Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21509 del 27/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 27/07/2021, (ud. 15/07/2021, dep. 27/07/2021), n.21509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13302/2020 R.G. proposto da:

B.M. (o Kwame b.M.), rappresentato e difeso

dall’Avv. Romano Maria Cristina, con domicilio in Roma, piazza

Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Milano n. 4881/19,

depositata il 6 dicembre 2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 luglio

2021 dal Consigliere Mercolino Guido.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

B.M. (o K.M.), cittadino del Ghana, ha proposto ricorso per cassazione, per quattro motivi, avverso la sentenza del 6 dicembre 2019, con cui la Corte d’appello di Milano ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa l’11 dicembre 2018 dal Tribunale di Milano, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;

che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

e’ inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);

con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nello escludere la configurabilità delle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 19 novembre 2007, n. 251 l’art. 14, lett. a) e b), o quantomeno dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata non ha tenuto conto di un articolo di giornale da lui prodotto, attestante l’effettiva verificazione dei fatti da lui narrati sia nel corso del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale che nel ricorso introduttivo del giudizio;

con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, censurando la sentenza impugnata per essersi limitata ad escludere la credibilità intrinseca delle dichiarazioni da lui rese, sulla base di una capillare ricerca delle contraddizioni insite nella narrazione, senza tener conto degli sforzi da lui compiuti per circostanziare la domanda e senza accertare ufficiosamente la coerenza del racconto con fonti accreditate d’informazione relative al Paese di origine;

i due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono infondati;

in tema di protezione internazionale, questa Corte ha avuto infatti modo di affermare che le dichiarazioni rese dallo straniero, se non suffragate da prove, devono essere sottoposte, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ad un controllo di credibilità, avente ad oggetto da un lato la coerenza interna ed esterna delle stesse, ovverosia la congruenza intrinseca del racconto e la sua concordanza con le informazioni generali e specifiche di cui si dispone, dall’altro la plausibilità della vicenda narrata, che deve risultare attendibile e convincente sul piano razionale, non comportando tale verifica un aggravamento della posizione del richiedente, il quale beneficia anzi di un’attenuazione dell’onere della prova, ricollegabile al dovere del giudice di acquisire d’ufficio il necessario materiale probatorio ed al potere di ritenere provate circostanze che non lo sono affatto, ferma restando, per l’appunto, la necessità che i fatti narrati superino il predetto vaglio di logicità (cfr. Cass., Sez. I, 7/08/2019, n. 21142);

tale controllo è stato puntualmente effettuato dalla Corte d’appello, la quale non si è limitata a rilevare marginali incongruenze o contraddizioni nei fatti riferiti dal ricorrente, ma ha posto in risalto la lacunosità delle dichiarazioni da lui rese e l’implausibilità delle ragioni addotte a sostegno del timore di essere considerato responsabile del sinistro che lo aveva indotto ad abbandonare il Paese di origine, nonché la mancata comparizione del ricorrente in udienza, per rendere i chiarimenti che aveva dichiarato di poter fornire in caso di audizione;

tale valutazione non può ritenersi inficiata dall’omesso esame dell’articolo di giornale indicato dal ricorrente, il quale non può considerarsi decisivo, risultando idoneo a comprovare tutt’al più l’oggettiva verificazione del sinistro narrato (l’esplosione di un distributore di carburante, a seguito della quale avrebbe preso fuoco un veicolo da lui parcheggiato nelle vicinanze, con la probabile morte di alcuni passeggeri rimasti a bordo), ma non ancNatiuldffizjone 27/07/2021 volgimento del ricorrente nello stesso, né la sua successiva individuazione quale responsabile dell’incidente, e quindi la fondatezza del timore di essere arrestato o di rimanere esposto alla vendetta dei parenti delle vittime;

l’esito negativo del predetto controllo consente di escludere la necessità di approfondimenti istruttori ulteriori in ordine alla situazione in atto nel Paese di origine del richiedente, in adempimento del dovere di cooperazione istruttoria officiosa posto a carico del giudice dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, dal momento che tale dovere non opera laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass., Sez. I, 12/06/2019, n. 15794; Cass., Sez. VI, 20/12/2018, n. 33096; 19/02/2019, n. 4892);

con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, osservando che la sentenza impugnata si è limitata ad escludere la configurabilità della fattispecie di cui alla lett. c) di tale disposizione, senza prendere in considerazione quelle di cui alle lett. a) e b), in ordine alle quali non ha tenuto conto del timore, da lui allegato, di essere ritenuto responsabile del sinistro narrato;

il motivo è infondato;

nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, la sentenza impugnata non si è limitata ad escludere che in Ghana sia in atto una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato, ma, sia pure senza richiamare espressamente il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ha dichiarato insussistente il rischio di un danno grave, nel senso previsto da tali disposizioni, escludendo che il ricorrente possa riportare una condanna a morte per la vicenda narrata, aggiungendo che la pena di morte, pur essendo ancora prevista dall’ordinamento del Ghana, non viene più eseguita da circa trent’anni, e rilevando infine che il sistema carcerario di quel Paese non è caratterizzato dall’applicazione della tortura o da altre forme di trattamento inumano o degradante;

la ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni rese a sostegno della domanda, implicando logicamente l’esclusione dell’eventualità che in caso di rimpatrio il ricorrente venga condannato a morte o a una pena detentiva risulta peraltro sufficiente a giustificare l’affermazione dell’infondatezza della domanda da lui proposta ai sensi delle lettere a) e b) dell’art. 14 cit., indipendentemente da qualsiasi approfondimento in ordine all’ordinamento penitenziario ed alle condizioni del sistema carcerario del Ghana (cfr. Cass., Sez. I, 29/05/2020, n. 10286; Cass., Sez. II, 8/09/2020, n. 18648);

con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e art. 19, rilevando che la ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni da lui rese si è ripercossa sulla comparazione tra la situazione in cui egli versava prima dell’espatrio e il livello d’integrazione raggiunto in Italia, non essendosi tenuto conto, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, da un lato del timore da lui allegato a sostegno della domanda e dall’altro degli elementi comprovanti il tempo da lui trascorso in Italia, l’acquisizione della conoscenza della lingua italiana e lo svolgimento continuativo di attività lavorativa;

il motivo è infondato;

in assenza dell’allegazione di una condizione di vulnerabilità o dell’esposizione al rischio di gravi violazioni dei diritti umani diverse da quelle emergenti dalla vicenda personale narrata a sostegno della domanda di riconoscimento delle forme di protezione cd. maggiori, l’esclusione della credibilità di tale vicenda risulta di per sé sufficiente a giustificare anche il rigetto della domanda di applicazione della protezione umanitaria, la quale, pur postulando una valutazione autonoma, avente ad oggetto la sussistenza dei presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, non può trovare accoglimento ove risulti incerta la stessa sussistenza della situazione che dovrebbe giustificare il riconoscimento della protezione (cfr. Cass., Sez. I, 24/12/2020, n. 29624; 7/08/2019, n. 21123);

non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, relativamente alla domanda di concessione della protezione umanitaria, si è limitata a ribadire il giudizio d’inattendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente, già espresso con riferimento alle domande di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria;

nel censurare l’apprezzamento compiuto dalla Corte d’appello in ordine al livello d’integrazione sociale ed economica da lui raggiunto in Italia, il ricorrente si limita poi ad insistere, in particolare, sullo svolgimento continuativo di attività lavorativa in Italia, ritenuto non provato dalla sentenza impugnata, in tal modo sollecitando una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato, nonché la coerenza logica delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie risultano ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134;

il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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