Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2150 del 30/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/01/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 30/01/2020), n.2150

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1682-2014 proposto da:

DECORTECH SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NICOLA

RICCIOTTI 11, presso lo studio dell’avvocato COSTANZA ACCIAI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNA M.R.

PAPPALARDO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 95/2013 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

BRESCIA, depositata il 24/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/11/2019 dal Consigliere Dott. FRACANZANI MARCELLO MARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La contribuente soc. Decortech srl reagiva all’avviso di accertamento per l’anno di imposta 2004, ove era stato induttivamente ricostruito il reddito e riprese a tassazione somme per operazioni inesistenti, tese a ridurre artatamente la base imponibile.

L’atto impositivo scaturiva da indagini della Guardia di Finanza di Pesaro che individuava le relazioni fra la soc. Comunicando con sede nella Repubblica di San Marino da cui la soc. Mediaservice, ritenuta mera intermediaria, acquistava pacchetti per spazi o eventi pubblicitari, senza che il rappresentante fiscale italiano della sammarinese assolvesse l’Iva, per poi rivenderli ad altri soggetti, fra cui Decortech.

La contribuente affermava di aver regolarmente saldato tutte le fatture e che tutte avessero ad oggetto una prestazione pubblicitaria realmente corrisposta. Non di meno i gradi di merito confermavamo l’operato dell’Ufficio, rilevando la CTR – per quanto interessa il prosieguo- che l’atto impositivo segua tre verbali di contraddittorio in novembre e dicembre 2009 ed ancora nel marzo 2010 ove la contribuente non è stata in grado di vincere gli indizi gravi precisi e ‘concordanti emersi dalle indagini e provare -come suo onere- il fatto (agevolativo) della realizzazione degli eventi per la deducibilità dei costi di pubblicità. Conclude infine la CTR ritenendo insufficienti i documenti prodotti dalla contribuente in ordine a specifici eventi pubblicitari.

Ricorre con otto motivi la contribuente, cui replica con controricorso il patrono erariale.

In prossimità dell’udienza la parte privata ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vengono proposti otto motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente per gruppi omogenei.

1. In un primo gruppo possono essere raccolti i motivi 1, 2, 7 e 8 attinenti a profili di motivazione. Più in particolare, con il motivo 1 si solleva il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 per difetto assoluto di motivazione, motivazione apparente in violazione degli art. 111 e 7 Cost., nonchè art. 132 c.p.c., poichè non si evince una selezione di argomenti ponderati dal giudice d’appello da cui desumere il suo convincimento.

Con il motivo 2 si profila censura ex art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione dell’art. 112 c.p.c. e del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, non avendo la CTR dato risposta alle sette analitiche doglianze proposte in appello e riprodotte in ricorso ai fini dell’autosufficienza del motivo.

Con il motivo 7 si lamenta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ante 12.09.2012 per insufficiente motivazione sulla circostanza decisiva che le operazioni di pubblicità fossero reali, effettivamente svolte da una società nella sua ordinaria attività ed a prezzi congrui.

Con il motivo 8 si propone ancora il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo vigente per i ricorsi relativi a sentenze depositate dopo il 11.09.2012, lamentando l’omesso esame del fatto decisivo dato dalla circostanza di normale prassi imprenditoriale esposta nel motivo che precede.

1.1 Occorre ricordare che la sentenza è un unicum in cui parte motiva e parte narrativa si compenetrano e sostengono vicendevolmente. Nella specie la CTR ha esposto in narrativa le circostanze indicando poi quelle ritenute prevalenti, con apprezzamento di merito, scevro da profili logici che consentano lo scrutinio del giudice di legittimità. Ed infatti, questa Corte sul punto è intervenuta più volte affermando che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842; Cass., 27/4/2005, n. 8718, Cass. V, 9/3/2011, n. 5583).

Peraltro, non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n. 2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n. 1537). Secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. V, 9/3/2011, n. 5583). Deve altresì ricordare essere ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9105 del 07/04/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass., V, n. 24313/2018).

I motivi sono quindi infondati e debbono essere disattesi.

2. Un secondo gruppo di motivi, segnatamente quelli n. 3, 4 e 5, riguardano l’onere della prova. In moto specifico, il motivo 3 solleva il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. nella sostanza lamentando un’indebita inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, chiamato a giustificare l’esistenza delle operazioni ritenute fittizie dall’Amministrazione finanziaria, mentre non si intravedono in sentenza gli indizi gravi, precisi e concordanti a sostegno della legittimità dell’accertamento.

Con il motivo 4 si lamenta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 917 del 1986, art. 8, D.L. n. 16 del 2012, art. 8,D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 25,D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54, art. 17 dir. CEE n. 77/388/CE e art. 167 dir. CEE n. 2006/112/CE. In sintesi si lamenta che la contribuente non sia in grado di verificare il disegno criminoso alla base del pvc, ma dichiara di esserne estranea e di avere il diritto a detrarre l’Iva per i servizi acquistati, senza doverlo ulteriormente provare.

Con il motivo n. 5 si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione D.L. n. 16 del 2012, art. 8, ove l’indeducibilità dei costi da reato è stata -retroattivamente- condizionata alla formale incriminazione, mentre nessuna azione penale è stata esperita per truffa nei confronti della contribuente.

2.1 Occorre ricordare che si controverte di fatto agevolativo, quale la deduzione dei costi e dell’Iva, la riduzione dell’imponibile: trattasi di circostanza che precede logicamente la deduzione o meno dei costi da reato e dev’essere provata dal contribuente, ove sia contestato dall’Ufficio il carattere fittizio dell’operazione, poichè è fra i compiti della parte privata -nel riparto probatorio dell’obbligazione tributaria- provare pienamente i fatti estintivi o agevolativi dell’onere contributivo. Ed in questo senso la sentenza qui gravata ha ben governato i principi espressi da questa Corte, valutando le prove presuntive su indizi qualificati, rispetto alle allegazioni parziali offerte dal privato, concludendo non sia stata data prova dell’effettiva erogazione delle prestazioni pubblicitaria, con accertamento che si chiude prima ancora di dover considerare la deducibilità o meno dei costi da reato che presuppone dimostrata la realtà di quei costi.

I motivi sono quindi infondati e vanno disattesi.

3. L’ultimo motivo attiene la regolarità del contraddittorio in secondo grado. Con il motivo 6 si denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e nullità della sentenza per mancata comunicazione della fissazione di udienza, in violazione della L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16 e 31, in parametro agli art. 101,134 e 136 c.p.c..

Nella sostanza si contesta sia pervenuta la comunicazione a mezzo pec della fissazione d’udienza. Non si contesta in questa sede l’applicazione analogica della disciplina sulle comunicazioni digitali, ma si lamenta non sia stato dato l’avviso.

L’Avvocatura generale dello stato replica esserci stata la prova della spedizione e della consegna della Pec ed un tanto risulta agli atti. Tali adempimenti ritengono perfezionata la notifica telematica (cfr. Cass., III, n. 26102/2016; Cass., S.U. n. 22438/2018).

Il motivo è quindi infondato e va disatteso.

In conclusione il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.

Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in Euro 5600/00 oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019

Depositato in cancelleria il 30 gennaio 2020

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