Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21509 del 19/09/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 21509 Anno 2013
Presidente: IANNIELLO ANTONIO
Relatore: TRIA LUCIA

ORDINANZA
sul ricorso 20497-2010 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI
ANTONIETTA, DE ROSE EMANUELE, LUIGI CALIULO,
STUMPO VINCENZO, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente contro
FORTUNA GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIALE CARSO, 63, presso lo studio dell’avvocato BRUNELLA
GRECI, rappresentato e difeso dall’avvocato COSTA MARIA, giusta
procura speciale in calce al controricorso;

Data pubblicazione: 19/09/2013

- controricorrente avverso la sentenza n. 2/2010 della CORTE D’APPELLO di
REGGIO CALABRIA del 12.1.2010, depositata il 02/02/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

udito per il ricorrente l’Avvocato Emanuele De Rose che si riporta agli
scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. GIULIO
ROMANO che si riporta alla relazione scritta.

Ric. 2010 n. 20497 sez. ML – ud. 05-07-2013
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05/07/2013 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA TRIA;

Sesta sezione — Sotto Sezione Lavoro
Udienza del 5 luglio 2013 – n. 47 del ruolo
RG n. 20497/10
Presidente: Ianniello – Relatore: Tria

ORDINANZA

Ritenuto che la causa è stata chiamata alla adunanza in Camera di
consiglio del 5 luglio 2013 ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ. sulla base
della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380-bis cod. proc. civ.,
dal seguente tenore:

(
_CQ.c4r_-e4

“1.— La Corte d’Appello di Reggio Calabria, con laUattualmente
impugnata, rigetta l’appello proposto dall’INPS, nei confronti di
Giovanni Fortuna, avverso la sentenza del Tribunale di Locri n.
1661/2004, che ha dichiarato il diritto di quest’ultima alla rivalutazione
ISTAT sull’assegno percepito quale LPU ed ha condannato l’INPS a
pagare al lavoratore la complessiva somma di 309,87 Euro oltre
interessi legali.
In particolare, per quanto qui interessa, la Corte di merito osserva che:
a) il d.lgs. n. 280 del 1997, nel definire in via generale in quali settori
debbano attivarsi i lavori di pubblica utilità, rinvia per le modalità di
attuazione dei relativi progetti a quelle stabilite dall’art. 1 del d.l. n. 510
del 1996, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 608 del 1996; b)
tale ultima disposizione è stata successivamente abrogata e, pertanto,
per l’attuazione dei progetti in questione deve farsi riferimento all’altro
d.lgs. n. 468 del 1997 — emanato in base alla delega di cui alla legge n.
196 del 1997 — che, all’art. 1, comprende anche i lavori di pubblica
utilità fra le attività oggetto di lavori socialmente utili e, all’art. 2, ne
prevede le modalità di attuazione; c) di conseguenza, l’assegno per i
lavori socialmente utili, previsto dall’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 468

Ric. 2010 n. 20497 sez. ML – ud. 05-07-2013
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FATTO E DIRITTO

del 1997, elevato a lire 850.000 al mese ai sensi dell’art. 45, nono
comma, della legge n. 144 del 1999, si riferisce anche ai lavori di
pubblica utilità.
L’INPS ricorre per la cassazione della suddetta sentenza prospettando
un unico motivo di ricorso. Giovanni Fortuna resiste con

