Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21497 del 27/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 27/07/2021, (ud. 02/03/2021, dep. 27/07/2021), n.21497

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita Bianca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29911/2018 promosso da:

E.F., elettivamente domiciliata in Roma, via Federico

Confalonieri 5, presso lo studio dell’avv. Andrea Manzi, che la

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Bolognano, in persona del sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato nella Casa comunale di Pescara, via

Campobasso 18, presso lo studio dell’avv. Guido Cappuccilli, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 645/V/2018 della CTR dell’Abruzzo, depositata

il 19/06/2018 e notificata a mezzo posta;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/03/2021 dal Consigliere Dott. REGGIANI ELEONORA;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 645/V/2018, depositata il 19/06/2018 e spedita dal Comune per la notificazione a mezzo posta in data 05/07/2018, la CTR dell’Abruzzo ha rigettato l’appello proposto dalla contribuente contro la pronuncia di primo grado, che aveva accolto solo in parte il ricorso originario con il quale erano stati impugnati cinque avvisi di accertamento, aventi ad oggetto la liquidazione di maggiori imposte ICI (anni 2010 e 2011) e IMU (anni 2012, 2013 e 2014), rideterminando la complessiva superficie dei beni ricadenti nella zona C/1 in mq 5.577 e non mq. 7.108.

Avverso la sentenza di appello, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, formulando tre motivi di impugnazione.

Il Comune ha resistito con controricorso.

Parte ricorrente ha depositato anche memoria difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, anche in relazione alla Circolare ministeriale 18 maggio 2012, n. 3/DF (prot. 9485/2012), per avere la CTR ritenuto corretta la determinazione del valore imponibile delle aree in base a una precedente delibera comunale del 2001, mentre invece avrebbe dovuto essere determinata tenendo conto del valore venale al 1 gennaio di ciascun anno di imposizione.

Con il secondo motivo è dedotto il travisamento e la mancata considerazione della prova, con violazione dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la CTR ritenuto irrilevante, ai fini della decisione, il riferimento operato all’indennità di esproprio liquidata dal Comune ad alcuni terreni confinanti (in mancanza della dimostrazione dell’esistenza di caratteristiche analoghe), nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), riconducibile alla presenza di

aree confinanti vicine ad un sito di interesse nazionale oggetto di un procedimento di bonifica.

Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 5 e 13, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n 3), per avere la CTR ritenuto corretta l’applicazione delle sanzioni, nonostante la mancanza di consapevolezza della violazione da parte della contribuente, che aveva comunque pagato l’imposta senza essere consapevole del parziale inadempimento.

2. Si deve precisare che parte ricorrente ha allegato di avere ricevuto la notifica della sentenza impugnata, la quale risulta essere stata eseguitaoa mezzo posta, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 16, commi 3 e 5, con plico spedito il 05/07/2018 (v. la sentenza impugnata e gli allegati agli atti di parte ricorrente).

Non vi è prova della data di ricezione del plico, ma il ricorso deve comunque ritenersi procedibile, tenuto conto che il controricorrente si è costituito senza eccepire alcunché.

Come più volte precisato da questa Corte, infatti, ai fini dell’osservanza dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, ove il ricorrente alleghi di avere ricevuto la notifica della sentenza a mezzo posta, o tale circostanza risulti dagli atti, è sufficiente che lo stesso depositi, insieme al ricorso, copia autentica della sentenza, corredata di documentazione comprovante la spedizione dell’atto, spettando al controricorrente, anche in ossequio al principio di vicinanza della prova, l’onere di contestare il rispetto del termine breve d’impugnazione, mediante il deposito dell’avviso di ricevimento di cui egli ha la materiale disponibilità (Cass., Sez. 5, n. 6864 del 08/03/2019).

3. Nel caso di specie, peraltro, l’impugnazione deve ritenersi senza dubbio tempestiva (considerata la sospensione dei termini feriali), tenuto conto che la sentenza impugnata è stata notificata per posta, con plico spedito il 05/07/2018, e il ricorso per cassazione è stato presentato all’ufficiale giudiziario per la notificazione il 04/10/2018 (v. relazione di notificazione in atti). Deve, infatti, desumersi che la ricorrente abbia notificato il ricorso nei sessanta giorni dalla ricezione del plico, che non può essere avvenuta prima della data di spedizione.

4. Sempre in via preliminare, si deve rilevare che parte ricorrente, nella memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., destinata all’illustrazione delle proprie difese, ha anche dedotto che, con gli avvisi di accertamento, è stata liquidata l’imposta in base ai valori medi (e non ai valori minimi) di Regolamento comunale, senza che fosse fornita alcuna motivazione. Non ha, tuttavia, formulato alcun motivo di ricorso avente ad oggetto tale doglianza, che pertanto non può in questa sede essere esaminata (Sez. 1, n. 26332 del 20/12/2016).

5. Il primo motivo è infondato.

Com’e’ noto, la base imponibile di ICI e IMU è data dal valore degli immobili che, per le aree fabbricabili, deve essere ricavato dai parametri vincolanti contenuti nel D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, i quali hanno riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso, agli oneri per eventuali lavori di adattamento ed ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree con caratteristiche analoghe.

