Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21506 del 25/10/2016
Cassazione civile sez. VI, 25/10/2016, (ud. 22/09/2016, dep. 25/10/2016), n.21506
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. MANNA Felice – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.G., AC.Vi. e B.G.,
rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del
ricorso, dagli Avv. Giovambattista Ferriolo e Ferdinando Emilio
Abbate, presso il loro studio elettivamente domiciliati in Roma, via
Mazzini, n. 114/B;
– ricorrenti –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del
Consiglio pro tempore;
– intimata –
avverso il decreto della Corte d’appello di Roma in data 15 ottobre
2014;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 22
settembre 2016 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;
udito l’Avv. Ranieri Roda, per delega.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che – giudicando in sede di rinvio sulla domanda di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, per l’irragionevole durata di un processo amministrativo avente ad oggetto il riconoscimento del diritto ad ottenere l’adeguamento triennale dell’indennità giudiziaria spettante a dipendenti del Ministero della giustizia – la Corte d’appello di Roma, con decreto in data 15 ottobre 2014, ha accolto il ricorso proposto da A.G., Ac.Vi. e B.G. e, per l’effetto, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei ministri al pagamento, in favore di ciascuno dei ricorrenti, della somma di Euro 5.250, e ha regolato le spese di giudizio, con distrazione in favore degli avvocati antistatari, liquidandole in complessivi Euro 1.735 per l’originaria procedura dinanzi alla Corte d’appello, in Euro 1.000 per il giudizio di cassazione e in Euro 1.585 quanto al giudizio di rinvio;
che per la cassazione del decreto della Corte d’appello A.G. e gli altri litisconsorti hanno proposto ricorso, con atto notificato il 14 aprile 2015, sulla base di tre motivi;
che l’intimata Presidenza del Consiglio dei ministri non ha svolto attività difensiva in questa sede;
che in prossimità dell’udienza i ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa.
Considerato che con il primo motivo si censura violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 per avere la Corte d’appello detratto il periodo di un anno e sei mesi nel quale il processo presupposto è rimasto sospeso ex lege a seguito di rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione di una questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR in relazione alla normativa da applicare;
che il motivo è infondato;
che è bensì esatto che questa Corte ha in passato statuito che, ai fini della determinazione della ragionevole durata del processo, la questione di costituzionalità sollevata nel giudizio presupposto non comporta l’automatica esclusione del tempo necessario per la risoluzione dell’incidente (Cass., Sez. 2, 11 febbraio 2014, n. 3096);
che, tuttavia, occorre considerare che la proposizione dell’incidente di costituzionalità determina la sospensione del processo nel corso del quale la questione è sollevata e che la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quater, – nel testo inserito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55 convertito nella L. n. 134 del 2012 – stabilisce (con norma applicabile anche ai giudizi in corso, perchè fornisce un criterio di giudizio per la determinazione del periodo di ragionevole durata) che ai fini del computo del termine ragionevole non si tiene conto del tempo in cui il processo è sospeso;
che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 184 del 2015, ha dichiarato inammissibili questioni di legittimità costituzionale del citato art. 2, comma 2-quater, nella parte in cui sottrae al computo della durata del processo i periodi di sospensione che non siano riconducibili alle parti;
che, pertanto, in applicazione della nuova disciplina, la statuizione della Corte d’appello è conforme a diritto;
che il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2) lamenta che il decreto della Corte d’appello, pur consapevole di una durata del giudizio rilevante ai fini della liquidazione di sei anni e due mesi, abbia considerato, ai concreti fini della liquidazione, soltanto sei anni, ignorando gli ulteriori due mesi di durata;
che il motivo è infondato;
che correttamente la Corte d’appello, dopo avere quantificato il periodo di durata irragionevole in sei anni e due mesi, ha liquidato a titolo di equa riparazione un indennizzo per ciascun anno di ritardo, e quindi per sei anni, trascurando la residua frazione di due mesi, e ciò trattandosi di un lasso di tempo così breve di eccedenza (inferiore al semestre) che, di per sè, non può provocare a carico della parte sofferenze e patemi d’animo apprezzabili (cfr. Cass., Sez. 2, 4 marzo 2013, n. 5317);
che con il terzo mezzo (violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 1173 c.c.) i ricorrenti censurano che la Corte d’appello sugli importi capitale non abbia liquidato gli interessi legali in assenza di domanda;
che la censura è infondata, giacchè, in materia di liquidazione dell’equa riparazione per la durata irragionevole del processo presupposto, dal carattere indennitario dell’obbligazione discende che gli interessi legali decorrono dalla data della domanda di equa riparazione, semprechè, tuttavia, essi siano stati richiesti (Cass., Sez. 1, 25 novembre 2011, n. 24962; Cass., Sez. 6-2, 9 agosto 2016, n. 16854);
che, dunque, il ricorso è rigettato;
che, risultando dagli atti che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013).
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte suprema di Cassazione, il 22 settembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2016