art. 96 cod. proc. civ.
2.—Con l’unico motivo di ricorso, l’INPS denuncia la violazione della
disciplina normativa sopra richiamata. In particolare, l’Istituto sostiene
che l’importo, per il 1999, del sussidio previsto per lo svolgimento dei
lavori di pubblica utilità da parte dei giovani del Mezzogiorno, ai sensi
del d.lgs. n. 280 del 1997, resta fissato nella misura stabilita dall’art. 1,
comma 3, del d.l. n. 510 del 1996, convertito dalla legge n. 608 del
1996, in virtù dello specifico rinvio di tipo “statico” operato dall’art. 3,
comma 3, del predetto decreto legislativo, e non sia dunque suscettibile
— come invece ritenuto dal Giudice del merito — dell’adeguamento —
nella misura di cui al combinato disposto dell’art. 8 del d.lgs. n. 468 del
1997 e dell’art. 45, comma 9, della legge n. 144 del 1999 — previsto
specificamente per l’assegno spettante ai lavoratori socialmente utili.
3.— Il ricorso appare manifestamente infondato, in base
all’orientamento interpretativo già espresso da questa Corte in
analoghe controversie, cui il Collegio intende dare continuità (vedi, per
tutte: Cass. 7 giugno 2012, n. 9204; Cass. 19 dicembre 2011, n. 27432;
Cass. 21 gennaio 2011, n. 1470).
3.1.— La legge 24 giugno 1997, n. 196, recante norme in materia di
promozione dell’occupazione, ha previsto, agli arti. 22 e 26, le deleghe
al Governo, rispettivamente, per la revisione della disciplina sui lavori
socialmente utili (di cui al d.l. 1° ottobre 1996, n. 510, art. 1, comma 1,
convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608) e
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controricorso, nel quale, fra l’altro, chiede la condanna dell’INPS ex

per la definizione di un piano straordinario di lavori di pubblica utilità
e di borse di studio a favore di giovani inoccupati del Mezzogiorno.
Le deleghe sono state attuate con l’emanazione di due successivi
decreti legislativi: il d.lgs. 7 agosto 1997, n. 280, recante nonne in
materia di interventi a favore di giovani inoccupati nel Mezzogiorno; il

lavori socialmente utili.
3.2.— In particolare, del d.lgs. n. 280 del 1997, art. 3, definisce i settori
nei quali sono attivati i lavori di pubblica utilità (servizi alla persona,
salvaguardia e cura dell’ambiente e del territorio, sviluppo rurale e
dell’acquacoltura, recupero e riqualificazione degli spazi urbani e dei
beni culturali), stabilendo la durata massima di dodici mesi per i relativi
progetti e rinviando per le modalità di attuazione a quelle stabilite dal
D.L. n. 510 del 1996, art. 1 (che, fra l’altro, ha previsto a carico
dell’INPS un sussidio non superiore a L. 800.000 mensili).
3.3— Il d.lgs. n. 468 del 1997, art. 1, – nel testo antecedente l’entrata in
vigore del d.lgs. 28 febbraio 2000, n. 81 – definisce come lavori
socialmente utili le attività che hanno per oggetto la realizzazione di
opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva, mediante l’utilizzo di
particolari categorie di soggetti, e ne distingue le diverse tipologie,
prevedendo “lavori di pubblica utilità mirati alla creazione di
occupazione, in particolare in nuovi bacini di impiego, della durata di
12 mesi”, “lavori socialmente utili mirati alla qualificazione di
particolari progetti formativi volti alla crescita professionale in settori
innovativi, della durata massima di 12 mesi”, “lavori socialmente utili
per la reali zzazione

di progetti aventi obiettivi di carattere

straordinario, della durata di 6 mesi”, “prestazioni di attività
socialmente utili da parte di titolari di trattamenti previdenziali”; all’art.
2, in particolare, vengono definiti i settori nei quali sono attivati i lavori
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d.lgs. 1 dicembre 1997, n. 468, recante la revisione della disciplina sui

di pubblica utilità e se ne specificano gli ambiti in relazione alla cura
della persona, all’ambiente e al territorio, allo sviluppo rurale, montano
e idrico, al recupero e alla riqualificazione degli spazi urbani e dei beni
culturali.
Alle attività indicate nei suddetti artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 468 del 1997, il