In applicazione del citato D.Lgs. art. 6, comma 1, l’aliquota è stabilita dal consiglio comunale, con deliberazione da adottare entro il 31 ottobre di ogni anno, con effetto per l’anno successivo, con la precisazione che, se la delibera non è adottata entro tale termine, si applica l’aliquota del 4 per mille (ferma restando la -disciplina speciale per il caso di dichiarazione di dissesto dell’ente).

Il citato D.Lgs., art. 6, comma 3, precisa, poi, che l’imposta è determinata applicando l’aliquota alla base imponibile.

Secondo parte ricorrente, il Comune avrebbe violato la legge nel determinare per le annualità 2010-2014 il valore imponibile delle aree in base a una delibera comunale del 2001, perché avrebbe dovuto tenere conto del valore venale dei beni al 1 gennaio di ciascun anno.

Nel Regolamento approvato con Delib. n. 28 del 2007, vigente al tempo delle annualità oggetto di giudizio, il Comune di Bolognano ha previsto che “1. Al fine di ridurre al minimo l’insorgenza del contenzioso, i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili come stabiliti nel D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, comma 5 per zone omogenee, ai fini dell’applicazione dell’imposta comunale sugli immobili, vengono determinati come da Delib. C.C. 26 luglio 2001, n. 30 con gli aggiornamenti ISTAT che nell’allegato alla presente viene riportato. 2. Non sono sottoposti a rettifica i valori delle aree fabbricabili quando l’importo sia stato versato sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato. 3. I valori di cui al precedente comma 1 potranno essere variati, con deliberazione della giunta comunale da adottare entro il 31 dicembre di ciascun anno ed entreranno in vigore a decorrere dal 1 gennaio dell’anno successivo. In assenza di modifiche si intendono confermati per l’anno successivo….”.

Tali disposizioni attengono alla determinazione del valore dell’immobile, e dunque alla base imponibile, non all’aliquota. Non si applica, dunque, il disposto del citato D.Lgs., art. 6, comma 1.

Si tratta, infatti, di previsioni adottate ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. g), che, in materia di imposta comunale sugli immobili, consente ai comuni di regolamentare periodicamente, e per zone omogenee, i valori venali delle aree fabbricabili, al fine di limitare il potere di accertamento, nei casi in cui l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato.

Non si tratta di un obbligo ma di una facoltà e non è preista una determinazione annuale ma una regolamentazione periodica, suscettibile di adeguamento nel tempo (v. in generale Cass., Sez. 6-5, n. 15312 del 12/06/2018).

Nessuna violazione di legge è dunque configurabile.

6. Il secondo motivo è inammissibile con riferimento ad entrambi i profili prospettati, sia pure per ragioni diverse.

6.1. Si deve premettere che, con orientamento condiviso, questa Corte ha affermato che non può porsi una questione di violazione o di falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., quando sia prospettata una erronea valutazione del materiale istruttorio da parte del giudice di merito. La menzionata violazione o falsa applicazione di legge solo allorché si alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., Sez. 6-1, n. 1229 del 17/01/2019 e Sez. 6L, n. 27000 del 27/12/2016).

La valutazione di elementi di fatto attiene al giudizio di merito e non è sindacabile in cassazione, a meno che non si tratti di omessa valutazione di circostanze decisive, già sottoposte al contraddittorio delle parti. In questo caso, l’omessa valutazione può essere

posta a fondamento della censura prevista dall’art. 360 c.p.c., n. 5), che ha presupposti e requisiti del tutto diversi dal motivo di impugnazione riconducibile allo stesso art. 360 c.p.c., n. 3) perché richiede l’allegazione della mancata considerazione di circostanze, appunto, di fatto (e non di opinioni o di allegazioni difensive), che si rivelino decisive per il giudizio e che siano state sottoposte al contraddittorio delle parti.

6.2. Nel caso di specie, è evidente che la censura riferita al mancato rilievo attribuito dalla CTR, ai fini della determinazione del valore dei terreni in questione, all’indennità di esproprio liquidata dallo stesso Comune a terreni confinanti, si sostanzia in una critica della valutazione operata dal giudice di appello, ch4attiene al merito, e non è sindacabile in sede di legittimità.

L’ulteriore censura alla decisione impugnata, riferita alla mancata considerazione del fatto che i terreni rientrassero in un’area di interesse nazionale oggetto di un procedimento di bonifica, si presenta inammissibile per difetto di specificità, non avendo la ricorrente illustrato se, quando e come tale circostanza sia stata oggetto di discussione nel corso del giudizio, né avendo la medesima parte spiegato le concrete ragioni per la quali la valutazione di tale circostanza avrebbe portato, in concreto, ad una decisione di contenuto diverso.

7. Il terzo motivo è infondato.

Come più volte affermato da questa Corte, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, applicando alla materia fiscale il principio sancito dalla L. n. 689 del 1981, art. 3, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente.

E’ comunque sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e durlque non superabile con l’uso della normale diligenza (Cass., Sez. 5, n. 2139 del 30/01/2020).

Il fatto che la contribuente abbia comunque pagato le imposte, sia pur per un importo inferiore a quello dovuto, è una circostanza che non esclude la colpa, trattandosi di circostanza in sé neutra.

8. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

9. La statuizione sulle spese di lite, liquidate in dispositivo, segue la soccombenza.

10. In applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte:

rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dal controricorrente, che liquida in Euro 1.400,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettario e accessori di legge;

dà atto, in applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, mediante collegamento “da remoto”, il 2 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2021

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