21, della legge n. 144 del 1999, dell’art. 14 della legge n. 153 del 1962,
dell’art. 26, comma 3, della legge n. 160 del 1975, dell’art. 3, comma 8,
della legge n. 297 del 1982, nonché degli artt. 3 e 38 Cost. e ha chiesto

Ric. 2010 n. 26942 sez. ML – ud. 05-07-2013
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Ritenuto che la causa è stata chiamata alla adunanza in Camera di

sollevarsi, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2, comma 5, della legge n. 191 del 2009.
Resiste con controricorso l’INPS.
3.— Il ricorso appare manifestamente infondato, per le seguenti
ragioni.

sentenza n. 2377 del 2007, è (Amai più volte pervenuta alla conclusione
che, in tema di pensione di vecchiaia degli operai agricoli a tempo
determinato, la retribuzione pensionabile per gli ultimi anni di lavoro
va calcolata applicando l’art. 28 del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488 e,
dunque, in base alla determinazione operata anno per anno da
apposito decreto ministeriale sulla media delle retribuzioni fissate dalla
contrattazione provinciale nell’anno precedente.
Ciò trova conferma — oltre che nell’impossibilità di rinvenire un
diverso e più funzionale sistema di calcolo, che non pregiudichi
l’equilibrio stesso della gestione previdenziale di settore — anche nella
disposizione di cui all’art. 45, comma 21, della legge n. 144 del 1999,
che nell’interpretare autenticamente l’art. 3 della legge n. 457 del 1972,
concernente le prestazioni temporanee in favore dei lavoratori agricoli,
ha inteso estendere ai lavoratori agricoli a tempo determinato
l’applicazione della media della retribuzione prevista dai contratti
collettivi provinciali vigenti al 30 ottobre dell’anno precedente prevista
per i salariati fissi, così da ricondurre l’intero sistema ad uniformità,
facendo operare, ai fini del calcolo di tutte le prestazioni, le
retribuzioni dell’anno precedente (vedi, tra le tante: Cass. 30 gennaio
2009, n. 2531, richiamata in atti; Cass. 23febbraio 2009, n. 4355 e le
successive pronunce di questa Corte tutte conformi).
Deve ritenersi superato il dubbio che il richiamo all’interpretazione
autentica data dall’art. 3 della legge n. 144 del 1999 cit., non sia
Ric. 2010 n. 26942 sez. ML – ud. 05-07-2013
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Questa Corte, rimeditando il precedente orientamento espresso con

pertinente in quanto l’interpretazione stessa è testualmente riferita alla
“determinazione della retribuzione media da porre a base per la
liquidazione delle prestazioni temporanee per gli operai agricoli a
tempo determinato” e non anche delle prestazioni previdenziali.
Infatti, la legge 23 dicembre 2009, n. 191 ha reiterato l’interpretazione

n. 457 si interpreta nel senso che il termine ivi previsto del 30 ottobre
per la rilevazione della media tra le retribuzioni per le diverse qualifiche
previste dai contratti collettivi provinciali di lavoro ai fini della
determinazione della retribuzione media convenzionale da porre a base
per le prestazioni pensionistiche e per il calcolo della contribuzione
degli operai agricoli a tempo indeterminato è il medesimo di quello
previsto dal citato art.3, comma 2, della legge n. 457 del 1972 per gli
operai a tempo indeterminato”.
Tale ultimo intervento del legislatore rafforza ulteriormente il principio
affermato dalla giurisprudenza di questa Corte più recente.
4.— Neppure sussistono margini per sollevare l’incidente di legittimità
costituzionale del richiamato art. 2, comma 5, della legge 23 dicembre
2009, n. 191, come suggerito dall’odierna ricorrente, atteso che con
sentenza n. 257 del 2011 la Corte costituzionale si è già pronunciata al
riguardo, dichiarando non fondata la relativa questione proposta con
riferimento agli artt. 3 Cost., 111 Cost., primo e secondo comma e art.
117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 14
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
Né la questione può essere oggi riproposta in relazione agli ulteriori
parametri degli artt. 3 e 24 Cost. o dell’art. 38 Cost. indicati dalla
ricorrente.

Ric. 2010 n. 26942 sez. ML – ud. 05-07-2013
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autentica precisando che “l’art. 3, comma 3, della legge 8 agosto 1972,

Infatti, la citata sentenza n. 257 del 2011 ha già, in sostanza, escluso
l’ipotizzato contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., mentre l’art. 38 Cost.
non risulta invocabile, in quanto in base alla consolidata giurisprudenza
costituzionale esso non vincola il legislatore ad un dato sistema di
calcolo della retribuzione a fini pensionistici.

e 104 Cost., va osservato che tali parametri sono invocati in ricorso
come ostativi a una norma di interpretazione autentica che
snaturerebbe la portata precettiva originaria della norma da interpretare
attribuendole un significato estraneo a quelli in origine autorizzati dal
testo normativo ed intervenendo su un tema in ordine al quale non vi
sarebbero state incertezze ermeneutiche, con conseguente violazione
delle prerogative costituzionali del potere giudiziario.
Ebbene, la cit. sentenza n. 257 del 2011 della Corte costituzionale si è
già pronunciata al riguardo, affermando che “l’opzione ermeneutica
prescelta dal legislatore non ha affatto introdotto nella disposizione
interpretata un elemento ad essa del tutto estraneo, ma si è limitata ad
assegnarle un significato riconoscibile come ima delle possibili letture
del testo originano. Il che è reso evidente dai contrastanti orientamenti
della giurisprudenza di legittimità, di cui la medesima ordinanza di
rimessione da conto e che sono anteriori alla norma censurata”.
Il fatto, poi, che non esistesse contrasto interpretativo è smentito dal
rilievo che la sopra ricordata sentenza 30 gennaio 2009, n. 2531 di
questa Corte — che aveva adottato una soluzione diversa rispetto a
Cass. n. 2377 del 2007 (oltre che a Cass. n. 3212 del 2007) — è anteriore
alla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 2, comma 5,
della legge n. 191 del 2009 cit.
Dunque, proprio a livello di giurisprudenza legittimità esisteva una
situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, peraltro non
Ric. 2010 n. 26942 sez. ML – ud. 05-07-2013
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Per quanto concerne, poi, la prospettata violazione degli artt. 101, 102

indispensabile per legittimare l’emanazione di norme con efficacia
retroattiva, in base alla giurisprudenza costituzionale.
5.— In conclusione, per le suesposte ragioni, si propone la trattazione
del ricorso in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380bis e art. 375 cod. proc. civ., per esservi dichiarato infondato, per

che sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta
relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in
Camera di consiglio.
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione
contenuta nella relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ.;
che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato rigettato perché
infondato;
che le spese del presente giudizio di cassazione sono compensate, in
ragione dell’evoluzione del quadro normativo e giurisprudenziale di
riferimento, che ha riguardato la vicenda in esame,
P. Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa, tra le parti, le spese del presente
giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione
civile, il 5 luglio 2013.

quanto detto in precedenza”;

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