integrati della pubblica amministrazione” e “i trasporti e la connessa
logistica”, consentendo alle Regioni (e alle Province, nell’ambito della
propria competenza) di “individuare attività aggiuntive a quelle ….
funzionali allo sbocco occupazionale territoriale” dei “soggetti
impegnati in progetti di lavori socialmente utili e che abbiano
effettivamente maturato dodici mesi di permanenza in tali attività nel
periodo dal 1 gennaio 1998 al 31 dicembre 1999”, “in iniziative che
comportano trasferimenti di risorse finanziarie pubbliche per opere
infrastnitturali, ovvero siano finanziate da fondi strutturali europei
ovvero siano oggetto di programmazione negoziata”.
Va sottolineato, infine che l’art. 13 del citato d.lgs. n. 468 del 1997
dispone l’abrogazione di tutte le disposizioni in contrasto con il
decreto, con particolare riguardo a quelle contenute nel d.l. n. 510 del
1996, art. 1, convertito dalla legge n. 608 del 1996.
3.4.— La ricognizione normativa consente di rilevare la portata e gli
effetti della successiva disposizione della legge 17 maggio 1999, n. 144,
art. 45, comma 9 (recante misure in materia di investimenti, delega al
Governo per il riordino degli incentivi all’occupazione e della
normativa che disciplina l’INAIL, nonché disposizioni per il riordino
degli enti previdenziali), secondo cui “dal 1 gennaio 1999, l’assegno per
i lavori socialmente utili è stabilito in L. 850.000 mensili”.
Infatti, come la decisione impugnata ha puntualmente osservato, i
“lavori socialmente utili” comprendono le varie attività che hanno per
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d.lgs. 28 febbraio 2000, n. 81, art. 3 ha aggiunto i “servizi tecnici

oggetto la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità
collettiva, secondo la definizione generale del d.lgs. n. 468 del 1997,
art. 1 e comprendono, in virtù del secondo comma del medesimo
articolo, anche i lavori di pubblica utilità mirati alla creazione di
occupazione in particolari bacini di impiego.

una portata generale, come anche le diverse tipologie di attività ivi
descritte, secondo g-li intenti specificamente demandati dalla legge di
delega, consistenti nella revisione dell’intera disciplina dei lavori
socialmente utili dapprima dettata dal richiamato art. 1 del di. n. 510
del 1996, convertito nella legge n. 608 del 1996, (espressamente
abrogato dal d.lgs. n. 468 del 1997, art. 13), e secondo una
configurazione unitaria di tutte le descritte attività che, infine, ha
trovato consolidamento nella nuova disciplina delle “attività
socialmente utili” dettata dall’indicato d.lgs. 28 febbraio 2000, n. 81
(recante integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente
utili a norma della L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 2) e anche nella
successiva normativa (a partire dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art.
50).
Ciò spiega la sovrapponibilità dei settori di attività previsti per i
“progetti di lavoro di pubblica utilità” dal d.lgs. n. 468 del 1997, art. 2 e
quelli oggetto di “lavori, di pubblica utilità” secondo il d.lgs. n. 280 del
1997, art. 3, siccome quest’ultima disposizione – corrispondendo ad
una precisa intenti° legis, manifestata nella legge di delega (la L. n. 196
del 1997) – mira alla “creazione di occupazione” in uno specifico
bacino di impiego, così come previsto, in generale, dal richiamato
D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 1.
Consegue, da questo rilievo, che il rapporto fra le due previsioni di
“lavori di pubblica utilità” – contenute nei due decreti legislativi
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Com’è evidente, la definizione contenuta nel d.lgs. n. 468 del 1997, ha

attuativi delle deleghe di cui alla L. n. 196 del 1997 – si pone in termini
di specificazione di intenti generali in ambiti territoriali determinati,
all’interno di una medesima “tipologia” di attività e di una medesima
finalità del Legislatore, connessa ad intenti di tutela dalla
disoccupazione e di inserimento nel lavoro.

