Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2151 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. III, 25/01/2022, (ud. 21/12/2021, dep. 25/01/2022), n.2151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco M. – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7850/2020 proposto da:

R.M., elettivamente domiciliato in Roma Piazza S.

Croce in Gerusalemme 1, presso lo studio dell’avvocato Gianfranco

Giangualano, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Vittorio Sannoner;

– ricorrente –

contro

D.P.G.;

– intimato –

nonché contro

D.P.G., elettivamente domiciliato in Foggia, via Graticola,

11, presso l’avvocato Massimiliano Donato della Vista, da cui è

rappresentato e difeso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 23311/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 18/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2021 da Dott. CRICENTI GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- R.M. ha ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti di D.P.G., per il pagamento di somme che il primo aveva prestato al secondo e che costui non aveva restituito. Ma il D.P., nel proporre opposizione, ha eccepito in compensazione una serie di propri crediti verso il R., che avevano fonte in attività di assistenza legale in una serie di cause.

2.-In un primo momento, il Tribunale di Foggia ha riconosciuto parte di queste attività professionali, e dei relativi crediti, ed ha operato compensazione con un residuo debito a carico del D.P.: sin dall’atto introduttivo il R., da un lato, ha eccepito la prescrizione presuntiva, e, per altro verso, ha contestato di dover pagare alcune delle attività rivendicate dal legale. La Corte di Appello di Bari ha rigettato l’appello principale di R., ed, in accoglimento dell’appello incidentale del D.P., ha condannato il primo al pagamento di una differenza.

R. ha proposto ricorso per Cassazione che, con l’ordinanza oggetto qui di revocazione (n. 23311/ 2019), ha rigettato il gravame.

3.- Ora il R. agisce per la revocazione di quella ordinanza, con due motivi, per errore di fatto, di cui il D.P. invece, con controricorso, chiede il rigetto. Il controricorrente ha depositato memoria. Il Pubblico Ministero ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- Il primo motivo attribuisce alla Corte di cassazione di avere errato nel ritenere che il ricorrente avesse contestato ogni attività difensiva a suo favore, anziché soltanto quella relativa al solo giudizio di revisione.

In altri termini, la Corte di Appello, nel riformare la decisione di primo grado, aveva osservato che l’eccezione di prescrizione presuntiva era incompatibile con l’affermazione che alcuna attività era stata svolta o che, ove svolta, non andasse retribuita. E questa regola è stata confermata dalla Corte di cassazione.

A parere del ricorrente, quest’ultima ha dato per esistente un fatto – ossia la contestazione dell’attività difensiva svolta dal D.P. in favore del ricorrente – che invece non era stato fatto valere dal R., il quale semmai aveva contestato solo l’attività difensiva in uno dei procedimenti per i quali il D.P. chiedeva compenso, e non per tutti: il fatto, in sostanza, (la totale contestazione dell’attività difensiva) era in realtà diverso da come dal ricorrente prospettato (parziale contestazione dell’attività difensiva svolta a suo favore dal legale).

Il secondo motivo attribuisce alla Corte di non avere tenuto in conto che per il giudizio di revisione il ricorrente aveva contestato l’attività difensiva del D.P., e che dunque per tale attività non andava riconosciuto il compenso: la Corte avrebbe del tutto obliterato questo “fatto”, oggetto di un preciso motivo di ricorso.

p..- I due motivi possono essere scrutinati insieme e sono inammissibili.

5.- E’ infatti principio di diritto che “ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391-bis c.p.c., rientra fra i requisiti necessari della revocazione che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi; pertanto, non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice.” (Cass. 9527/2019; Cass. 27094/2011, ma anche 16439/2021).

Ed è pacifico che sia la questione dell’avere o meno il R. contestato l’attività professionale- primo motivo di revocazione- sia la questione dell’avere egli contestato solo l’assistenza per il giudizio di revisione rispetto a cui ha dunque escluso di dover pagare gli onorari- sono state entrambe oggetto di discussione sin dal primo grado: lo stesso ricorrente ammette che è stato il Tribunale, in primo grado, a generalizzare e non distinguere tra il processo penale – in cui il R. ammette di essere stato assistito dal D.P.- ed il successivo giudizio straordinario di revisione – rispetto al quale invece il R. contesta l’attività difensiva del D.P., con la conseguenza che questa confusione, che egli oggi fa valere come errore di fatto da parte della Corte di cassazione, è invece l’esito di una discussione iniziata sin dal primo grado e risolta in quel grado, come nel secondo, in un senso a lui sfavorevole – non ha importanza se corretto – ma sicuramente oggetto del tema di decisione, e dunque non rilevante ai fini di una revocazione per errore di fatto, anche ove costituisse omessa pronuncia, come, rispetto al secondo motivo il ricorrente sembra adombrare (Cass. 14610/ 2021).

In conclusione, non si discute della negazione di un fatto evidentemente esistente – che giustifica la revocazione – ma si discute dell’avere i giudici – non solo la Corte di cassazione- assunto un fatto diverso da come prospettato dal ricorrente, ossia contestazione parziale anziché totale dell’attività difensiva svolta dal D.P.: evidentemente il ricorrente si duole della circostanza che il fatto è stato ricostruito diversamente da come egli avrebbe voluto o da come egli lo ha prospettato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento della somma di 5000,00 Euro di spese legali, oltre 200,00 Euro di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

 

 

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