Corte giustizia UE, 15 marzo 2012, n. 157, ove anzi non si è fatta
distinzione tra le due situazioni dei lavoratori socialmente utili e dei
lavoratori di pubblica utilità.
D’altra parte, per quel che riguarda in particolare i soggetti impegnati
in lavori del tipo suindicato nella Regione Calabria (cui si riferisce il
presente giudizio), va tenuto presente che la suddetta assimilazione ha
trovato un esplicito riconoscimento nel d.l. 1 ottobre 2007, n. 159, art.
27, comma 1, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre
2007, n. 222, che sia pure soltanto ai fini della stabilizzazione ivi
disposta, ha espressamente sancito l’equiparazione nella suindicata
Regione dei lavoratori impegnati in lavori di pubblica utilità (ai sensi
della legge n. 280 del 1997, art. 3, comma 1) a quelli inseriti in progetti
di lavori socialmente utili (ai sensi del d.lgs. n. 81 del 2000, art. 2,
comma 1).
3.5— Con questi presupposti, l’incremento e la rivalutazione
dell’assegno – nella misura e nei termini determinati dalla legge n. 144
del 1999, art. 45, comma 9 e dal d.lgs. n. 468 del 1997, art. 8, comma 8
– trovano applicazione anche per i lavori di pubblica utilità previsti dal
d.lgs. n. 280 del 1997, in quanto “lavori socialmente utili” secondo la
definizione originariamente fissata dal Legislatore al d.lgs. n. 468 del
1997, art. 1, comma 2, lett. a), e poi attualizzata dalla successiva
normativa.

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Né tale conclusione risulta essere smentita dalla recente sentenza della

3.6.— La configurazione di una identità strutturale dei lavori di pubblica
utilità previsti nei due decreti legislativi toglie ogni rilievo all’argomento
utilizzato dall’Istituto ricorrente in relazione ad un asserito rinvio
“statico” – contenuto nel d.lgs. n. 280 del 1997 – alle modalità di
attuazione previste nel D.L. n. 510 del 1996, convertito dalla L. n. 608

Del resto, l’intento del Legislatore di riferirsi, quanto alle predette
modalità, non già ad una determinata disciplina, ancorché poi abrogata,
ma alla disciplina normativa così come eventualmente modificata nel
tempo, è reso evidente, sul piano sistematico, dalla mancanza di alcuna
ragione che possa giustificare la eventuale disparità di trattamento fra
prestazioni relative a progetti aventi uguale funzione e identico
contenuto.
Infine, la norma transitoria dettata dal d.lgs. n. 468 del 1997, art. 13,
u.c., che – come sottolinea l’istituto – limita l’applicazione del decreto ai
progetti presentati dopo la sua entrata in vigore, non configura
certamente un intento di discrimine fra prestazioni relative a
disposizioni che si inseriscono in un unico sistema, attuato mediante
decreti legislativi quasi coevi. Anzi, per i profili strettamente economici
la disposizione è del tutto irrilevante, poiché il diritto dei lavoratori si
fonda, nella specie, su progetti presentati ai sensi del d.lgs. n. 280 del
1997, ai quali, peraltro, stante la medesima natura della prestazione di
“lavori di pubblica utilità”, si applica il medesimo trattamento
economico, ivi compresi la rivalutazione e l’incremento, di cui si è
detto.
4.— Non sembra, peraltro, da accogliere la richiesta dell’intimato di
condanna dell’Istituto ricorrente al pagamento delle spese per
responsabilità aggravata non ravvisandosi gli estremi della temerarietà
della lite, ove si osservi che tale responsabilità non può derivare solo
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del 1996.

dal fatto della prospettazione di una tesi riconosciuta errata dal
decidente, occorrendo a tal fine l’esistenza di una condotta processuale
qualificata dal dolo, consistente nella consapevolezza nella parte stessa
del proprio torto, ovvero dalla colpa grave, ravvisabile nell’assenza
della normale prudenza o diligenza che avrebbe consentito alla parte di

5.— In conclusione, per le suesposte ragioni, si propone la trattazione
del ricorso in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380bis e art. 375 cod. proc. civ., per esservi dichiarato infondato, per
quanto detto in precedenza”;
er e suesposte ragioni,
art. 375 cod. proc.

che sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta
relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in
Camera di consiglio.
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione
contenuta nella relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ.;
che, pertanto, il ricorso deve essere respinto perché infondato e la
sentenza impugnata va cassata;
che nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione,
in assenza di attività difensiva dell’intimata.
P. Q .M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di
cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione
civile, il 5 luglio 2013.

ravvisare l’infondatezza della propria tesi.

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